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L'umiliazione
Il buio intorno alla panchina di ferro bianco celava ogni cosa nel boschetto circostante. La luce della luna irradiava solo una giovane coppia intenta a scambiarsi sorrisi d'amore, immersa nel silenzio che quell'oasi conservava nel cuore della notte.
Non tutto dormiva nel boschetto. Tra gli insetti e gli animali vi era qualcosa di vigile, intento silenzioso a spiare i due amanti. Un'animale che da millenni aveva abbandonato le foreste selvagge alla ricerca di una casa più ospitale e che per sopravvivere aveva sviluppato un ingegno ed un'astuzia formidabili. Con il tempo si era dimenticato di essere un'animale, da dove venisse e quale fosse la sua primitiva dimora.
Un uomo spiava leccandosi le labbra. Strappava pezzetti di corteccia con le unghie dall'albero che lo nascondeva. La dolce luce della luna riflessa sulla pelle della ragazza non rendeva più docile il suo odio; Guardava e fremeva.
Sulla panchina i respiri diventavano ansimanti, e sempre più pelle rifletteva il colore lattiginoso della luna. Il fuoco dell'amore cominciava ad ardere, e un predatore ferito rimaneva interdetto tra i suoi sentimenti e le sue pulsioni animali, nascosto e perfettamente immobile ad osservare la preda sfuggita concedersi ad un predatore più valoroso di lui.
La gente ben vestita beveva e parlava, sciogliendosi sul suono della musica che diffondeva dal pianoforte a coda suonato con grazia da uno studente in papillon.
La festa era cominciata da tre o quattro ore, e gli ospiti cominciavano a percepire che stava volgendo al termine. Nessuno aveva abbandonato l'albergo; il clima era piacevole e la gente si stava divertendo. C'era il buffet più straordinario: aragoste, ostriche, caviale, verdure ripiene, pasticci, risotti, fois gras, artifici di pasticceria, gelati, sorbetti e un buon numero di altre pietanze, preparate e abbinate con gusto e maestria. Il vino era delicato, gli champagne stuzzicavano frizzantini l'appetito e la piccola folla sembrava non esser mai sazia di quel banchetto delizioso. I camerieri entravano ed uscivano dalle cucine con vassoi regali, adornati di frutta e verdura, portando nuove e succulente leccornie a stuzzicare l'attenzione degli invitati più ricercati.
La gente parlava e rideva con garbo, le coppie si mescolavano, e l'ebbrezza di tutti assicurava che la festa sarebbe stata ricordata felicemente.
Una donna stava graziosamente appoggiata al parapetto di marmo del grande terrazzo, che dava sul giardino posteriore dell'albergo. Osservava dall'esterno quello che succedeva sotto il grosso lampadario barocco del salone. Spirava un certo clima di belle èpoque che la rasserenava e la rendeva felice.
Si voltò a guardare il giardino; era nascosto in una penombra mistica, in cui si intravedeva la fine del giardino e l'inizio del bosco, ma in cui le ombre degli alberi erano distorte e confuse. Una leggera foschia rifletteva la scarsa luce di un lampione e colorava di ocra l'aria della sera.
Il terrazzo era collegato al giardino tramite due scalinate di pietra che scendevano dai lati, seguendo una forma di cuore oziosamente lunga che mutava in un marciapiede di ciottoli, e si congiungeva intorno ad una fontana di marmo circolare a più piani.
Dalla scala alla destra della donna salì un uomo. La donna lo aveva osservato nascondendo lo sguardo tra un ciuffo di capelli neri e lunghissimi, che le cadevano perfettamente dritti ed allineati, come attratti da una forza di gravità superiore a quella normalmente conosciuta. L'uomo giunse sul terrazzo, e lei girò lo sguardo dall'altra parte, fingendo di non averlo visto. Lui sapeva che questo non era possibile. Aveva volutamente girato lo sguardo per evitarlo, ma egli non ne era del tutto sicuro. Non voleva che il gesto della donna provocasse in lui un turbamento non necessario. Il lieve bruciore allo stomaco che aveva sentito era sintomo dell'amore che nutriva per lei. Se al momento ci avesse riflettuto e se ne fosse reso conto, probabilmente non avrebbe persistito e l'avrebbe lasciata stare; sarebbe stato cinico e avrebbe capito che ella non gli voleva parlare. Ma il suo amore non era cinico, era una fiammata passionale, come quella del rogo appena viene acceso, quando il combustibile si consuma in un secondo per poi dissolversi e dar inizio al lento ardere della legna. La sua fiamma lo portò avanti alcuni passi, e lo fece appoggiare al parapetto vicino a lei; tanto che le loro anche si toccarono.
" Ciao, Elena "
Lei si scansò di poco e smise di toccarlo, o di farsi toccare.
" Ciao Andrea ". Dopo aver detto ciò sorrise, ma smise subito. " come va? ".
" Bene. Bella festa, non è vero? ". Elena si guardò in torno, come per cercare qualcuno che non c'era. Si sistemò i capelli guardandosi i piedi e cercò di trovare la risposta alla domanda, che aveva quasi dimenticato.
" Si, non è male "
" Ti piacciono le feste? "
Lei alzò le sopracciglia, come se la domanda le fosse parsa inopportuna e stupida.
" Cioè, sei un tipo... da feste? ", provò a correggersi lui.
Lei sembrò rilassarsi e concedersi al dialogo. " Certo, mia piacciono le feste. Mi piace svagarmi e stare in compagnia ", e fece un risolino chinando il capo.
" Hai trovato il fermacapelli? "
" Quale? "
Non poteva esserselo dimenticato. Andrea si sentì per un momento in imbarazzo.
" L'altro giorno, in spiaggia, avevi perso il fermacapelli ed eri disperata a cercarlo... l'hai più trovato? ".
" Ah si, l'ho ritrovato. Ma non ero disperata... "
" Non intendevo dire questo ".
Perché aveva fatto finta di dimenticarsene? Perché aveva tentato di frenare la conversazione, perché gli resisteva? Questa era la sensazione di Andrea. Lei gli stava opponendo resistenza, e la ricerca del motivo lo stava disturbando. Era perché lui non le piaceva? O non le piaceva parlare con lui? No, non poteva essere questo. Alla spiaggia qualche giorno prima, quando si erano conosciuti, avevano parlato insieme, avevano passato un pomeriggio a scherzare, in amicizia. Le aveva offerto da bere al bar alla sera, prima che lei lo salutasse per tornare a casa. Se proprio non era il suo tipo di uomo almeno lo considerava un suo amico. Aveva parlato con lui per delle ore, e se proprio lo aveva sopportato mal volentieri, l'aveva sicuramente nascosto bene. Avrebbe potuto sopportarlo un pochino anche quella sera. No; Andrea aveva capito che il motivo non era lui. C'era qualcos'altro, ma il suo orgoglio non glielo lasciò intuire.
Di li a poco Andrea ed Elena si salutarono e lei tornò all'interno del salone. Lui stette a guardarla un poco, mentre raggiungeva alcune amiche e, infine, si disperdeva nella folla. Successivamente si rassegnò, ed entrò anche lui. Parlò con un po' di conoscenti e si dimenticò momentaneamente di lei.
Mezz'ora più tardi la rivide mentre parlava e scherzava con un ragazzotto biondo. Era un bel ragazzo, alto, con un fisico sportivo, ben vestito e con i capelli pettinati all'indietro. Ridevano e scherzavano animatamente. Andò verso il tavolo dove servivano i cocktail e poté sentirlo parlare. Dal tono della voce gli sembrò abbastanza stupido. Non lo considerò minimamente all'altezza della ragazza, né alla sua. Esteticamente, certo, doveva riconoscere che aveva un bell'aspetto, ma si limitava a quello, ne era sicuro. Andrea aveva una sua filosofia nel valutare le persone, ed era convinto che si poteva anche apprezzare una persona per il suo aspetto esteriore, ma non per più di una sera; o una notte. La sua convinzione che le donne fossero meno abbindolate dal fattore estetico degli uomini, lo confortava, e non gli faceva invidiare niente a quell'individuo. Tuttavia lei non sembrava essere più né pensierosa né annoiata.
Arrivarono due ragazze a farsi servire da bere. Erano due amiche di Elena. Gli sembrò di cogliere nel discorsi che facevano alcune parole che potevano essere riferite al ragazzo. "è molto carino" aveva detto una. "Già, molto, molto carino" aveva ribadito l'altra, ed erano poi scoppiate entrambe a ridere. Andrea in un primo momento non seppe di preciso a chi si riferissero, perché non riuscì a cogliere altre informazioni utili dal loro discorso. Per un momento pensò si riferissero a lui, ma subito dopo si sentì uno sciocco. Si riferivano sicuramente all'altro, a quello che parlava con la loro amica, e il suo disprezzo per il biondo e per quelle oche giulive accrebbe ulteriormente. Decise di cambiare aria e di allontanarsi da quella gente. Se ne andò in giardino con un'espressione di lieve disgusto sul volto.
Fuori trovò altri conoscenti. Ascoltò un gruppetto di giovani iniziati alla finanza parlare di questioni lavorative. Svuotò qualche flute di prosecco e si scompose solo per dare qualche consiglio scherzoso e qualche savia spiegazione del perché e del per come alcuni colleghi potevano aver preso certe decisioni poco azzeccate.
Mentre era sovrappensiero e non ascoltava più i suoi interlocutori, scorse Elena con il ragazzo biondo. Li vide poco prima che sparissero insieme nei fitti alberi del bosco.
Il suo sguardo si fece grave. Si allontanò dalla compagnia in silenzio e nessuno sembrò accorgersene. Prese un percorso ampio per non dare nell'occhio, e si inoltrò nel bosco anche lui. Vagò lentamente tra gli alberi. Riusciva a vedere solo a pochi passi da sé e si domandava dove fossero diretti in quel buio così fitto e silenzioso. Girò in tondo per alcuni minuti e alla fine li scorse. Vi era un'oasi all'interno del bosco, uno spazio circolare privo di alberi, il cui prato era curato. Al centro vi era una panca di ferro bianco battuto. Era illuminata dai raggi della luna; lì scorse i due amanti, seduti vicini. Li ascoltò parlare per alcuni minuti. Poi li vide baciarsi. Poco dopo si ritrasse perché non seppe più guardare. Fece alcuni passi per allontanarsi, ma pochi secondi dopo tornò indietro e continuò a guardare, nascosto dietro ad un albero. Osservava e fremeva. Era teso. Si sentiva uno spione, un ladro, ma non ci pensò troppo. Il suo corpo non rispondeva più alla sua volontà. Disprezzava quello che vedeva, e quello che gli stava succedendo, tuttavia continuava a guardare e non faceva nulla per interrompere quella tortura. Era la sua donna; la sua preda. Gli era stata rubata. Sottratta infidamente da un essere spregevole, e ora si concedeva dando spettacolo davanti a lui.
Si mise la mano nei pantaloni per liberarsi da una pressione che lo opprimeva. Erano diventati troppo stretti per contenerlo. Passò qualche minuto in quello stato e non sembrò accorgersi del tempo che passava. Finché un piacere troppo forte da contenere esplose, e poi si interruppe, di colpo. Si sentì frastornato. Si allontanò improvvisamente ricomponendosi come poteva, disgustato da quello che aveva appena fatto. Si riabbottonò i pantaloni mentre usciva dal bosco. Alzò lo sguardo e vide i giovani uomini d'affari ancora intenti a parlare. Uno di loro alzò la testa e scompose il cerchio. Fece due passi verso di lui e gli chiese dove fosse stato da solo nel bosco? Rideva. Cosa aveva da ridere? Andrea fece un cenno con la mano come per dire che non si trattava di niente, e continuò a camminare verso il palazzo dell'albergo. Salì le scale e attraversò il salone dove la gente continuava a ballare. Non guardò in faccia nessuno, attraversò la Hall ed uscì. Solo nella notte con la sua umiliazione.
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0 recensioni:
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Anonimo il 09/08/2011 16:24
e ci sei riuscito alla grande! Per questo a me ha ricordato "la signora dalloway" della woolf, o kmq altri romanzi o racconti psicanalitici (ke io adoooooro!
...
- Francesco, il tuo commento "oserei dire fuori dal tempo" mi lusinga, perche' e' proprio l'atmosfera che ho voluto creare. Nostalgica, di altri tempi.
Anonimo il 09/08/2011 15:56
molto interessante, belle descrizioni... oserei dire fuori dal tempo, e con quale, almeno per me, degli echi woolfiani!
- È il mio primo racconto qui e dovunque, Sonia. Grazie.
Ringrazio tutti colori che si sono presi e si prenderanno il tempo di leggero, e soprattutto coloro che troveranno il tempo e la voglia di scrivere una critica. Solo cosi' potremo migliorarci.
Grazie Giacomo per le giuste correzioni, e soprattutto grazie a Bianca per avermi offerto la tua attenta analisi.
Per ricambiare la vostra cortesia cerchero' di trovare il tempo per leggere e commentare le vostre produzioni. Senza temere di dire quello che penso veramente, come mi aspetterei che faceste voi. Penso che questa sia la strada giusta per crescere.
Anonimo il 09/08/2011 14:03
bella la storia, precise le descrizioni... è il tuo primo racconto qui?
benvenuto

- Scritto benissimo, uno stile narrativo scorrevole e godibilissimo, personaggi descritti con precisione quasi chirurgica sia nei tratti esteriori che psicologici... L'incipit annuncia un finale in attesa degli eventi... poi segue il lungo antefatto esplicativo che lancia il finale strano che mi ha lasciata un po' così... Di che amore parliamo? Tu stesso ben lo definisci, un misto di sentimenti e istinti animali, desiderio sessuale più che altro, fuoco che divampa e si consuma così velocemente da non lasciare traccia di cenere, senso di possesso per la preda prescelta con diritto di prelazione e la donna questo deve averlo capito visto il trattamento che riserva all'uomo lasciandolo al suo destino... e visto quello che riesce a "combinare" dopo, direi che se l'è meritato... Le donne sono ben strane, rischiano di buttarsi dalla padella alla brace ma la scelta deve essere la loro... Letto d'un fiato.

Anonimo il 09/08/2011 11:47
Interessante modo di esporre, con convincenti cambi di scena, quasi fosse un film. Ben scritto anche... per questo motivo considero refusi le due seguenti imprecisioni:
Alla prima pagina: in torno anzichè intorno
Alla seconda: come alcuni colleghi potevano aver fatto certe decisioni poco azzeccate... io sostituirei fatto con preso.
Buon esordio, senza dubbio... mi sa che ci rileggeremo. ciaociao


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