Quando, affacciandosi, Sara si accorse di quel giovane sconosciuto, assorto nella lettura di un piccolo volume dalla copertina blu, richiuse subito i vetri. Detestava da sempre i vicini spioni, ed evitava accuratamente qualsiasi atto che potesse anche solo sembrare invasivo. Stava per tirare anche le tendine, ma, in quell’istante, il libro cadde sul petto scoperto del suo lettore, aprendosi mollemente. Con la medesima lentezza un braccio dell’uomo ricadde di fianco, il capo si reclinò sullo schienale della sedia a sdraio, le labbra disegnarono un sorriso di puro e rilassato benessere. La mano di lui sfiorò i fili d’erba del minuscolo quadrato di verde, che la sedia a sdraio ricopriva quasi completamente. Un colpo di vento, delicato come una cauta carezza di madre, gli scompigliò i capelli, e Sara, staccando una ad una le dita della mano destra dalla cordicella, le spostò sul vetro, descrivendo piccoli cerchi, mentre l’altra mano artigliava un lembo sudaticcio della maglietta, richiudendo nel pugno un grumo di stoffa.
Erano passati minuti? Forse. Erano passate ore? Forse. Nel frattempo il libro, ad ogni respiro, era scivolato un poco di lato, ed un altro poco, ed un poco ancora. Un ultimo alzarsi ed abbassarsi del petto, ed il volume cadde, colpendo il braccio del giovane dormiente. Lui si alzò in piedi con un unico moto scattante e, prima che Sara riuscisse a farsi indietro, puntò verso di lei uno sguardo acuto, per nulla annebbiato dal sonno. La donna diede uno strattone al cordino, ma le tende non si chiusero abbastanza in fretta da proteggerla dall’impatto, quasi fisico, dell’accusa che lei lesse nel cipiglio di lui. Un’accusa di vicinato pettegolo ed impiccione, perché mai più, pensò, mai più lui avrebbe potuto anche solamente supporre che una donna della sua età, una donna col suo aspetto, si fosse unicamente presa il piacere di rubare, con qualche sguardo, la bellezza di quel corpo esposto al sole di quest’estate precoce.