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Elogio della tartaruga
Guarda, lettore, la tartaruga. Guarda il suo fare lento che è quasi un non fare, guarda il suo passo calmo che percorre un metro in un'ora quasi si muovesse lungo un raggio di sole, lo sguardo pacifico, la testolina docile; guarda il suo guscio a cappella, tempio inviolabile eppur così semplice, guardala mentre bruca l'erba, mentre è assorta al sole in contemplazioni imperscrutabili, il suo mondo è il suo pezzo di terra, e nulla v'è nel mondo che non possa trovarsi in quel pezzo di terra, e lei, animale primordiale, lo sa. Una vita lentissima, ma una vita lunghissima. Nessuno lo può confutare.
È uno degli animali più longevi, certo è flemmatica, certissimamente è un posapiano, nella corsa non eccelle, nel fuggi fuggi resta indietro, ma nessuno riuscirà mai a spiegarle cosa sia una corsa o un fuggi fuggi, né quale sia la loro utilità nell'economia della vita.
Essa è così semplicemente perché è così che deve essere, perché non vi sarebbe vantaggio alcuno ad essere altrimenti, perché a lei, animale privilegiato, la natura ha donato saggezza. Una saggezza in guscio. Perché solo chi sa scrutare possa comprenderla e ammirarla.
Ve n'era una nel nostro giardino, la scoprimmo per caso a primavera inoltrata che si scaldava al sole, placida come una bonaccia, le zampette e la testolina fuori che ritirò immediatamente al nostro importuno strepitio.
Non sapevamo d'averla, né da quanto tempo fosse lì e neppure chi l'avesse portata, ché certo non era venuta da sola, ma fu una sorpresa gradita, per noi e anche per lei che era capitata tra gente che amava le bestie per atavica tradizione.
Tuttavia lei non sembrò accorgersene, poiché continuava imperterrita a chiudersi in casa al nostro minimo moto, al nostro più impercettibile suono. La cosa, sul principio, non ci piacque molto, ci sembrava d'interessarci a una pietra.
Né più né meno era questo l'aspetto che assumeva, e noi non eravamo abituati ad animali così scontrosi. Per un bel pezzo non scoprimmo niente di lei, se si escludono le dimensioni di un grosso ciottolo e una testa piccola e rugosa, intravista da non meno di tre metri.
Non meritavamo tanta alterigia, in fondo era pur sempre un ospite che si serviva a piacimento della nostra erba, dormiva sulla nostra terra e si scaldava ai raggi che cadevano nel nostro giardino. Gratis! Era evidente che, secondo lei, non valevamo più di un comune albergatore.
Perciò, continuò ad ignorarci con tutta la naturalezza propria delle bestie.
Noi, invece, non riuscivamo a ignorarla. Era troppo interessante nella sua noiosità. Era l'animale che non c'era. Forse ci piaceva proprio per questo. Dopo le più esilaranti e sconcertanti esperienze animalesche, ci attraeva non poco occuparci di un animale in tal modo costumato.
Quando la osservavamo, sembrava quasi che ci trasmettesse qualcosa della sua adorabile pacatezza. Più che adorabile, direi desiderabile, perché incredibilmente ci veniva voglia d'essere come lei, di muoverci come lei, con maestosa calma.
Non dovevamo neanche darle da mangiare, si procurava da sola il necessario, che era costituito da semplici foglie, da consumarsi senza previa cottura, senza risciacquo e senza nemmeno pensarci su.
Che meraviglia! Quale recondita saggezza si nascondeva dietro quelle apparenze così stupide?
Sfido, che vive tanto a lungo. Non se ne frega di niente. Niente di niente. Ottiene il massimo rendimento col minimo sforzo. Altro che gli studiosi di economia, che si arrovellano fino a farsi scoppiar le meningi senza cavare un ragno dal buco.
La tartaruga sa, per infusa sapienza, quali sono gli ingredienti giusti. Sa come strappare alla natura il suo mistero più tenace: il tempo.
Durante tutta l'estate calcolammo che dovette fare non più di cinquanta passi, tra l'andata e il ritorno dal suo nascondiglio, più delle brevi e ardimentose escursioni che la portavano, talvolta, a circumnavigare completamente l'albero di cachi. Ma si trattava di esperienze sporadiche, da imputarsi a un qualche curioso effetto perturbatorio, forse dovuto al sole troppo caldo o all'inquinamento, che le causava una temporanea perdita della ragione.
Un po' come avviene per l'uomo, seppure molto più di frequente.
Ma il bello era osservarla quando si crogiolava al sole, immobile come un sasso, silenziosa come la notte. Sapete che la tartaruga non ha voce? Noi, no, ma lo immaginavamo.
Avere un animale che non ha nulla da dire può rivelarsi una benedizione del cielo. Niente bau bau, nè miao, miao, né pio pio, né cra cra, niente di niente. Come i ragni e meglio dei pesci, che pure fingono di bofonchiare.
E vien voglia di dormire a guardarla, di gustare e assaporare fino in fondo tutte le delizie dell'ozio, di imbeversi del tepore del sole, senza nulla pensare, così, finché c'è.
Il gusto della frugalità, della riservatezza, della semplicità tante, troppe volte perduta.
Tuttavia vi è un che di regale nella tartaruga, soprattutto nella corazza che ricorda le armature e che dà al molliccio e rugoso corpicino dignità da cavaliere. Eh, già, a pensarci bene una tartaruga sprovvista di corazza si ridurrebbe pressappoco a una lumaca! E forse non sarebbe un gran bel vedere.
C'è un solo caso in cui la tartaruga si presta al ridicolo, ed è quando viene a trovarsi, per chissà quale accidenti, a pancia all'aria. E annaspa, e si dondola, e stira il collo grinzoso, fatica come mai avrebbe voluto faticare, così a lungo e inutilmente.
Offre al mondo la visione suprema della sua inverecondia. La sua tenerezza messa a nudo e alle intemperie. Uno spettacolo amatoriale, riservato a chi ha bevuto una volta il brodo di tartaruga. Per l'appunto.
Chi invece non l'ha bevuto ha facoltà di lasciarla lì dov'è, ad affogare nell'indifferenza di chi non ama le bestie e non muoverebbe un dito per loro, o rigirarla prontamente come una bistecca e rosolarla al calore di chi ama le bestie e muoverebbe più di un dito per loro.
La nostra tartaruga, che nel frattempo avevamo battezzato Dinamo, non si esibì mai in tali sconci atteggiamenti, così che non potemmo dimostrarle in alcun modo quanto ci interessasse quella sua vita oziosa. Del resto lei non se ne ebbe a male, seguitando imperterrita ad ignorarci del tutto.
In tutta l'estate una sola volta fummo degnati di un suo sguardo obliquo e stralunato, in fondo indifferente.
Avvenne nel pieno di un pomeriggio particolarmente afoso in cui ci eravamo rifugiati nell'angolo estremo del giardino, ombreggiato di fitto fogliame, e lei era lì, confusa tra il pietrame, ci guardò, la guardammo, stupiti del medesimo stupore. Durò un attimo. Lasciò immediatamente le sue occupazioni, che non si saprà mai quali fossero, per rintanarsi in casa sbarrando la porta.
Adesso era tale e quale un sasso. Un sasso con la vita dentro. Un sasso munito di mani, piedi e testa. Un sasso che, all'occorrenza si anima, si muove, si nutre, vive. Una celia della natura.
Non si poté fare a meno, allora, di farle il verso, di ritrarre mani e piedi all'interno.. di niente... ché la nostra casa era un po' spropositata per tenersela sul groppone.
Però che comodità, portarsi dietro la casa, non fare un passo senza di lei, averla sempre a portata di... mano, essere tutt'uno con essa...
Eliminare per sempre il problema abitativo dalla faccia della terra... con tutti gli annessi e i connessi... niente case, casette, casupole e catapecchie. Niente di niente, ognuno con la dimora sul groppone. Senza ascensori, senza portiere, senza indirizzi! Viaggiare in libertà per ogni dove, senza prenotare alcunché.
Senza dire vieni a trovarmi né verrò a trovarti. Visite e visitatori ridotti ai minimi termini, né più né meno delle frazioni, assoggettati alle regole dell'incontro casuale.
E senza il supplizio dei commenti... la casa del tale è bella... quella del tal altro, invece... eh, ma se vedessi la tizia dove abita!...
Questa e altre simili assurdità ci suggerì la compagnia di Dinamo, che con la solita indifferenza partecipò al casalingo convegno, calma come una bonaccia, muta come un sasso.
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