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Roberto Quaglia: I tormenti di un vigile urbano
Roberto Quaglia stava tentando di interpretare il groviglio di pensieri che lo torturava, le domande erano le solite, tutte rigorosamente legate alla sua insoddisfazione. Guardava la sua immagine riflessa nella vetrina, la divisa da vigile urbano gli stava a pennello, ma lui si sentiva ridicolo.
Se conosci uno sano di mente che ha scelto di fare questo mestiere presentamelo...
L'attesa si stava facendo insopportabile, il comandante (e giù bestemmie e improperi...) si era fatto accompagnare in città ed era sparito, né il libro che stava leggendo, né i quotidiani riuscivano ad alleviare il fastidio dell'attesa. Osservava le persone che affollavano Via Cortevecchia, pensionati che compravano il giornale sbirciando le riviste porno in bella mostra nella vetrina dell'edicola, casalinghe con borse stracolme, ragazzi che gironzolavano annoiati accendendo una sigaretta dopo l'altra. Stava per sbuffare per l'ennesima volta quando intravide Silvia, la più bella barista dell'intera provincia, la sua passione, il suo amore impossibile. Convinto che ci fosse la mano del destino, stava per chiamarla ma la curiosità e un improvviso colpo di gelosia gli fece cambiare idea, nascose la faccia dietro il foglio della cronaca locale e la osservò mentre entrava nel portone di un vecchio palazzo seminascosto tra una farmacia e un negozio di antiquariato. Il suo cuore era indeciso se fermarsi di colpo o accelerare fino a scoppiare. Decise di seguirla, il dubbio era atroce e sapeva di non poterlo sopportare, già l'idea di suo marito che la toccava gli faceva venire l'orticaria, figurarsi immaginarla tra le braccia di un altro. Non aveva ancora schiacciato il pulsante del telecomando che si materializzò il comandante. L'espressione di Bobby era tale da preoccupare anche il suo superiore che pretese di guidare.
Non trovava sollievo, nessuna attività riusciva a distoglierlo da quel pensiero, la solitudine gli pesava almeno quanto le persone lo infastidivano. Scartò l'idea di tornare a casa e decise di pranzare in trattoria, aveva lo stomaco chiuso ma le alternative erano tutte peggiori. La signora Giovanna, l'anziana proprietaria era un'esperta, nessuno sapeva muoversi meglio di lei in queste situazioni, accolse Bobby come una benedizione dal cielo. Iniziò lamentandosi per le poche soddisfazioni che quel lavoro offriva trovando subito la sua solidarietà e tra un complimento e un rimbrotto cominciò l'opera. Un paio di crostini con fegatini e funghi, un assaggio di insalata di cappone al tartufo, appena un assaggino, come lo chiamava lei, di tagliolini ai porcini, l'atteggiamento svogliato e sofferente del vigile urbano lasciò presto il campo a un impegno sempre più convinto. Ogni tanto gli tornava il pensiero ma decise che le pene d'amore andavano combattute con ogni mezzo. Lo squillo del cellulare arrivò proprio sull'ultimo cucchiaino di mousse al mascarpone con savoiardi caramellati e crema al cioccolato fondente. Un vero tentativo di suicidio.
Le due sorelle Gasparri, a dir il vero di cognome facevano Besozzi ma nessuno se ne ricordava, da sempre le chiamavano così per la loro passione per i fotoromanzi e in particolare per Franco Gasparri, il fratello del ministro, di cui si erano pazzamente innamorate. Tutte e due ovviamente. Le voci concitate, il plurale sta a significare che parlavano insieme nell'apparecchio, denunciavano gli schiamazzi e le malefatte dei comunisti che stavano allestendo la loro festa a qualche centinaia di metri dalla loro tabaccheria. Sapeva per esperienza che non avrebbero mollato l'osso finché non si fosse recato sul posto e poi era contento di doversi occupare di qualcosa, meglio se si trattava di un caso tanto intrigante. Il piacere del cibo stava svanendo in fretta e i pensieri lo attendevano al varco. Durante il breve tragitto tentò di convincersi che doveva smetterla con questa ossessione: Silvia doveva togliersela dalla testa: quel che fa, come vive, non è un problema mio. Il dado è tratto.
"Domitilla non posso multare per schiamazzi notturni quelle persone, hanno il permesso e sono le tre del pomeriggio. "Gli occhi iniettati di sangue di Antonia lo prepararono alla bordata "Non te ne frega niente perché sei un comunista come loro". Valle a spiegare che non erano comunisti nemmeno quelli che come suo nonno tenevano la foto di Enrico Berlinguer sopra il letto, figurarsi questi che l'unica cosa che sapevano fare era cambiare nome, simbolo, litigare e... Impiegò quasi un'ora per calmarle promettendo che li avrebbe obbligati a fare meno rumore.
Tornando verso il centro si fermò a mettere una multa sul parabrezza di un Suv parcheggiato davanti al passo carraio di un negozio chiuso, normalmente avrebbe fatto finta di niente ma con il Rag. Michele Ravani detto il figo aveva un conto aperto. Mentre infilava il foglietto tra il vetro e il tergicristallo immaginava la reazione rabbiosa; ci voleva proprio pensò anche se già sentiva la rampogna del comandante che non voleva problemi con il potente genitore di cotanto imbecille.
La decisione di rompere con Silvia lo faceva sentire più leggero, quasi orgoglioso. Entrò nel locale con il sorriso sulle labbra. "Un caffè ristretto per favore." Silvia ignorò la richiesta, si avvicinò e girando la testa prima da una parte e poi dall'altra gli chiese "Ti piace?" Bobby la guardava quasi inebetito, incapace di dire una parola. Aveva tagliato i capelli ed esibiva un vistoso caschetto nerissimo. "Mi è costato un occhio della testa, ho perso tutta la mattinata nel salone più importante della città e tu nemmeno te ne accorgi...", fece un'espressione offesa e tornò ad armeggiare con la macchina del caffè.
Un pomeriggio di buone intenzioni buttato in un attimo... se ci tiene al mio parere significa che non gli sono indifferente. Si sentiva ridicolo, sapeva perfettamente che quell'atteggiamento non significava niente ma non poteva farci nulla si sentiva sollevato, leggero, quasi felice. Mentre usciva dal locale vide la sua immagine riflessa nella grande parete a specchio, si regalò un sorriso di compatimento.
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