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Il velo di Fathma
Seduto dietro alla caldaietta per scaldare l'acqua Al Maed prepara il the per tutto il mercato. È bravo, mescola le foglie di the con certe erbe strane. Il suo the è il migliore. Io, una piccola ragazzina bastarda, incuriosita dalla menomazione che lo costringe a muoversi a fatica, ho cominciato ad osservarlo. Nel nostro villaggio ci sono molte persone malate o invalide, ma lui ha un modo particolare di accarezzare la sua gamba ritorta; come fosse il ricordo di qualcosa di intenso che l'ha sfiorato, lasciandogli quel segno del proprio passaggio. . Lui si è accorto di me, appena scacciata dalla casa di un lontano parente, sporca e sola. Dopo qualche giorno mi ha chiesto di aiutarlo a portare il the ai suoi clienti nel bazar. Magari ha visto le cicatrici nascoste sulla mia anima. Oppure cerca solo un po' di compagnia. Gli piace raccontare delle storie; la storia di Fathma me l'ha raccontata dopo qualche tempo che ho cominciato a portare il the per lui. E con essa storie di uomini incontrati quando attraversava il deserto guidando le carovane o commerciando, prima di diventare ciò che è adesso. Io mi siedo accanto a lui, le gambe incrociate nella polvere, lo guardo spezzare le foglie nell'acqua e ascolto la sua voce un po' nasale che parla. Poi vado a cercare dei piccoli pezzi di rami per alimentare il fuoco del bollitore, intanto imparo a versare il the nei bicchieri facendolo cadere dall'alto, a sistemare tutto sui vassoi e a correre per le stradine affollate senza versarne neanche una goccia. Poso i bicchieri sui tavolini di legno e scappo prendendo quelli vuoti; lungo la strada dalle botteghe altre persone mi chiamano, così arrivata a destinazione riferisco gli ordini e lui mi riempie il vassoio con altri bicchieri.
Sono brava come portatrice di the, anche se sono una piccola ragazzina senza famiglia: una buona capacità di equilibrio, velocità nel percorrere stradine affollate, occhio attento per prevedere ed evitare urti fra il vassoio carico di bicchieri e i corpi pesanti di mercanti e clienti nel bazar.
Al Maed, è un uomo rachitico e sporco che in gioventù ha percorso le rotte commerciali fra la città e le pianure verso la Turchia prima vendendo cammelli, poi guidando carovane di mercanti. La polvere e l'aria affilata del deserto hanno ridotto la sua pelle ad un'intricata ragnatela di rughe, finissime e intrecciate come un tessuto di ruvida iuta. La sua capacità di parlare a tutti e soprattutto di ascoltare tutti lo aveva preservato da spiacevoli incidenti nonostante le sue rotte incrociassero quelle di eserciti in rotta e di bande di ladri o di disertori. Il più delle volte a pagare il prezzo di questi incontri, sotto ad un sole arido o al riparo di stelle ammiccanti, erano alcuni dei suoi animali che con la loro compagnia andavano a mitigare gli animi accesi di quegli uomini feroci. Un pedaggio per proseguire il cammino, attraversando incolumi i confini invisibili della cupidigia umana.
Finchè una sera la prudenza e la capacità di restare al proprio posto, seduto ad ascoltare senza giudizio uomini assai poco umani, non si scontrò con gli occhi terrorizzati di una ragazza, Fathma, la serva velata di un uomo cieco in viaggio per questioni di eredità.
Erano giunti al caravanserraglio di Halamett, a tre giorni di viaggio dalla città di Bassora. Smontati dalle selle e subito prima di sistemare le tende per la notte videro una nuvola di polvere che si avvicinava da est. Quattro cavalieri. Tratti asiatici dichiaravano la loro provenienza Mongola. La paura poté più del disprezzo, tutti si prepararono a rendere il loro passaggio il più breve e indolore possibile. I quattro chiesero da mangiare e l'ottennero, chiesero dell'oro e l'ottennero, chiesero la giovane che accompagnava il cieco e l'ottennero. Ridendo assicurarono in quel loro arabo imbastardito che l'avrebbero restituita di li a poco. Una donna, una serva, valeva bene la tranquillità di tutta la carovana. Eppure Al Maed si mosse verso di loro, dopo aver letto negli occhi di Fathma chissà cosa: paura, forse, o forse rabbia, per la somma di ingiustizie che si coagulavano in quell'atto. Non fece in tempo a parlare, si frappose fra la ragazza e i cavalli sudati, alzò il braccio e riempì i polmoni per fare ciò che gli veniva meglio, parlare ed ascoltare, e trovare attraverso uno scambio la soluzione alla tristezza del mondo. Il colpo gli arrivò da dietro, non visto. Fu come un lampo di luce che riempì per un secondo l'oscurità che nel frattempo era scesa. Sentì il fianco spaccarsi e il corpo crollare non più sostenuto dalle gambe. Ma fu veramente questione di un momento, poi cadendo a terra il suo spirito rimbalzò verso l'alto lasciando carne, ossa e sangue al loro destino. Gli parve di vedere i tre mongoli che si avvicinavano con le sciabole sguainate mentre il quarto dietro di lui puliva la lama dal suo sangue col mantello. Ci fu un attimo di agitazione, colpire il carovaniere era un atto grave, anche per i quattro che, in quanto nomadi, erano consapevoli dell'importanza di una guida per affrontare steppe e deserti. Quella sorta di laica profanazione li turbò, cominciarono ad urlare e ad agitarsi poi girarono i cavalli e partirono al galoppo scomparendo nell'oscurità.
Lo spirito di Al Maed si distese nel silenzio che seguì, volteggiando fra le persone immobili. Poi si sentì attratto da una strana forza gravitazionale concentrata vicino al suo corpo immobile. La ragazza si era inginocchiata su di lui, e piangendo lo accarezzava.
Lo credeva morto, forse lo era. La forza attrattiva del cuore della giovane fu come un richiamo. L'esplosione dei polmoni che ricercavano l'aria risucchiò il suo spirito volteggiante sull'accampamento. Spalancò gli occhi urlando, non di dolore ma di sorpresa. I rumori riempirono lo spazio e si ritrovò a terra accasciato nel fango di sabbia e sangue. A quel punto svenne di nuovo, ma questa volta per piombare nell'oscurità.
Si risvegliò che era giorno. Sdraiato su una stuoia. La fronte bruciava per la febbre, la parte destra del corpo che pulsava dolorosamente. Era disteso sotto una tenda, nudo, con delle fasce che lo avvolgevano in vita e ai fianchi; provò a muoversi ma un senso di vertigine lo bloccò. Gemette cercando di regolarizzare il respiro e in quel momento la tenda si mosse. Entrò la ragazza.
Al Maed cercò di parlare ma la gola e le labbra erano secche, Fathma gli posò una mano sulla fronte poi accarezzandogli i capelli gli fece sollevare la testa e gli avvicinò alla bocca una ciotola. Il liquido era denso e amaro, aveva un odore forte di spezie sconosciute.
"bevi e riposati" gli disse la ragazza, e lui richiuse gli occhi.
Passò del tempo, Al Maed non sapeva quanto. Tutte le volte che riprendeva conoscenza lei era li, gli dava da bere degli infusi e dei decotti d'erbe, gli puliva la ferita. La febbre cominciò a calare; per sua fortuna la cintura rivestita di borchie che indossava la sera dell'aggressione aveva deviato e attutito il colpo della lama. La ferita era profonda, si, ma non mortale; il colpo gli aveva rotto alcune ossa del bacino e dell'anca. Cominciò a muoversi, dolorosamente, ma la gamba destra non rispondeva, non come avrebbe dovuto. In tutto quel tempo scambiò brevi frasi con Fathma.
I suoi occhi.
Al Maed la guardava, guardava i suoi occhi che rilucevano dietro al velo. Era l'unica parte del corpo che poteva vedere, a parte le mani.
"Come mai sei rimasta?"
"Il mio padrone ha pensato che avevo procurato troppi guai. È stato lui che mi ha detto di fermarmi qui."
"Hai degli occhi bellissimi."
"Tu invece hai ancora la febbre. Dormi e lasciami stare."
Al Maed sorrideva delle risposte brusche della ragazza. Aveva davvero degli occhi bellissimi, occhi che l'avevano colpito fin dal suo arrivo alla carovana all'inizio del viaggio; e poco a poco cominciò a pensare di proporre uno scambio al vecchio cieco che la possedeva. Lei si muoveva aggraziata sotto al velo, ogni movimento simile ad un passo di danza. Gli raccontò che la carovana aveva proseguito senza di lui, al caravanserraglio avevano trovato un altro carovaniere disposto ad accompagnarli nella seconda parte del viaggio. Avevano lasciato il suo compenso al muezzin della moschea locale; nel caso che lui non fosse sopravissuto sarebbe andato ai poveri del posto.
Ma lui sopravvisse e dopo quattro settimane da quella notte cominciò a muoversi e a scendere dalla branda sulla quale lo avevano sistemato.
Passò ancora qualche tempo e riuscì a fare qualche passo aiutato da due stampelle. Le ossa si stavano saldando secondo geometrie improbabili così ché per camminare la gamba destra doveva compiere un movimento circolare verso l'esterno. Al Maed si rese così conto che sarebbe rimasto storpio. La consapevolezza del suo stato lo chiuse in una morsa di frustrazione, intanto la sua capacità di muoversi aumentò e con essa il bisogno di avere vicino Fathma, quasi a mitigare tramite la sua presenza la menomazione che gli si rendeva sempre più evidente. Eppure lei sembrava più scostante man mano che si avvicinava il tempo del ritorno della carovana. E la carovana ritornò.
La sosta sarebbe stata breve; Al Maed sapeva di non essere ancora in grado di proseguire il viaggio con loro, quindi decise di parlare subito al cieco per chiedergli di lasciare Fathma con lui. Lo raggiunse nella tenda dove riposava assieme ad altri viaggiatori.
Entrò zoppicando, sorretto dalle stampelle. L'uomo lo accolse amabilmente, lo fece sedere e gli chiese come stava.
" Sono vivo, grazie ad Allah; e anche grazie alle cure di Fathma"
"Certo, quella ragazza è speciale per preparare bevande con le erbe"
Al Maed sorseggiò il the che l'uomo gli aveva offerto
" Io non sarò più lo stesso dopo questo viaggio, forse non potrò neppure più fare il carovaniere. Avrò bisogno di qualcuno che mi stia vicino. Pensavo di chiederti se potevi darmi Fathma."
Il vecchio lo ascoltò senza rispondere, un'espressione stupita e assieme divertita gli attraversò gli occhi spenti.
"Fathma ha molte doti e qualche difetto; fra gli altri quello di essere molto testarda. Con me sta meglio di quanto tu non pensi e non credo che vorrebbe lasciarmi."
" Già, anche se tu l'avresti lasciata senza pensarci troppo nelle mani di quei quattro predoni!"
" Tu pensi di sapere molte cose, invece non sai nulla. Fathma era arrabbiata, si, quella sera, ma sarebbe stata benissimo in grado di difendersi da sola. Ti assicuro che non aveva nulla da temere. Comunque se proprio insisti puoi parlare direttamente a lei. Siete stati assieme tanto tempo. Non sei riuscito a vederla senza il velo?"
" No, mi è bastato vedere quegli occhi bellissimi e le sue mani. Io voglio sposarla."
Il cieco si alzò e avvicinatosi all'apertura della tenda chiamò la ragazza, lei era seduta fuori che cuciva dei vestiti, posò tutto e si avvicinò.
" Fathma, il nostro amico vuole parlarti. Vai con lui in un posto tranquillo e senti ciò che ha da dirti, poi decidi tu cosa vuoi fare."
Al Maed era confuso dal modo di fare dell'uomo. Si incamminò seguito da Fathma fino alla sua tenda, entrarono e si sedettero l'uno di fronte all'altro.
" Fathma, ho chiesto al tuo padrone se..."
"Aspetta, fermati, prima di andare avanti voglio farti vedere una cosa. Quella sera, quando ti sei alzato per difendermi te ne sono stata grata, non tutti avrebbero fatto una cosa simile. È per questo che in tutte queste settimane ti sono stata vicina, ti ho aiutato a guarire. Però il mio debito con te si esaurisce con questo, io non ti devo niente, tu allora non mi hai salvata."
" Ma cosa dici, quegli uomini volevano violentarti!"
" Non ero in pericolo, quegli uomini non mi avrebbero toccata. Mi dispiace Al Maed." E così dicendo si sciolse il velo che le copriva il volto. Sotto agli occhi, quei bellissimi occhi castani, la pelle era accartocciata e livida, il naso era ridotto ad un moncherino e la bocca senza più le labbra scopriva le gengive e i denti affilati. Al Maed si ritrasse alzando una mano davanti al viso.
" È successo tanto tempo fa, un gruppo di soldati in fuga ha attraversato il villaggio nel quale vivevo. Hanno cercato di portarmi via assieme ad altre bambine. Io mi sono ribellata e ne ho ferito uno con un coltello. Allora mi hanno fatto questo, per insegnare agli altri che non bisogna mai opporsi. Dopo qualche anno mio padre mi ha venduta all'uomo cieco con il quale viaggio adesso. Lui non può vedere il mio volto, ma in tutti questi anni ha imparato a vedere la mia anima. Io voglio restare con lui."
Si rimise a posto il velo e lo guardò fisso negli occhi:
"Allora, Al Maed, che cosa volevi chiedermi?"
Ogni volta che lui mi racconta la storia di Fathma mi viene da piangere, e poi da ridere. Alcuni uomini pensano che il destino della terra sia nelle loro mani, si sentono responsabili della felicità degli altri. Non hanno imparato la lezione del grande deserto, ognuno è responsabile della propria felicità, e il destino, se esiste, non dipende dalla volontà di nessun mortale.
Se Al Maed avesse potuto vedere dietro al velo di Fathma fin dal primo momento, avrebbe capito che aiutarla era inutile perché lei era forte abbastanza. Non avrebbe proiettato su di lei il suo bisogno di proteggerla innamorandosene. Non sarebbe diventato storpio, non avrebbe imparato a fare il the e non si sarebbe messo all'angolo del bazar a venderlo.
Però forse io adesso non sarei qui a lavorare per lui ascoltando le sue storie. Una piccola bambina bastarda senza futuro. È per questo che quando mi fermo ad ascoltare la storia di Fathma piango e poi rido; e poi accarezzo la guancia ruvida di Al Maed e riparto decisa con il mio vassoio pieno di bicchieri di the, giocando ad immaginare i volti dietro ai veli che incontro per strada.
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