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La passione di "Re Giovedì" - Le vacanze degli innocenti parte seconda
LE VACANZE DEGLI INNOCENTI PARTE SECONDA
(La passione di”Re Giovedì”)
Di Vittorio Frau
“Re Giovedì” era uno degli svariati nomignoli con il quale era noto negli ambienti cagliaritani il mio amico Orlando, un ameno individuo dal volto patibolare, dotato di un senso dell’umorismo fuori dal comune e di una carica erotica che rasentava la patologia clinica. Era noto per provare attrazione sessuale verso qualunque essere vivente (o morto da poco), purché maggiorenne, consenziente e naturalmente appartenente all’altro sesso. Il bizzarro soprannome gli era stato affibbiato a causa di un originalissimo sistema di “abbordaggio” che gli consentiva di ghermire varie prede con le quali dare sfogo ai suoi istinti bestiali: il Giovedì, infatti, era a quei tempi il giorno di riposo settimanale delle collaboratrici domestiche, che egli soleva attendere pazientemente fin dalle prime ore del pomeriggio nei pressi della stazione ferroviaria di Piazza Repubblica, attirandole verso la sua direzione con potenti fischi a risucchio, per poi conquistarle grazie alla facilità con la quale riusciva ad inventare spaventose bugie che avrebbero fatto vergognare persino Pinocchio.
Condividevo con “Re giovedì” il più totale disprezzo per viaggi e vacanze, ma purtroppo alcuni amici privi di scrupoli studiarono un diabolico piano con il quale riuscirono a scardinarne le difese. Costoro, infatti, con una paziente opera di convincimento basata su un castello di menzogne, riuscirono a convincere Orlando che nei campeggi della Costa Smeralda era sufficiente schioccare le dita perché la tendina canadese venisse invasa da straniere assetate di sesso, che erano irresistibilmente attratte dagli italiani con il petto villoso. Questo tarlo cominciò a divorare lentamente il muro antivacanze che “Re Giovedì” aveva eretto. Nei giorni successivi al colloquio con gli amici appariva sognante e pensieroso, faceva lunghe passeggiate solitarie al tramonto, formandosi con l’indice della mano destra dei riccioli di pelo sul petto che come villosità non era inferiore a quello di qualsiasi gorilla mai apparso sulle terre emerse; ricordo che qualcuno ha persino giurato di averlo visto ululare sulla sommità di “Monte Urpinu”. La fatidica telefonata mi giunse all’alba del 13 agosto 1982: “Vittorio ho deciso, IO CI VADO!” Fu come essere trafitto da un giavellotto, caddi nello sconforto più totale, inforcai la mia “Vespa PX 125” che nel corso degli anni aveva preso il posto del “Bravo” giovanile e, cieco di dolore, feci un centinaio di giri della città alla velocità di 90 Km orari, seminando il panico fra automobilisti e pedoni che mi osservavano esterrefatti. Terminato il carburante mi fermai, spinsi mestamente la “vespa” fino a casa e mi distesi sul pavimento al buio, con le braccia aperte a mo’ di Cristo in croce e gli occhi sbarrati. Dopo cinque ore di spaventosi conflitti interiori, maturai l’insana decisione e comunicai a “Re Giovedì” l’intenzione di non abbandonarlo nei difficili giorni che prevedevo avrebbe vissuto di lì a poco.
Il mio piede destro spinse con decisione la pedivella per l’accensione della vespa alle ore 05. 00 del 14 agosto 1982; Orlando abitava a poche centinaia di metri da casa mia, e alle 05. 02 ero sotto la sua abitazione. Lui era lì, sotto il portone, con indosso una camicia hawayana, un paio di bermuda impermeabili “Zeta Zucchi” a righe orizzontali bianche e verdi e ai piedi zoccoli in legno di tipo olandese per la cui fattura era senza dubbio stato necessario sacrificare un’intera sequoia secolare. Ci guardammo negli occhi senza proferire verbo per quindici lunghi minuti, durante i quali io speravo in un ripensamento, mentre lui continuava imperterrito ad allisciarsi con il palmo della mano destra un vistoso ciuffo di peli che la sua camicia conteneva a fatica, poi si mise sulle spalle uno zaino militare avuto in prestito dal fratello maggiore, dal quale spuntava beffarda una caffettiera a quattro beccucci e partimmo senza indugi. Al nostro arrivo nella Via Cettigne, luogo dell’appuntamento con il resto della compagnia, fummo accolti da un’ovazione che, a causa dell’ora dai più dedicata al riposo, provocò un lancio di acqua gelata da parte dell’inquilino del primo piano, il signor Scarpa, con il quale già da parecchio tempo eravamo ai ferri corti per via dei continui schiamazzi di cui eravamo innegabilmente responsabili. La spiacevole cascata centrò in pieno “Re Giovedì”, che ancora una volta non smentì il suo temperamento sanguigno sfilandosi lo zoccolo sinistro e scagliandolo alla volta della finestra dalla quale era partito il “gavettone”, mandando in frantumi il vetro che il signor Scarpa aveva chiuso con gesto felino. Questo fatto fece sì che la nostra partenza avvenisse repentinamente, senza perdere tempo in convenevoli. Lanciai uno sguardo carico d’odio a Giulio, Pierclaudio, Giuseppe e Andrea visibilmente soddisfatti per essere riusciti nell’epica impresa del convincerci a seguirli nel viaggio. Vorrei spendere qualche riga per descrivere gli amici appena citati: Giulio era un tipo imperturbabile, gioviale, il cui unico problema erano i furiosi quanto improvvisi attacchi di dissenteria che, come guidati da una regia occulta, lo colpivano quasi scientificamente nei momenti meno opportuni, creandogli non pochi problemi; Giuseppe “No limits” praticava con mediocrità tutti gli sport esistenti al mondo, Andrea era il bello della compagnia, alto, longilineo, occhi azzurri, proveniente da una famiglia di attivisti liberali, viziato fino all’eccesso; la facilità con la quale conquistava le donne era pari soltanto a quella con cui lo mandavano a quel paese non appena affrontavano con lui un qualsiasi discorso. Ho volutamente lasciato per ultimo l’amico Pierclaudio, venticinquenne, il più grande della compagnia, noto negli ambienti giovanili con il nomignolo di “Guasto”; non ho mai capito se fosse realmente scemo o se facesse finta, so soltanto che mai soprannome fu tanto azzeccato. Perennemente afflitto da herpes ed emorroidi, in “Guasto” era totalmente assente qualsiasi senso della misura, unico scopo della sua esistenza era l’architettare scherzi idioti al limite del codice penale che portava avanti fino allo scontro fisico e oltre; più volte è infatti stato necessario tramortirlo per mettere fine alle sue burle. Facemmo l’immancabile sosta al 123° chilometro della SS 131 dove si trova l’unico punto di ristoro che può essere definito la “caricatura” di un autogrill. Mentre noi ci rifocillavamo al bar, Orlando si avvicinò con fare indifferente all’edicola vicino alle pompe di benzina dove acquistò con naturalezza “Le Ore”, “Play Men”, un libro della serie “armony” e una copia di “Lando”, suo idolo da sempre. L’apparente contraddizione riscontrabile nell’acquisto simultaneo di un libro romantico e “Lando” può ovviamente colpire chiunque non conosca a fondo la bizzarra personalità del mio irsuto amico, in effetti un caratteristico aspetto della vulcanica esistenza di “Re Giovedì” era quello concernente l’amalgamarsi del suo lato romantico con la carica erotica primordiale di cui era dotato, formando una miscela caratteriale che a mio parere avrebbe dovuto far dichiarare “Re Giovedì” “patrimonio dell’umanità”. Per dare un’idea di questo fenomeno posso raccontare ciò che accadde quando, qualche anno addietro, ci recammo al cinema per vedere “Il tempo delle mele”: il poveretto rimase fortemente scosso dalle vicissitudini sentimentali della giovane Sophie Marceau, singhiozzò per tutto il primo tempo per poi scoppiare in un pianto a dirotto che portò al formarsi di un capannello di persone impegnate a consolarlo. La serata si concluse con una notte di passione trascorsa dall’imprevedibile Orlando con una non più giovane vedova che pareva avere preso particolarmente a cuore i sentimenti di quel ”tenero giovanottone dall’aspetto un po’ rude”, come lo definì mentre abbracciati si allontanavano dalla sala di proiezione singhiozzando. Tornando a noi, ricordo che entrò disinvolto nel bar con i giornali sottobraccio, scatenando l’ilarità degli avventori sia per la qualità delle sue letture, sia perché aveva ai piedi delle “giapponesine infradito” celesti, prestategli da “Guasto” in sostituzione degli zoccoli olandesi ormai scompagnati a causa del precedente lancio contro la finestra del signor Scarpa. Poco dopo ci rimettemmo in viaggio, ma dopo pochi chilometri venimmo fermati da una pattuglia della stradale. “Bene, bene, voi credete di essere a Monza, vero?” - disse l’agente probabilmente riferendosi al fatto che avevamo oltrepassato i limiti di velocità - “Favorite i documenti!” - a quel punto accadde ciò che purtroppo già mi aspettavo per avere vissuto analoghe situazioni svariate volte: alla vista del volto da rapinatore dell’amico Orlando i poliziotti cominciarono ad accarezzare nervosamente i mitra che pendevano minacciosi dal loro fianco sinistro e decisero di perquisirlo. La faccia da galera di “Re Giovedì” era un arma a doppio taglio: se da un lato c’era stata utile più di una volta per terrorizzare i potenziali avversari dei litigi giovanili, dall’altro ci creava problemi con le forze dell’ordine o i proprietari di qualsiasi attività commerciale che non appena ci vedevano entrare nei loro esercizi chiudevano la cassa, spesso ingoiando la chiave. “Belle scarpette” - disse l’agente osservando le “giapponesine” ai piedi di Orlando- “adesso metti le mani sul tettuccio della macchina e divarica le gambe, sbaglierò ma tu somigli a un pericoloso latitante!”. Il poliziotto parlava con accento romano e Guasto, ossessivamente e misteriosamente tifoso della Roma, ebbe l’infelice idea di gridare “Forza magica Roma!”, accompagnando l’esclamazione con una violenta pacca sulla spalla dell’agente che, già con i nervi tesi a causa della convinzione di trovarsi alle prese con un pericoloso sequestratore, reagì d’istinto e con una mossa imparata all’accademia mandò gambe all’aria l’amico Pierclaudio, immobilizzandolo al suolo con un piede sul collo. “Stai fermo, animale!” - gridò l’agente - “sei in arresto!” Fu provvidenziale a quel punto l’intervento di Andrea il cui parlare forbito, l’aspetto da bravo ragazzo, ma soprattutto il fare il nome di un suo zio assessore regionale, riuscì a risolvere parzialmente l’intricata situazione che rischiava di farsi pesante. “ Va bene voi potete andare, ma “l’animale” resta con noi!” - esclamò l’iracondo tutore dell’ordine.- Nell’udire quella frase “Guasto” scoppiò in un pianto a dirotto avvinghiandosi a Giulio che lo scacciò con un calcio in pieno petto; allora si aggrappò all’agente, cercando di baciarlo per ingraziarselo. La scena era molto buffa: il poliziotto cercava di sottrarsi al bacio spingendo con una mano la fronte di “Guasto” evidentemente terrorizzato dall’idea di essere solo sfiorato da quelle sanguinolente labbra martoriate dall’herpes, mentre Orlando, temendo in un nuovo precipitare della situazione, tentava di tramortirlo colpendolo sul capo con il solitario zoccolo olandese che portava nello zaino. I colpi infertigli non bastarono per fargli perdere i sensi come più volte in passato era stato necessario fare, tuttavia furono sufficienti perché “Guasto” mollasse un attimo la presa lasciando che i poliziotti, ormai sicuri di avere a che fare con un essere incapace di intendere e volere, se ne andassero in gran fretta. “Guasto” pianse ininterrottamente per i restanti 90 chilometri e, intorno alle ore 14, arrivammo a Olbia. Eravamo stanchi, affamati, sudati come cammelli e decidemmo quindi di fare un’improvvisata, a dire il vero non troppo disinteressata, a un nostro vecchio amico di nome Gigi, da tempo trasferitosi con la famiglia nella ridente cittadina Gallurese. Gigi, non sospettando che l’unico motivo per cui bussavamo alla sua porta era la fama di cuoca provetta che aveva sua madre, ci accolse con le lacrime agli occhi e in men che non si dica ci trovammo di fronte a una tavola imbandita con ogni ben di Dio. Lo spettacolo che offrimmo nei minuti successivi non fu certo dei più edificanti, mi limiterò a dire che tranne Andrea, che non smentì neanche in quell’occasione la sua fama di ragazzo bene educato arrivando persino a usare le posate, noi ci comportammo come il grande Totò nella scena del pranzo nel film “Miseria e Nobiltà”. Ricordo come fosse ieri gli occhi sbarrati della mamma di Gigi, mentre osservava “Guasto” che mangiava avidamente dei tovaglioli tipo “scottex” inzuppati nel sugo, per poi congedarci adducendo improbabili impegni improvvisi.
Ci dirigemmo verso uno dei tanti campeggi della Costa Smeralda, quello di Isuledda, distante poche decine di chilometri da Olbia. Giunti nelle vicinanze del campeggio, “Guasto” disse: ” ragazzi lasciate parlare me, sono già stato qui l’anno scorso!” All’ingresso vi era una roulotte adibita a “reception”; Pierclaudio vi si avvicinò con la sua inconfondibile andatura: punte dei piedi rivolte all’interno e gambe divaricate a causa della cronica infiammazione emorroidale acutizzatasi durante il viaggio. Scorgemmo l’addetto alla “reception” fissare con espressione pietrificata quello strano essere con fare da plantigrado che gli si avvicinava e, quando “Guasto” fu in prossimità della sua roulotte, balbettò: “ Tu! ... sei proprio tu! ... Maledetto animale! Io ti ammazzo, l’anno scorso hai fatto scappare la metà dei campeggiatori!” E, afferrata una spranga metallica che solitamente utilizzava per sollevare la tenda parasole del suo ufficio semovente, scavalcò il bancone alla “olio cuore” per poi inseguire il povero Pierclaudio vibrando dei fendenti senza fortunatamente riuscire a colpirlo. L’inseguimento, che noi osservammo a debita distanza, terminò parecchi chilometri dopo, allorché “Guasto”, dopo una bucolica corsa fra i campi, trovò riparo in una porcilaia stracolma dei simpatici suini che sopportarono malvolentieri la presenza fra loro di quello strano essere. L’inseguitore piantonò la porcilaia per quattro interminabili ore, dopo di che, a causa degli impegni di lavoro, fece ritorno alla roulotte con il randello in spalla, non prima però di averci avvisato che se Pierclaudio si fosse nuovamente avvicinato al campeggio durante i prossimi cento anni “gli avrebbe staccato la testa dal collo.”. Dopo qualche minuto trascorso inutilmente chiamando a gran voce l’amico nascosto, vedemmo la rudimentale porta della porcilaia aprirsi di colpo, ma non uscì “Guasto” come tutti ci aspettavamo, i primi a fuggire furono i maiali. Ci fu anche un risvolto sportivo nella faccenda: Giuseppe “No Limits”, memore dei rodei con i maiali visti in una trasmissione sulla seconda rete, lanciò un urlo da mandriano del Texas e balzò in groppa a quello che per mole pareva essere il capo branco, finendo ben presto disarcionato in prossimità di un cespuglio di rovi. Ricordo che a quel punto ebbi un attimo di sconforto e pensai che una tale quantità di imbecilli non poteva trovarsi concentrata in così poche persone. Quando anche l’ultimo suino prese le distanze dall’indesiderato ospite, ci facemmo coraggio, prendemmo un bel respiro e ci catapultammo all’interno. “Guasto” era accovacciato carponi in un angolo, con la faccia sprofondata nella melma che ricopriva abbondante il suolo e il deretano rivolto verso l’alto. Accortosi che il suo aguzzino era ormai lontano fece un grosso sospiro di sollievo che gli servì, fra l’altro, a liberare la cavità orale da alcuni pezzi di molliccio materiale marrone che aveva in bocca da quando aveva cercato di nascondersi a mo’ di struzzo. “Può darsi che la cacca dei maiali faccia guarire la cancrena che hai nelle labbra!” - sentenziò “Re Giovedì” -, frase che scatenò in noi un’irrefrenabile ilarità che si spense parecchi minuti più tardi. Guasto, dopo qualche resistenza, ci spiegò il perchè quel tizio provasse tanto risentimento nei suoi confronti: pare che l’anno precedente egli si trovasse da solo nel campeggio di “Isuledda” poiché, e la cosa non provoca in me nessuna meraviglia, alcuni amici con i quali avrebbe dovuto incontrarsi non si erano presentati all’appuntamento e aveva pensato bene di divertirsi alla sua maniera: introdottosi nottetempo nel ristorante, mise un potente purgante nelle scorte di sugo presenti nei frigoriferi delle cucine, sostituì i funghi per il risotto con degli altri altamente tossici, segò con lavoro certosino tutte le gambe delle sedie lasciandole attaccate per la sola forza di gravità, defecò in diversi barattolini di plastica che poi attaccò con della colla da falegname al di sotto dei tavoli, inoltre, approfittando dell’influenza che tutti gli imbecilli hanno sulle masse, fomentò una rivolta dei campeggiatori motivandola con la scarsa igiene del ristorante. Il risultato fu devastante per i titolari del campeggio: più della metà dei villeggianti si recò, con Guasto in testa, negli uffici della direzione e dopo aver distrutto mobili e suppellettili, abbandonò il campeggio senza pagare il conto.
Giungemmo al calare delle prime ombre della sera in un secondo “camping”, quello di Cala Gabbiano, un delizioso posto a due passi da una spiaggia bianchissima e dall’acqua color smeraldo, poco distante dalle Grotte di Venere, un posto dantesco raggiungibile dopo aver disceso settecento ripidi scalini a strapiombo sul mare. Dentro di me speravo che “Guasto” fosse già noto anche in questo campeggio così da accelerare il ritorno a casa ma Giulio, il più saggio della compagnia, decise di non mandare il turbolento amico in avanscoperta come aveva fatto a “Isuledda”. Si presentava quindi il problema di scegliere chi avrebbe dovuto espletare le formalità di rito alla reception del campeggio. Io fui scartato immediatamente perchè Giulio temeva, non a torto, che avrei fatto di tutto perchè ci venisse negato l’accesso anche a Cala Gabbiano, Orlando aveva, come noto, un viso assai poco presentabile, quindi la scelta cadde su Andrea che, orgoglioso per essere stato prescelto, sfoderò tutto il suo “charme” e, soprattutto, fece per la seconda volta il nome del suo zio assessore regionale. Giulio intimò con linguaggio brutale a Guasto di comportarsi come un normale essere umano per almeno mezzora, il tempo necessario perchè ci venisse assegnata una piazzola dove mettere la tenda, e stranamente questa volta fu ascoltato. Come tocco finale obbligò Orlando a coprirsi il viso con un fazzoletto fingendo un mal di denti. Poche ore dopo eravamo all’interno della tenda studiando a tavolino delle strategie per la conquista delle turiste. “Re Giovedì” aveva tenuto la sua libidine faticosamente imbrigliata per parecchie ore e, memore del becero luogo comune che vuole le donne straniere attratte dagli uomini con il petto villoso, gridò: “Adesso vi faccio vedere io!” Si stracciò con gesto fatale la camicia awayana dall’irsuto torace, uscì dalla tenda e si diresse con passo sicuro verso tre deliziose tedeschine che, a una cinquantina di metri di distanza stavano mettendo ad asciugare i loro teli da mare. Noi eravamo troppo distanti per riuscire a sentire ciò che si dicevano, vedemmo “Re Giovedì” appoggiarsi con fare sensuale ad un albero cui era fissata un’estremità del filo utilizzato dalle graziose turiste per stendere e dire qualche parola con un sorriso mefistofelico, mentre con la mano destra si formava sul petto delle trecce alla Bob Marley. Le ragazze dapprima lo guardarono stupite, parlottarono fra loro e una si infilò dentro la tenda. “Incredibile, quella ci sta davvero” - dissi pensando che quel suo appartarsi fosse un esplicito invito per l’assatanato Orlando, ma fu un’impressione sbagliata: la giovane, infatti, uscì poco dopo con qualcosa nella mano sinistra che dalla nostra posizione non riuscivamo a identificare, qualcosa che consegnò al nostro povero amico provocandogli un repentino cambio d’umore. L’espressione sognante che “Re Giovedì” aveva fino a pochi attimi prima sparì come d’incanto, e il suo viso divenne cupo come il fondo di una miniera di carbone. Vedemmo l’amico dirigersi verso la nostra tenda con passo lento, spalle incurvate e occhi fissi al suolo, nella mano destra il beffardo “testimone” passatogli dalla sua mancata preda un tubetto verde con scritto: “CREMA DEPILATORIA RAPIDA”. “Mi avete ingannato”, - disse Orlando scoppiando in lacrime - “non si scherza con i sentimenti di un uomo”. Quella frase ci fece capire che il nostro povero Orlando non aveva ben chiara in mente la differenza fra i sentimenti e i puri istinti bestiali che lui riteneva tali.
“Re Giovedì” si buttò bocconi sul lettino e rimase immobile, noi parlottammo per qualche minuto poi, vinti dalla stanchezza, ci addormentammo. Purtroppo non avevamo fatto i conti con l’unica specie animale che, sfuggita alle leggi di Darwin, si era evoluta appositamente per rovinare la vita dei vacanzieri poco abbienti: le terribili “zanzare da campeggio”, veri e propri esseri maligni organizzati militarmente, con una rigida gerarchia e capaci di strategie che avrebbero fatto impallidire anche Napoleone Bonaparte: sferrarono il loro attacco dopo che era trascorso un minuto esatto dalla chiusura dell’ultima palpebra: ingaggiammo una battaglia furiosa con gesta epiche come il tramortire la “zanzara generale” (una specie di “ape regina” del mondo delle zanzare da campeggiatore) con una testata e mettendo in campo varie tecniche di difesa; la giapponesina infradito di “Re Giovedì” saettava nell’aria sibilando come una frusta da domatore, spesso concludendo la sua corsa sulla schiena o sul viso di qualche malcapitato che, impegnato nella singolar tenzone, non era in grado di spostarsi in tempo. Un gruppo di zanzare riuscì con una manovra a tenaglia a disarmare Pierclaudio che stramazzò al suolo, tuttavia gli immondi insetti, probabilmente schifati al pensiero di cibarsi del sangue appartenente a “Guasto” si limitavano ad effettuare a turno dei passaggi radenti in prossimità delle sue enormi orecchie; accendemmo una quantità esagerata di “zampironi” scaccia-insetti, ma le bestiacce erano immuni a qualunque repellente. Ci torturarono fino all’alba, quando, soddisfatte e grasse come quaglie, se ne andarono lasciandoci quasi esangui e distesi sul pavimento. Fu allora che notammo Guasto che roteava con la schiena appoggiata al suolo come in genere dovrebbero fare le zanzare a contatto con i fumi dello zampirone: Andrea a tal proposito espose una singolare teoria: secondo lui nel DNA di Guasto era presente una massiccia dose di geni animali non ancora evoluti che avevano reagito in quello strano modo all’effetto dello zampirone. Effettivamente la cosa era possibile, pensai, poi stremato, cedetti alla stanchezza. Alle sette del mattino fummo svegliati dal simpatico frugoletto della tenda a fianco che rompeva il guscio a dei pinoli usando un sasso piatto come incudine e uno zoccolo “Pescura” come martello. Orlando diventava intrattabile se svegliato prima di mezzogiorno e se a ciò aggiungiamo lo stato d’animo derivante dalla grossa delusione della sera precedente e l’epica lotta contro le zanzare, otteniamo una miscela pronta a esplodere: con un gesto secco aprì la lampo della tendina e lanciò uno sguardo degno del mitico Erode al chiassoso bambino che, alla vista di quel viso patibolare, lasciò cadere al suolo zoccolo e pinoli per poi fuggire correndo a perdifiato. Riuscimmo così a riposare fino alle undici circa, quando Giulio ci svegliò preoccupato per l’assenza di Guasto. “Sarò un cretino, ma quando non ce l’ho sotto controllo ho paura che combini casini!” “Stai esagerando - risposi - quel poveraccio sarà sicuramente andato al bagno”. Ma purtroppo era una frase che si rivelò troppo ottimistica, dopo pochi secondi la nostra attenzione fu attratta dal pianto a dirotto di un bambino e da una grossa voce maschile con accento romano che disse: “Non piangere figliolo, vedrai che lo troviamo quell’animale che ti ha rubato la figurina di Falcao!” Ci guardammo in faccia senza parlare per alcuni secondi, poi Giulio disse: “ Lo sapevo, dovevamo legarlo al lettino!” “Non raggiungere conclusioni affrettate - rispose Giuseppe - d’altronde non è detto che sia stato lui”. Uscimmo dalla tenda mostrando indifferenza proprio mentre passava il piccoletto in lacrime accompagnato dal babbo, un energumeno alla “Bud Spencer” calvo e tatuato: “Lo ammazzo, se lo trovo lo ammazzo!” - ripeteva ossessivamente. “Scusi egregio signore - disse Andrea con modi signorili e il suo italiano forbito - è forse accaduto qualcosa al suo piccolo consanguineo?” “Altrochè - rispose l’energumeno - è incredibile, mio figlio stava giocando con le figurine della Roma, quando gli si è avvicinato uno strano tipo con le labbra sanguinanti, prima ha chiesto al bambino se era disposto a vendergli la figurina di Falcao, poi al suo rifiuto gliela ha strappata dalle mani ed è scappato via correndo con le punte dei piedi rivolte all’interno e le gambe divaricate, come una specie di orso! Lo conoscete forse?” “NO! - rispondemmo in coro - ma se ci capitasse di incontrarlo glielo faremo sapere”. Non vi erano più dubbi, se mai potesse esistere sulla faccia della terra un altro individuo adulto capace di rubare le figurine a un bambino, la descrizione fattaci dall’infuriato signore non lasciava spazio a equivoci. “Non è possibile -esclamò Giulio con un filo di voce - non può esistere un essere umano così cretino... andiamo a cercarlo!” Sollevammo di peso “Re Giovedì” che a causa della frustrazione di cui era preda appariva totalmente abulico e ci mettemmo a perlustrare il campeggio. Girammo in lungo e in largo per diverse ore senza riuscire a trovarlo e, verso le due del pomeriggio ritornammo alla nostra tenda. Trovammo Pierclaudio seduto all’interno, che osservava estasiato la figurina di Falcao sistemata nel suo inseparabile album fra quella di Bruno Conti e quella di Roberto Pruzzo, Giulio chiuse lentamente alle nostre spalle la cerniera lampo della tendina canadese e cominciammo ad avvicinarci a Guasto con aria minacciosa “Mi mancava per completare l’album dei calciatori” - disse con un filo di voce - “MA TI RENDI CONTO CHE HAI VENTICINQUE ANNI ANIMALE?” -urlò Giulio e, preso un tubo metallico misteriosamente avanzatoci nel montaggio della tenda, sollevò minaccioso il braccio destro; eravamo pronti al peggio, ma fortunatamente accadde qualcosa che salvò l’incolumità del cranio di Guasto: Giulio sbarrò gli occhi e rimase come pietrificato con l’arto sollevato, la fronte imperlata di sudore e il viso contorto in una smorfia di dolore; realizzammo immediatamente che era in preda a uno dei suoi caratteristici improvvisi attacchi di dissenteria; uscì dalla tenda con una mano sulla fronte e l’altra a comprimersi il ventre, camminando in punta di piedi con le ginocchia piegate, il busto proteso in avanti e si diresse barcollando verso la toilette dove si “liberò” lanciando urla selvagge che terrorizzarono gli ospiti del campeggio. Guasto approfittò della situazione e si dileguò in direzione della spiaggia. L’essere scampato miracolosamente alla furia omicida di Giulio avrebbe provocato in qualunque normale essere umano quantomeno il rimanere lontano dai guai per un po’ di tempo, ma Guasto NON era un normale essere umano, anzi mi permetterei di avallare la tesi di Andrea secondo il quale nel suo bizzarro patrimonio genetico vi era ben poco che potesse farlo ricondurre alla nostra specie; infatti di lì a poco combinò qualcosa che ci costrinse a fuggire in ordine sparso senza nemmeno recuperare tutti i nostri effetti personali: dopo aver vagabondato senza meta per alcune ore, giunse in prossimità delle Grotte di Venere, raggiungibili via terra soltanto tramite settecento scalini a strapiombo sul mare. La vista della ripida scalinata mise in moto quella parte del suo cervello (più piccolo di tre taglie rispetto alla scatola cranica) straordinariamente attiva nell’elaborare machiavellici piani ai danni di terzi. Le sue labbra sanguinolente si disposero in quella posizione che in noi esseri umani si chiama sorriso e si diresse con passo deciso verso un emporio distante poche centinaia di metri dove acquistò duecento litri di olio riciclato con il quale, dopo avere aspettato il calare delle tenebre, cosparse tutti i settecento gradini.
Intanto Giulio aveva ripreso il controllo delle sue funzioni vitali e ci aveva raggiunto all’interno della tenda dove ci riunimmo in gran consiglio per fare il punto della situazione. Oltre alla sparizione di Guasto avevamo un altro grave problema cui porre rimedio: Orlando! Il poveretto, infatti, non dava alcun segno di miglioramento, il tremendo smacco infertogli dalle turiste tedesche lo aveva messo in un grave stato di prostrazione, ci accorgemmo che aveva toccato il fondo quando accese un cero davanti alla copertina di “Lando” e si mise a farfugliare frasi sconnesse con le mani giunte. Occorreva fare qualcosa, “Re Giovedì” era un profondo conoscitore della primordiale psicologia di Guasto, e solo lui poteva aiutarci a ritrovarlo prima che combinasse qualcosa di irreparabile. “So io cosa ci vuole!” - disse Giulio con decisione e, afferrate centomila lire dalla cassa comune, si recò al parcheggio, inforcò la sua HD CAGIVA e sparì imboccando la strada per Olbia. Tornò un’ora più tardi in compagnia di una prostituta gallurese, una tardona il cui fisico aveva conosciuto tempi migliori, con capelli arancioni e folte sopracciglia nere, alla quale Andrea insegnò in fretta e furia qualche parola in tedesco, così che potesse fingersi una turista nordica attratta dal petto villoso di Orlando. Giulio la lanciò all’interno della tenda ritraendo in fretta le braccia, con un gesto che curiosamente mi ricordò quello che compiono gli inservienti del circo quando portano il pasto alle belve feroci; seguì un attimo di silenzio seguito da un “aufidersen” pronunciato dalla disinibita signorina con inconfondibile accento sardo, poi si udì un parlottare confuso, rumore di abiti lacerati, urla e perfino ruggiti, la tenda era scossa da fremiti simili a quelli provocati da un cinghiale che cerca di sfuggire ai cacciatori nascondendosi in un fitto cespuglio. Il tutto durò diverse ore e si concluse con la pretesa di un extra sull’onorario pattuito da parte della professionista che, tra l’altro, minacciò di denunciarci a una sedicente associazione di categoria se ci fossimo fatti rivedere dalle sue parti. Entrammo nella tenda e trovammo “Re Giovedì” che, spento il cero che illuminava il viso di Lando sulla copertina dell’omonimo fumetto, aveva riacquistato la lucidità mentale che ci era indispensabile per ritrovare Guasto. “Dobbiamo provare a pensare come lui” - sentenziò Giuseppe - “Ci vorrebbe uno zoologo specializzato nella psicologia animale” - rispose Giulio - Parole sante, ma sfortunatamente non avevamo il tempo per consultare un tale esperto, quindi ci sedemmo in cerchio e cominciammo una virtuale esplorazione nei meandri da noi conosciuti della mente di Guasto. Ad un tratto Orlando sbarrò gli occhi e urlò: GLI SCALINI!!! Un silenzio tombale scese all’interno della tenda, un brivido freddo mi percorse la spina dorsale dall’alto verso il basso, Giulio prese ad agitarsi roteando più volte su un piede e portandosi le mani alla testa, “Andiamo” - urlò Andrea “Sbrighiamoci o questa volta nemmeno mio zio assessore potrà aiutarci!”. Intanto alle Grotte di Venere la tragedia si era consumata: le prime vittime furono un gruppo di suore mercedarie, in viaggio parrocchiale con un gruppo di fedeli che, dopo aver ruzzolato per l’interminabile scalinata, erano finite in mare; poi fu la volta di un corpulento turista tedesco la cui schiena toccò tutti i 700 scalini prima che rovinasse addosso alla madre superiora che annaspava tra i flutti cercando di riguadagnare la terraferma. Quando giungemmo sul posto avemmo l’impressione di trovarci di fronte ad uno di quegli affreschi raffiguranti le catastrofi bibliche: un incredibile ammasso di persone doloranti e bagnate giaceva sul piccolo spiazzo che separava gli scalini dal mare, spiazzo su cui aveva precedentemente preso posto l’amico Guasto che, seduto su una sedia sdraio con le gambe accavallate e le mani incrociate dietro alla nuca, si godeva lo spettacolo ridendo a crepapelle. Quando fra i contusi riconoscemmo la sagoma di un noto politico isolano capimmo di essere nei guai. Intanto alla nostra destra si era radunata una folla di curiosi intenti ad osservare la scena con espressione raccapricciata. D’un tratto alle nostre spalle si alzò una voce: “ Ma quello... quello laggiù che ride... no! Non può essere lui!” Era una nostra vecchia conoscenza, il guardiano del campeggio “Isuledda”, colui che poco tempo prima ci aveva scacciato brandendo un’arma impropria. “Prendete quell’animale è stato lui, e loro sono suoi amici!” - disse additandoci alla folla -. Ancora oggi non so quale santo possa averci aiutato a fuggire da quella gente inferocita, parecchie robuste braccia avevano afferrato Pierclaudio e ho tuttora nella mente il viso diabolicamente trasfigurato della madre superiora che, bagnata fradicia, frustava “Guasto” con un pesante rosario di legno. Approfittammo di quell’attimo in cui la folla era impegnata a linciare Pierclaudio per montare sulle nostre moto lasciate previdentemente con il motore acceso e a far perdere le nostre tracce. Dopo qualche minuto ci trovammo a percorrere a velocità sostenuta la strada per Cagliari, dove giungemmo qualche ora più tardi, dopo aver percorso la statale 131 con una media da formula 1. Scesi dalle nostre moto restammo qualche minuto in silenzio, poi “Re Giovedì” ebbe un crollo psicologico e, dopo aver urlato frasi irripetibili per circa 10 minuti aggredì come una furia Giulio e Giuseppe, responsabili di averci convinto a seguirli in quell’assurda odissea e, dopo averli brutalmente percossi, mi abbracciò piangendo giurando su quello che di più caro aveva al mondo (la collezione di “Lando”) che non avrebbe mai più disatteso a quello che era il nostro patto antivacanze.
Sono passati tanti anni da quell’oscuro periodo della mia vita. Non vedo più i miei compagni d’avventura, le nostre strade si sono inevitabilmente separate e ora non ho quasi più notizie che li riguardino, so soltanto che il mio amico Orlando, il grande “Re Giovedì”, è ora un onesto padre di famiglia che ha messo in soffitta la collezione di “Lando”, Andrea è tuttora un portaborse del famoso zio assessore rimasto saldamente ancorato alla poltrona saltellando disinvoltamente da uno schieramento all’altro attraverso una miriade di legislature che, valutate le sue capacità, lo ha relegato al ruolo di leccatore di francobolli per le lettere di raccomandazione in partenza dal suo ufficio; Giuseppe dopo aver riportato la frattura di quasi tutte le ossa del corpo in varie competizioni, ha smesso di praticare sport estremi e gestisce un piccolo negozio di autoricambi; Giulio ha sposato una corpulenta ereditiera e fa il mantenuto. Ho lasciato come al solito per ultimo l’amico Guasto: ho saputo da alcuni conoscenti comuni che qualche tempo addietro era riuscito, esibendo un falso curriculum, a farsi assumere come animatore da una blasonata agenzia turistica e a partire con un gruppo di anziani su una nave da crociera, sulla quale ovviamente ne combinò talmente tante che a un certo punto venne legato e abbandonato su una scialuppa di salvataggio al largo di Mazzara del Vallo, dove venne tratto in salvo da alcuni pescatori a bordo del loro peschereccio che misteriosamente naufragò poche ore dopo. Da allora le notizie su Guasto mi arrivano avvolte da un fitto mistero, sporadici avvistamenti tra realtà e fantasia sulla cui veridicità non ho mai avuto la certezza. Non so se sia colato a picco con il peschereccio di Mazzara del Vallo o se dar retta a coloro che giurano di averlo visto di recente a bordo della motonave “Caralis” il giorno in cui andò a schiantarsi sugli scogli dell’isola di Serpentara, so solo che prima o poi mi ricapiterà fra i piedi perchè non può esistere né in cielo né in terra un luogo in cui egli possa essere sopportato a lungo; se poi parliamo dell’eternità non ho dubbi: né il buon Dio né il più abbietto dei diavoli sarebbe al sicuro con Guasto nei paraggi, quindi anche dando credito alla più triste delle ipotesi sulla sua scomparsa, sono certo che chi di dovere troverà il modo di rimandarlo sulla terra.
vit. frau@inwind. it
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