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Tosse
Non riusciva ad individuare quale fosse la chiave d’ingresso, troppo simile alle altre del mazzo; o forse la sua vista era troppo annebbiata. Le grosse dita afferrarono una per una le singole chiavi, nella speranza che il tatto lo aiutasse a trovare quella giusta. I riflessi lo rallentavano. Un colpo di tosse gli scosse il petto, seguito da un altro ancor più violento e¿ rumoroso. La respirazione si faceva affannosa, ansimante. Si resse al pomello esterno della porta, sentiva le gambe cedergli e se fosse caduto nessuno lo avrebbe aiutato a rialzarsi. Tentò con una chiave. Non era quella giusta. La infilò bruscamente nella toppa tanto da incastrarla, per fortuna con uno strattone riuscì ad estrarla. Goccioline salate iniziarono ad imperlargli la fronte. Respirava a fatica. Sudava.
E tossiva.
Finalmente la chiave girò, gracchiò nella serratura e, accompagnata da un cigolio sinistro, la porta si aprì dinanzi a lui. Una sciabolata di luce, proveniente dal freddo neon del ballatoio esterno all’abitazione, squarciò il buio dell’ingresso. L’uomo richiuse la porta dietro di sé e l’oscuritÿ inghiottì di nuovo la stanza.
Tossì.
Avanzò a fatica, reggendo la propria stanchezza sulla spalliera di una vecchia sedia sfondata, appoggiata ad un tavolo al centro della stanza. L’interruttore non funzionava. Ma no, ricordò che la luce l’avevano staccata da un pezzo. L’unico segnale di vita era il suo respiro affannoso, faticoso, stanco. Si trascinò verso il divano dove sprofondò poco dopo.
Tossì.
I colpi di tosse erano come tuoni che squassavano un’atmosfera di morte, di solitudine disastrata, di esistenza che rubava giorni senza senso. Non riusciva a respirare, la tosse lo tramortiva; picchiava duro nella sua testa, gli infuocava la gola. Già , gli infuocava la gola. Forse è per questo che ogni giorno se ne andava in quel lurido bar a consumare qualche goccia di fuoco liquido, malsana estasi, piacere proibito e violento. Quel bastardo del barista stavolta gli aveva detto ‘basta’, ad un certo punto non voleva più saperne di riempirgli il bicchiere, eppure lui si sentiva euforico, lucido e deciso nel voler proseguire il suo torbido rapporto con l’alcool. Al diavolo, comprerò una bottiglia e la berrò con la mia donna. Già , la sua donna. Tossì violentemente, un filo di bava gli lustrava il mento, gli occhi gli si accesero di un rosso impetuoso, come un tramonto senza tempo, il tramonto della vita. Della sua vita. Appoggiò la testa allo schienale del divano, nel tentativo di tornare finalmente ad una respirazione piena e silenziosa, non furtiva e turbinosa. Solo il pensiero della sua donna gli regalò un accenno di sorriso. Bella, calda, bionda. Allungò la mano nel buio ed aprì il cassetto del mobile di fronte a lui. Lo strattone fece cadere qualcosa in terra, forse delle fotografie ingiallite in ricordo di tempi ormai lontani, forse un piccolo vaso, ma non importava. Qualunque cosa fosse era secondaria. Estrasse una sigaretta, la guardò, l’annusò con rispetto, le sorrise. La sua donna.
Tossì impetuosamente, si piegò in due, nella speranza di interrompere le scosse assordanti della sua gola, niente da fare. Cadde in ginocchio, carponi; stavolta non riusciva ad interrompere i colpi fragorosi. Gli occhi lacrimavano copiosamente, dinanzi a lui la vista gli regalò solamente il nulla, un’atmosfera ovattata che gli ricordava gli attimi successivi alla morte, quando la chiamata di Dio gli avrebbe comunicato con disprezzo che sarebbe stato destinato all’Inferno. Ma Dio non esisteva, Dio non c’era, quando lui ne aveva bisogno Dio non lo considerava. Fiotti di saliva imbrattarono il pavimento, i conati erano sempre più forti e presto quel gin di pessima qualitÿ gli avrebbe fatto visita sul lercio parquet del soggiorno. La sua donna. L’unica che lo comprendeva, che gli regalava momenti di supremo piacere, che lo accarezzava e lo proteggeva, lo concupiva, lo possedeva. Si asciugò gli occhi fradici con la manica del maglione, che subito utilizzò per ripulire il mento dalla bava fuoriuscita copiosamente dalla gola durante quei tumultuosi colpi al petto. Posò la mano incerta sul sedile del divano per aiutarsi a salire in posizione eretta. Barcollò fino a scontrarsi con un anonimo tavolino. Si diresse a passo malfermo verso la finestra. La aprì e un vento gelido gli schiaffeggiò il volto, dandogli l’illusione di una recuperata vigoria. La sua donna. Finalmente potè accenderla, assaporarla, tenerla tra le dita, spogliarla, amarla. Aspirò profondamente e in quegli attimi il suo cielo si rischiarò, le nubi si dissolsero, tornò il sereno. Un sereno fatto di sogni, agghiacciante, lontano dalla sua tragica, fragile vita, dai suoi dolori e rimpianti, dalle sue innumerevoli sconfitte.
Tossì.
No, era un tuono, iniziava a piovere. Il rumore della pioggia, dapprima timido e velleitario, s’impose sempre più con alterigia e violenza. Gli piaceva la pioggia. Tutti quegli stupidi omini che scappavano per non bagnarsi, scappavano da qualcosa di incontrollabile e pericoloso, di più forte di loro, di impetuoso e pauroso. Lo divertivano la pioggia e quel senso di vuoto che lo opprimeva durante la scarica temporalesca, a sperare che non finisse mai per coprire d’acqua il mondo marcio che lo aveva accolto con tanto odio ed indifferenza. Tossì. Ancora tosse, crudele e prepotente, aggressiva. Gli sconquassava lo stomaco, il ventre in fiamme si torceva in spasmi di dolore lancinante, la gola non sosteneva più quelle continue esplosioni interne. I polmoni erano sempre più sopraffatti dai colpi detonanti, castigo divino inflittogli per il male che non aveva fatto. La sigaretta gli cadde dalle mani, ruzzolando sul pavimento; le gambe non reggevano gli spasmi, tosse e ancora tosse, terribile e violenta, cadde in terra e per impedire che il volto si frantumasse lo riparò posando d’istinto le mani sul parquet. Avvertì una fitta, un bruciore, un lampo che gli artigliò il palmo della mano. L’aveva inavvertitamente posato proprio sulla sigaretta, spegnendola con la mano. La sua donna. Ora anche lei lo abbandonava, l’aveva tradito in modo così semplice e scellerato.
Tossì.
Stavolta l’ascesso era irrefrenabile, una forza inarrestabile che lo avviluppò contro la quale non poteva opporre alcuna resistenza, lui che era giÿ provato da un’esistenza di conflitti e sconfitte. I conati di vomito erano sempre più forti, il gin del bar, quello schifoso liquido buono per le fogne come lui schiaffeggiò il pavimento in due conati. Un dolore lancinante, allo stomaco e alla gola. ‘maledetta gola spegniti!’. La bava mista al gin formò una chiazza davanti a lui, la luce proveniente dalla finestra gli rischiarò la stanza. Abitava lì da diversi decenni, eppure neanche quelle pareti lo accolsero come un amico, era un ospite sgradito da accettare con diffidenza o, peggio, indifferenza. Tutto restò impassibile intorno a lui, quasi che i mobili, le suppellettili, le stampe anonime e stanche appese alle pareti non attendessero altro che la sua fine, il suo non ritorno. Tossiva. Tossiva e non smetteva. I fiotti di bava illuminati dalla pioggia si tinsero improvvisamente di rosso, il sangue lo rifiutava e aveva deciso senza permesso di partecipare a quella festa, non voleva mancare alla resa del padrone, voleva infierire contro quelle carni deboli e sfinite, inutili e marce come frutta stantia e colma di vermi. La pozzanghera di sangue lo spaventò, la sua bocca era una fontana che stillava copiose quantitÿ di plasma vitale, fece per rialzarsi ma nuovamente le lacrime posero un triste velo sui suoi occhi stanchi. Non riusciva a dominare il dolore e l’arroganza di quel malanno, tossiva sempre più, la sua testa si divincolava come una bestia feroce ferita ed indomita, ma il fisico non rispondeva agli ordini, ricacciandosi nella tormenta vorticosa e martellante provocata dalla tosse continua. Lo stomaco ruggiva ed urlava dal dolore. Neanche quella volta che quei tre balordi negri lo picchiarono a sangue per puro divertimento provò la stessa sofferenza, le fitte allo stomaco erano ben peggiori di quelle provocate dai pugni e dai calci di quei bastardi. Non riuscì ad esserne certo, ma percepiva un tenue calore nei pantaloni. Quasi che una piacevole coperta gli riscaldasse le gambe e gli attenuasse con un dolce tepore i dolori di quei momenti. Ma no, niente di tutto questo, maledizione. L’odore aspro dell’orina si miscelò con la dolce essenza del sangue ancora abbondantemente steso sul pavimento. Il sudore colava sul parquet infrangendosi sui liquidi corporei già espulsi, le numerose goccioline creavano curiosi anelli rossi non appena si scontravano con il sangue misto a bava.
Tossiva. Lasciò trascinarsi dagli eventi, si fece violentare da questo sferzante e portentoso scoppio di vitalità , di aggressiva esistenza, le vene pulsavano violentemente, le tempie si gonfiavano ad un ritmo incessante, ‘sono vivo, vuol dire che sono vivo’. Continuava a contorcersi in spasmi orrendi, avviluppato da un abisso di disgustosa desolazione, il buio ed il vuoto intorno a lui erano spezzati da vibranti frecce di luce provenienti dall’esterno, i fulmini ed i tuoni successivi parevano invitarlo ad una festa macabra, allegri fuochi d’artificio e festanti petardi che gioivano per la fine del mostro morente. Neppure il tempo lo compativa, anzi osannava e celebrava quel Maellstrom infinito che gli vorticava intorno inesorabilmente. I tuoni si confondevano con i violenti e cupi colpi di tosse, sempre più forti, come una marcia trionfale musicata da un direttore d’orchestra con la falce al posto della bacchetta. Un incedere sempre più forte, sempre più acuto, sontuoso. Come i colpi di tosse che lo stavano sommergendo. Trovò con difficoltà la posizione eretta, reggendo il peso del corpo al bracciolo consunto del divano, le scarpe sguazzarono nel sangue caldo, si trascinò a fatica muovendo passi pesanti ed incerti, l’equilibrio era una tragica utopia, riuscì lentamente a spostarsi verso la stanza attigua al soggiorno che, fino a quel momento, era stato il muto ed immobile teatro del suo dramma. Ma il sipario non era sceso, ancora no.
Entrò in cucina, tentò di trovare l’interruttore della luce ma in una fiammata di razionalità ricordò che la sua ricerca era perfettamente inutile. Si avvicinò al lavandino, fece scorrere l’acqua fresca, provò a bere, ma la gola infuocata rigettava quel soffio di vita. Si piegò miseramente in avanti, continuando a tossire espellendo sangue e, sia pure nell’oscurità , riuscì a scorgere il mutare del colore dell’acqua: rosso rubino, rosso tramonto, rosso morte. La mano si spostò di qualche centimetro, diretta verso un cassetto dove riponeva le stoviglie, almeno così ricordava. Un palmo schiacciato sul petto, quasi a contenere quella forza imperiosa, l’altro stretto intorno alla piccola maniglia del cassetto. L’aprì. Cercò furiosamente, la mano vagava e rovistava con tenacia al suo interno, alla ricerca di un tesoro nascosto, di una luce, di una via di salvezza. Tosse. Violenta come un tornado. Sentì il manico, percepì di aver finalmente trovato il suo tunnel dell’amore. L’afferrò con forza, quasi fosse una donna fragile pronta ad un atto di passione. Volle possederlo, sentirlo nel pieno del suo instabile controllo. Lo sfilò dal cassetto. Il coltello era lungo, appuntito ed affilato. Brillava nel buio come una supernova solitaria, come un terribile lampo improvviso in mezzo al mare in tempesta. La mano tremante lo brandì, la tosse persisteva con un incedere sempre più rigoglioso e festante, la saliva gli colava copiosa sul mento e le lacrime lo bendavano accuratamente. Avvicinò il coltello, in un attimo di pura, angosciosa follia, lo sentì premere sul collo, lo lasciò scivolare sulla guancia, accarezzare la gola, sussurrare parole di martirio. Il taglio fu deciso, netto, inconfutabile, razionale. Il tonfo della lama sul pavimento seguì al rantolo sommesso dell’uomo. Entrambe le mani si spostarono d’istinto sulla gola recisa, la strinsero ma gli zampilli di sangue scivolavano sul maglione imbrattato. I fiotti caldi e rossi lo salutarono festanti. Crollò sul fianco, continuando, imperterrito, a serrare inutilmente la gola. L’ultimo rantolo fu il più lungo, il più lugubre. Le braccia crollarono lungo i fianchi. Ora non tossiva più. Finalmente.
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0 recensioni:
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- Narrazione veloce e ritmata, lo ho letto davvero con apprensione.
- Iniziata la lettura non riuscivo più a staccarmi. Bello e intrigante.
- le ripetizioni, a mio parere, in questo caso sono perfette per rendere l'atmosfera ossessiva e martellante della situazione
- beh non vorri essere ripetitiva facendoti i comlimenti che gia hai avuto per questo racconto.. l'ho letto in un fiato.. bellissimo..
- Ottimo, da farne un "corto" coi fiocchi, senza parole, senza musica, solo i rumori di quello che accade, sono sicuro ne verrebbe un film molto tosto.
Bravo,
gigi
- Non sono un appassionato di questo genere, ma devo dire di essere stato positivamente coinvolto da questo racconto, lento e straziante declino di un uomo solo, che sfugge ad un'insensibile miseria, solo pausa tra un colpo di tosse e il successivo... Voto 8, con piccola riserva (descrizione accurata, ma a tratti ripetitiva)
- Che dire Antonello... i colpi di tosse li ho sentiti... mi hai fatto entrare dentro la storia, mi sembrava di essere lì da qualche parte nascosto nel buio... Racconto bellissimo, grandi immagini, ritmo fluido. Complimenti e grazie per il commento positivo al mio pezzo. A rileggerti il prima possibile.
- La descrizone è fantastica, aggettivi forti, immagini pulsanti, sembra quasi di sentire anche gli odori. Piaciuta.
- Davvero molto triste... ma è brillante la minuziosità dei particolari con cui è scritta... ti coinvolge tanto... complimenti! Maria Paola
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