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Credevo non sarei mai invecchiato
Credevo non sarei mai invecchiato, ma eccomi qua davanti allo specchio a contare i capelli grigi.
È la solita storia, tutte le volte che si avvicina la primavera, quando le giornate si fanno più lunghe e nell'aria si avverte quel profumo che annuncia l'avvicinarsi della bella stagione, mi prende una strana malinconia. Improvvisamente immagini del passato si riflettono nei miei pensieri:
Un gruppo di ragazzi cammina nei campi non ancora coltivati che presto si riempiranno di grano. Hanno tutti i pantaloni sporchi e le magliette stropicciate, sicuramente frutto di una giornata di partite a calcio, qualche prova di coraggio o di una rissa tra amici. Sono felicì e ridono spensierati. Le loro ombre s'intravedono nell'oscurità della sera mentre rientrano a casa.
A quell'età tutto era una certezza e le domande trovavano risposte in qualche strana avventura. Da giovani tutto sembra immobile e ipassibile al tempo che passa. Ci saranno sempre il quadrato con le sue epiche partite di calcio, la pista per le finte Olimpiadi e le panchine per i racconti dei più grandi. Il contadino che spara con il fucile a sale, barattolo, elastico (solo per stare vicini alle ragazzine), il lego, i portici dove sedersi a chiaccherare e infine le aiuole, inviolabili come sempre. Tutto sarebbe sempre rimasto lì a disposizione di noi bambini.
A quel tempo non sapevo che ci sarebbe stato un passato da ricordare. Domani sarebbe arrivato il trattore ed io ci sarei salito comunque. Seduto sul suo parafango rosso, al fianco del contadino, quel bimbo avrebbe sorriso alla vita fino al tramonto.
Invece eccomi qua davanti allo specchio. Un uomo all'alba dei quarantanni che fatica a ricordare quel ragazzino che si aggirava felice nei campi. E quel ragazzino non riconosce quell'uomo grigio riflesso allo specchio. Chiudo gli occhi a ricerca di qualche immagine passata. Come un orso in riva al fiume a caccia di Salmoni, voglio ripescare nell'immenso fiume del passato. La mente penetra con i suoi artigli nell'acqua dei ricordi e come per magia ne tira fuori uno.
<<se hai paura, dillo!>>
<<non ho paura!>>
<<e allora perché non vai a riprendere il pallone?>>
<<perché non ne ho voglia>>
I tre fissavano la palla bianca nel mezzo del campo oltre la siepe che delimita le case dalla campagna. Lì il buio è vero buio! Le rassicuranti luci provvenienti dai portici in quel posto non riuscivano minimaente a penetrare. La fuori, oltre i sicuri giardini condominiali c'è il vero buio. L'unica fonte di luce sono le infinite lucciole che lampeggiano sui lunghi fili d'erba. Il frusciare delle foglie a causa del vento, nella mente di un ragazzino si trasforma ben presto in uno strano presagio. L'oscura notte della campagna sicuramente celarà qualche strano mostro.
<<tu l'hai tirata e tu vai a prenderla>>
<<Andiamo insieme?>>
<<No! Ci vai tu!>>
I due se la spassavano a osservare la scena dell'amico terrorizzato che si apprestava ad andare a recuperare la palla. Loro non dovevano mettere alla prova il loro coraggio e perciò si sentivano sicuri. Tenevano in mano qualche pietra da lanciare al momento giusto. Il rumore avrebbe fatto prendere un bello spavento all'amico.
<<ti muovi o no? Tra poco devo andare a casa>>
Stefano era terrorizzato, ma al contempo eccitato: se vi fosse riuscito senza intoppi, sarebbe diventato l'eroe per qualche tempo, garantendosi l'immunità da scherzi per un buon periodo. Scavalcò la siepe e si lascio scivolare oltre il muretto.
Dal campo sentiva lo sghignazzare dei due amici, ma senza riuscire a vederli. Del pallone, che poco prima dall'alto del giardino si vedeva benissimo, ora non vi è traccia alcuna. La sua prospettiva nel mezzo del fieno era cambiata completamente.
<<non fate i cretini e ditemi dove si trova la palla.>>
<<ah! ih! ih! a destra, ma sei cieco? Come fai a non vederla?>>
Qualche tempo prima, nei racconti dei ragazzi più grandi, loro avevano sentito dire che in quel campo tutte le notti si aggirava un contadino con il suo feroce cane. Alcuni di loro erano pronti a giurare di essere riusciti a sfuggire ai morsi dell'animale solo grazie alla loro velocità.
<<Stefano fai in fretta che se arriva il pazzo con il cane!>>
<<ho sentito qualcosa, riuscite a vedere se c'è qualcuno?>>
Stefano restò immobile cercando di fare meno rumore possibile. Sporse leggermente le recchie nel punto dal quale era sicuro di aver sentito il fruscio. Con gli ochi aperti, al pari di una civetta, cercò tra ombre qualche moviemto sospetto. Improvvisamente i due amici iniziarono a gridare.
<<corriii! C'è il matto, sta arrivando dietro di te!>>
Nel pronunciare quelle parole, come esperti soldati che coprono la fuga di un loro compagno, iniziarono a lanciare pietre oltre la schiena di Stefano.
<<corriiiii! Corriii Stefano!>>
I due provetti Marines, tra grida e qualche escoriazione al viso dovuta al tiro troppo basso delle pietre, iniziarono a ripiegare sotto i portici dei condomini per poi, una volta raggiunto il cancello che porta all'interno del landrone, dileguarsi nelle proprie case. Il piano di fuga era riuscito alla perfezione. Peccato che sul campo fosse rimasto il loro compagno, ancora immobile e terrorizzato tra i papaveri.
Il fruscio si era presto trasformato in ombra. Il nemico, per nulla intimorito dal fuoco di copertura dei due, ormai aveva raggiunto Stefano per sbranarlo. La belva non era altro che un coniglio selvatico. Quel giorno Stefano si era guadagnato la medaglia al valore. Per tutti gli altri, compresi i due Marines, il cane di quella lunga notte primaverile era veramente enorme.
Non ho paura d'invecchiare, ma ho il terrore di perdere tempo prezioso. Mi guardo intorno e mi accorgo che ormai non c'è molto da ammirare. Sono quasi le 8, 00 e a breve dovrò partire per raggiungere l'ufficio. Fuori ad aspettarmi c'è una lunga e lenta coda di ferro rovente pronta ad accogliermi. Basta sporgersi leggermente con il muso dell'auto al primo stop, e lei, l'amica coda ti trasporta con affetto nel suo mondo dell'ulcera duodenale. Invecchiando le prospettive cambiano insieme alla pelle. Da ragazzino ricordo lunghissime giornate piene di cose da fare. La fine dei giochi arrivava puntuale con la voce della mamma dalla finestra:
<<Stefano c'è pronto>>
<<Arrivo!>>
Quella era la prima chiamata. Ne restavano ancora due di tolleranza.
<<Domani andiamo tutti nelle grotte?>>
Antonio era il solito pazzo. Per lui esisteva solo il fango dove rotolarsi, la pietre da lanciare il più lontano possibile e il catarro da sputare. Di questo era un vero campione, ma anche al tiro di pietre non scherzava per niente.
Una volta, mentre si stava giocando la solita partita a calcio, improvvisamente cadde dal cielo un sasso che andò a finire vicino al portiere di turno. Era avvolto da un foglio dove c'era scritto: Siamo i guerrieri e vogliamo sfidarvi in una battagli. Se vinciamo noi il vostro quadrato sarà nostro, se vincete voi vi daremo la capanna.
Quello fu l'errore più grosso commesso da parte dei nuovi vicini. I nostri condomini erano posti in periferia, oltre la quale c'era la campagna che separava la città dai paesi. In fondo a uno di questi terreni, attraversata la morla, c'erano alcune abitazioni. Questi nostri sfidanti avevano costruito una capanna messa su tre alberi vicini tra loro. Era bellissima. Fatta da assi di legno di cantiere e disposta su tre piani raggiungibili da scalette esterne. Il primo era il più largo e gli altri andavano a restringersi con l'altezza.
Arrivati sul luogo della battaglia, cioè sotto la loro capanna, trovammo questo gruppo di ragazzi. Indossavano caschi da motociclisti (pur non avendo l'età per la moto) e soprattutto si erano avvantaggiati aspettandoci dall'alto dell'albero. Al primo piano alcuni tenevano in mano lunghi bastoni per respingere gli assalti nemici dal basso, mentre quelli ai piani superiori erano armati con una enorme quantità di pietre. All'ultimo piano c'era il loro capo. Riconoscibile dal casco nero e una tuta di pelle dello stesso colore del casco. Aveva pensato veramente a tutto per vincere la battaglia. Era uno stratega degno del nome di Napoleone. Antonio, appena ci fummo avvicinati a distanza di tiro disse:
<<adesso lo prendo in pieno nella visiera e la chiudiamo.>>
Non finì quella frase che tutti sentimmo un rumore sordo. Fu uno schiocco terrificante.
Toc!
Il ragazzo con la tuta nera barcollò all'indietro per poi precipitare dal terzo piano della capanna. Inerme, come un manichino lasciato cadere da un edificio, schiantò al suolo battendo la schiena su un tronco d'albero tagliato a metà. Cadde il silenzio. Antonio, come un cecchino serbo, l'aveva colpito proprio nella visiera aperta. Lo centrò in pieno naso e fronte. Fu la Waterloo dei nostri vicini di casa. Da quel giorno, senza battaglia alcuna la capanna fu nostra.
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