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Intanto al Palazzo
Il direttore Locascio, detto il digitale, aveva davanti a sé quattro diversi cellulari e un Ipad, tutti di ultimissima generazione. Non è mai stato certo che fosse capace di usarli ma a lui piaceva farli vedere. Spesso, magari a un tavolo di lavoro internazionale, si lasciava cogliere indaffarato mentre armeggiava con la nuova tecnologia. Credeva gli desse un buon tono, come a chi non sfugge nulla, sempre aggiornato dalle ultime news in tempo reale
Il questore, riguardoso, gli aveva ceduto il posto alla scrivania di legno massiccio. Una piazza d'armi di tre metri e cinquanta per due protetta da un vetro molato scuro e spesso. Di fianco la grande finestra, drappeggiata con tende un po' logore ma pulite. Alle spalle la parete era stracarica di ogni sorta di oggetto. La collezione completa dei calendari della Polizia di Stato, gli stemmi delle divisioni operative speciali e decine di altri ammennicoli erano appesi, come ex voto, tutt'intorno alla foto ufficiale del Presidente della Repubblica. Sul tramezzo di fronte alcune vecchie cornici, riproduzioni sbiadite di militari in divisa d'epoca, contornavano un'enorme pannello con la veduta del golfo.
Masturzo si era sistemato dall'altra parte, in compagnia di due funzionari della Protezione Civile e tre dei suoi più fidati collaboratori.
- Bene signori, stanotte agiremo.
Annunciò serio Locascio, poi entrò nei dettagli
- Sarà un'azione multi forze. Avremo tre elicotteri d'appoggio e centocinquanta uomini tra agenti di polizia, carabinieri e finanza. Se sarà necessario si aggregherà una squadra speciale del 9° battaglione "Col Moschin". Il presidente li ha appena fatti rientrare dal Libano. Arriveranno stasera alla base Nato di Capodichino. A valle dieci fuoristrada della protezione civile vigileranno le vie di fuga. Troisi e il suo gruppo non devono sfuggirci ne va della poltrona.
Masturzo, sorpreso, pensò a quanto fosse esagerato un intervento del genere. Si schiarì la voce e intervenne
- Scusi, non crede che stiamo dando troppo peso a un
gruppo di contadini arrabbiati? Mi sembra che andiamo a stanare Bin Laden. La stampa ci lavorerà di brutto.
Locascio, che tentava uno zoom allargando ripetutamente il pollice e l'indice sul display del tablet, sbuffo infastidito più per non esserci riuscito che per la paradossale ironia del questore. Mollò l'oggetto e affacciandosi sulla scrivania rispose irritato
- Ascolti Masturzo, questa operazione si fa perché lei, quei contadini arrabbiati, li ha sottovalutati. Non mi faccia dire per favore. La cosa si poteva sistemare velocemente. Avremmo evitato che la stampa e parte dell'opinione pubblica ci dessero addosso. Ora non c'è alternativa. Qui ci sono di mezzo interessi importanti, un'economia distribuita, equilibri strategici e soprattutto voti. E non ultima una comoda poltrona da sottosegretario agli Interni. Collabori quindi e ci eviti il suo incomprensibile disfattismo.
La sparata raggelò i presenti e l'obiezione si spense in un imbarazzato silenzio. Masturzo comprese allora che quella poltrona non sarebbe mai stata la sua.
Un suono ritmico e sordo giunse dalla porta d'ingresso e sciolse l'ambiente dall'impaccio.
- Scusatemi, qui fuori c'è il commissario Renzi. Dice
che è urgente.
L'agente di guardia lo annunciò con timida cautela e mentre parlava lasciò libero uno spiraglio nel quale, in un attimo, Amedeo si infilò.
- Buongiorno, ho cose importanti da riferire.
Tutti rimasero sorpresi e Masturzo, anticipando ogni possibile commento, si alzò fulmineo raggiungendolo all'ingresso.
- Che altro vuole Renzi? Questa è una riunione organizzativa coperta dal massimo riserbo, non può presenziare. Lei è ufficiosamente sospeso, se lo ricordi. Se ha novità utili si porti a rapporto dal vicequestore. E soprattutto non faccia casini. Come le viene in mente di irrompere in questo modo senza averne preventivo permesso?
Parlava a mezza voce, frenetico, quasi avesse timore di chissà quale possibile rivelazione.
- Ma è molto importante - replicò il commissario a voce più alta - ci sono nuovi elementi, fatti circostanziati e di grande rilievo.
Intanto Locascio ne aveva approfittato per rispondere a una chiamata e, a giudicare dal modo con cui ne era preso, sembrava arrivasse dalle alte sfere. Non diede perciò peso alla presenza del nuovo arrivato né si curò della fitta conversazione tra i due. Il questore abbandonò l'ufficio trascinando con sé Amedeo Renzi e dopo essersi chiusa la porta alle spalle gli urlò quasi nei denti.
- Adesso basta Renzi, ha passato ogni limite. Domani firmerò il decreto di sospensione dal servizio. Consegni arma e distintivo prima di uscire. E se non si dà una regolata la metto sotto sorveglianza continua. Lei si gioca la carriera.
Anche Renzi perse ogni controllo e gli rispose a muso duro
- Non le interessa nemmeno cosa ho da dirle questore?
Ho l'impressione che lei abbia la neve in tasca e la preoccupazione ossessiva di evitare che si sciolga. Ho sempre creduto che fosse un funzionario con le palle, le tiri fuori e lasci perdere questa banda di affaristi.
Poi alzò le spalle come se volesse finalmente scrollarsi di dosso il peso di un fardello ormai insopportabile ma non andò oltre. Si voltò e sparì in fondo al corridoio.
- Sì Presidente, certo Presidente, senza dubbio Presidente. La chiamo a cose fatte.
Locascio interruppe la chiamata e poi candidamente comunicò ai presenti.
- Era il Presidente. Mi ha ricordato che seguirà le fasi di questa operazione con molta attenzione. Mi ha detto: "Cerchiamo di fare bella figura, tutto il mondo ci guarda"
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