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Una storia di paese
Il nostro giocare in piccolo non serve al mondo (da: La Meditazione di Nelson Mandela).
Oggi mi sono svegliato che il sole già scotta. Non capita spesso soprattutto di questa stagione, la nebbiolina che si intravede dalla finestra semiaperta non lascia spazio a dubbi. Non che cambi molto, l'umidità prende servizio già all'alba e ti rimane appiccicata per l'intera giornata, una leggera patina gelatinosa che sembra volerti proteggere dalle impurità. I miei colleghi sorridono quando comincio a parlare dell'umidità della bassa padana, mi guardano con un'espressione indulgente e poco convinta ma bisogna vivere in questi luoghi per saper valutare la differenza. Rivedo l'espressione stranita di Elena e mi scappa un sorriso che rimbalza nello specchio. Nemmeno la constatazione della velocità con cui i miei capelli se la svignano e l'immancabile taglietto con il rasoio mi tolgono il buonumore. La doccia aumenta il benessere anche se so che questo stato di grazia durerà poco.
Ancora più strana la smania per l'imminente arrivo delle ferie, che mi ricordi sono sempre state più un fastidio che altro, sarà la vecchiaia. Dicono i vecchi.
"Cazzo mi hanno segnato l'auto con una chiave." Trattengo a stento una reazione rabbiosa anche se la porta del garage si starà ancora chiedendo cosa avesse commesso per meritare di essere sbattuta con tanta veemenza. Peccato sembrava una bella giornata. A farmi ritrovare il buonumore ci pensa il mio bastardone di razza che mi mette il muso per una carezza fatta al cagnotto del vicino.
"Buongiorno dottore, ha visto che giornata magnifica? Quest'anno l'estate è in anticipo". Immancabile il saluto dell'anziana vicina che sta stendendo i panni in cortile. Il sorriso malizioso di chi sa di poterselo permettere.
Deve essere stata una bella donna.
Il pensiero scatta e a nulla vale il tentativo di trattenerlo, mi accorgo subito della stupidaggine, mi ritrovo però a frugare nella memoria per recuperare un immagine, un episodio che mi faccia ricordare. Il pensiero svanisce appena parcheggio per comprare i giornali e godermi il primo caffè della giornata.
Qualcosa non quadra, l'ambiente non sembra lo stesso di sempre, forse l'orario, controllo l'orologio: un'ora circa di ritardo... Ho invaso una fascia oraria che non mi appartiene: gli operai dopo un caffè frettoloso hanno lasciato il posto alle mamme che accompagnano i bambini a scuola, il vigile è già appostato in mezzo alle strisce, la piazza è più frequentata. Immancabili i pensionati ma loro il territorio lo presidiano senza soluzione di continuità.
Il disagio è palpabile. I silenzi si alternano alla caciara di spiegazioni date tutte insieme. Un malessere che non è soltanto mio.
"Cosa succede?"
"Hanno ucciso il professore" risponde Silvia mentre mi allunga la tazzina. La mano tremante spiega il suo stato d'animo.
Un delitto in una comunità di poche migliaia di persone investe tutti direttamente, il tempo si ferma e sai che quando ripartirà niente sarà più come prima. Non è solamente la perdita di qualcuno che conosci, è la straordinarietà dell'evento, la profanazione di un equilibrio fatto di abitudini, di certezze, una paura irrazionale che non puoi esorcizzare. Anche un uomo ucciso può essere ridotto a semplice comparsa.
Il Professore? Chi poteva avercela con un povero diavolo che viveva con una misera pensione di invalidità, qualche lavoretto, qualche commissione. Due stanze messegli a disposizione da un lontano parente. Sempre pronto a sorriderti. Non aveva niente e non se ne lamentava, anzi era lui spesso a confortare gli altri. Alberto Valiani soprannominato il professore per la sua passione: la lettura. Si vantava di leggere un libro a settimana e se lo sfidavi ti raccontava trama, episodi e pure gli errori commessi dell'autore. Citava quasi tutti i più grandi scrittori per nome, a qualcuno aveva pure affibbiato un nomignolo.
Una istituzione. Una nota di folklore. Un tipo strano, sentenziavano i più.
Mi guardo in giro come a cercare la risposta ma vedo solo tristezza, incredulità. Persone che non capiscono come possano succedere certe cose, soprattutto non capiscono come possano succedere qui. Uno sceglie di vivere nel buco del culo del mondo pensando di essere al sicuro e invece scopre che non è così.
"Nemmeno da noi è più come una volta con tutti questi extracomunitari." Ecco fatto, se serviva la controprova, la battuta razzista azzera le distanze. Lo stronzo mi guarda cercando consenso ma distoglie subito lo sguardo inseguendo la fortuna da qualche altra parte. Adesso ci manca solo che sia stato un albanese penso osservandone un gruppo che sta caricando un camion: qualcuno sbraita e gli altri eseguono in silenzio.
Il diavolo è un ottimista se pensa di peggiorare gli uomini. Quanta verità nelle parole di Kraus.
Ho già percorso un lungo tratto di autostrada quando mi accorgo di non sapere né come fosse stato ucciso né quando. Il giornale radio non ne ha fatto cenno e per il notiziario locale avrei dovuto aspettare il pomeriggio. Non avevo mai prestato grande attenzione a quella figura un po' particolare, lo incrociavo raramente, quasi un estraneo. Una volta aveva insistito per offrirmi un caffè, il modo per ringraziarmi di avergli regalato un cartone di libri. Monica la responsabile della biblioteca, il suo occhio dritto, mi rivelò che per giorni ero stato al centro dei suoi pensieri, tette le occasioni erano buone per incensarmi. Lo ricordo vestito con jeans e camicia bianca a righine azzurre, aveva un predilezione per il bianco. Le due stanze al piano terra erano celebri per la pulizia e soprattutto per l'ordine maniacale. Niente tivù, niente telefono. Una radio e un impianto stereo di buona fattura e una quantità impressionante di libri. Ripensare a quella descrizione mi procurava quasi un senso di vertigine. L'ansia per quella solitudine e al tempo stesso l'invidia per una libertà che intravedevo senza riuscire a cogliere veramente.
Perché un uomo così deve essere considerato strano? Perché deve essere lasciato ai margini?
Non gli ho mai mancato di rispetto ma, anche se mi secca ammetterlo, ho finito anch'io per considerarlo diverso. Si pensa sempre di non essere condizionati ma il veleno lo assorbi lentamente e alla fine diventi come non avresti voluto. Cosa c'è di male a vivere liberi e felici del poco che si ha. Amava la cultura non come mezzo ma come fine. Insomma era un uomo libero e forse proprio per questo faceva paura.
Perché uccidere uno così? Forse aveva visto qualcosa che non doveva, forse aveva una relazione e... immaginai il fermento, la confusione, i carabinieri che profanavano il suo tempio. I suoi libri ormai orfani.
Forse l'uso prolungato del computer mi ha rimbecillito ma per un attimo ho la sensazione di poter cliccare sulla freccetta per annullare l'azione.
La riunione si rivelò più complicata del previsto e mi distolse per qualche ora dal fatto proiettandomi nella mia solita dimensione. Una dimensione che con la libertà non ha niente da spartire. Monica mi telefonò che stavo uscendo dall'ufficio, la voce rotta, "È stato Nesil."
# # #
"L'hanno trovato seduto vicino alla fontana che piangeva." Il disgraziato aveva trovato la porta aperta ed era entrato per chiedere qualcosa da mangiare, il professore rientrando lo ha sorpreso che rovistava nei cassetti, nella colluttazione è caduto e ha battuto la testa nello spigolo della libreria. Una morte assurda. Pinuccio il carabiniere che aveva seguito le indagini aveva concluso il racconto tirando su col naso.
Non tutti nella capitale
sbocciano i fiori del male,
qualche assassinio senza pretese
lo abbiamo anche noi in paese.
Qualche assassinio senza pretese
lo abbiamo anche noi qui in paese.
La voce di Iccio come lui amava chiamare Fabrizio De André accompagnò il breve tragitto dalla chiesa al cimitero.
Addio Professore. Nemmeno la morte ha voluto essere generosa con te, alla fine si è trattato di un incidente, drammatico quanto banale. UNA TRAGICA FATALITA', il titolo del Resto Del Carlino non potrebbe essere più efficace.
Chissà quante volte hai cercato negli occhi della gente gli sguardi che si sprecavano al tuo funerale, tutti facevano a gara per raccontare episodi, aneddoti. Quante parole sprecate, quanta miseria. Probabilmente è proprio questa la tua rivincita, essere riuscito a fare tanto rumore senza mai alzare la voce.
Domani tutti torneranno alle loro attività, alla loro rincorsa ma ogni tanto qualcuno ti ricorderà, ti racconterà e diventerai il protagonista di quelle storie sempre diverse, ogni volta più ricche, quelle storie dove verità e fantasia si fondono. Storie che si tramandano e con il tempo si trasformano in leggenda.
Una leggenda di paese.
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0 recensioni:
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luigi il 08/12/2011 18:10
lineare, senza sbalzi, va come a spegnersi lentamente. complimenti
Daryl il 19/09/2011 01:55
Non ti leggevo da tanto... Sei davvero bravissimo! Complimenti! Per tutto contenuti e forma!
- Ciao Ivan, un giorno mi metterò a leggere i racconti, ora sono passato per salutarti.
Un abbraccio,
Michelangelo
- Ottimo racconto, in cui i vari protagonisti (il narratore, la vittima, il paesaggio) si rubano la scena in un alternarsi di sensazioni, in cui si narra di un delitto descrivendo le emozioni. Scritto con destrezza e capacità, doti che ormai possono definirsi rare.
Veramente bello
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