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Il salto
Il paesaggio era un'unica arsa pietraia che si estendeva fin dove l'occhio umano poteva vedere, terra bruciata dal sole, polverizzata dal vento e dimenticata dagli uomini. Non vedevo un solo albero, né una casa abitata da decine di chilometri. E in mezzo a quell'arido territorio, beffarda ed insolente faceva mostra di sé quella che sembrava essere un'autostrada in costruzione, una grande, magnifica opera dell'ingegno umano che solitaria ed inutilizzata si allungava rettilinea per chilometri, generandosi all'improvviso dal centro di quel deserto ed altrettanto improvvisamente terminando contro una parete rocciosa.
" Qual è il percorso più breve tra due punti nello spazio? La linea retta!" La nostra vecchia professoressa di matematica ripeteva sempre questo assioma per dimostrare con logica ferrea la validità dei propri postulati. Forse nello spazio, ma non certo in quel posto, dove per andare da un punto all'altro bisognava percorrere una vecchia mulattiera dal tracciato così assurdo che dopo esservi transitati non si aveva nemmeno la forza di imprecare. Mentre pensavo che con una semplice fotografia di quel paesaggio si sarebbe potuto offrire un ritratto impietoso ma veritiero dell'Italia odierna, sentii il motore della mia auto cominciare ad emettere uno strano suono, come se avesse l'asma, e nel giro di breve tempo mi ritrovai con la macchina fumante ferma al lato della strada, in mezzo al nulla assoluto. La successiva ispezione al motore mi confermò quello che temevo fin da quando avevo visto tutto quel fumo. Non sarei ripartito senza un carro attrezzi.
Era quasi mezzogiorno, immerso in quella candida distesa di sassi che sembrava divertirsi ad amplificare l'effetto dei raggi solari, con in mano un telefonino inutilizzabile perché in quel luogo non c'era copertura, ad una distanza indefinibile dal più vicino centro abitato, lentamente mi incamminai verso una destinazione sconosciuta. Dopo aver percorso un paio di chilometri, la camicia avvolta sulla testa in cerca di un po' di riparo dal sole, ed il sudore che sembrava colarmi fin dentro l'anima, in un punto in cui la strada polverosa si avvicinava a quell'inutile autostrada fin quasi a lambirla, procedendo poi appaiata ad essa per qualche decina di metri, vidi un ragazzo che se ne stava seduto in disparte, godendo della poca ombra generata da alcuni alti muri in cemento che in quel punto costeggiavano la strada in costruzione. Lo chiamai per chiedergli delle informazioni, lui per tutta risposta mi fece segno con la mano dove passare per poterlo raggiungere. Dovetti arrampicarmi su di un costone a lato, percorrere una breve distanza in mezzo alle rocce ed infine arrivare sopra la sua postazione, in cima al muro di cemento di cui stava sfruttando il riparo. Notai poco a lato una scala a pioli appoggiata alla parete, evidentemente lasciata lì dai costruttori di quel monumento allo spreco, scesi e mi sedetti a terra, di fianco a lui.
Aspettai qualche minuto prima di parlare, stanco ed assetato, poi mentre stavo per rivolgergli la parola, lo vidi aprire una borsa che aveva al suo fianco, e prelevarne una lattina di coca cola che mi offrì, senza rivolgermi una sola parola. Agguantai quel piccolo cilindro rosso, lo aprii e ne bevvi il caldo e dolciastro contenuto con avidità mentre lui continuava a starsene lì, muto e solitario in compagnia dei propri pensieri. Decisi di interrompere quel silenzio.
- Ciao, io mi chiamo Aldo. Grazie per la lattina! -
Guardò la mia mano tesa, poi mi fissò negli occhi e con la testa accennò un saluto. Il suo sguardo era perso, come se con la mente fosse occupato ad osservare ben altri paesaggi. Dalla sua bocca non uscì una sola parola.
- Mi si è rotta la macchina, a circa due chilometri da qui. Mi occorrerebbe un meccanico, ma non so a che distanza si trova il paese più vicino. Comunque non saprei come arrivarci. -
Feci quel piccolo discorso più per dire qualcosa che nella speranza di ottenere realmente un aiuto. Il mio giovane amico continuava a restarsene zitto, mentre osservava il nulla. Mi rimisi a sedere, cercando a quel punto di non disperdere le energie.
- Che macchina hai? -
Disse quelle poche parole senza guardarmi, quasi fossero rivolte al vento. Mi affrettai a rispondergli, elencando marca e modello.
- Troppo piccola, non può farcela. -
- Beh sai, con questo sole e queste salite. -
- Il salto. Non può riuscire a fare il salto! -
- Quale salto? -
Senza rispondermi si limitò a guardare verso un punto preciso, dove la nuova strada si interrompeva per riprendere dopo una quindicina di metri. Sotto, tra i due monconi, passava la mulattiera. Guardai quel ragazzo, e vidi il suo sguardo illuminato da una luce vivida, prima del tutto assente.
- Vorresti saltare da un punto all'altro con un'auto? Perché!? -
- Voi stranieri cercate sempre il perché nelle cose. Non serve un perché, uno se vuole fare una cosa la fa, senza motivi, solo per il gusto di farlo. -
- Sì, ma non è mica una cosa da niente. E'pericoloso! -
Il suo sguardo si illuminò ancora di più. Ora riconoscevo in quegli occhi le speranze e le ambizioni di una ragazzo della sua età.
- È lì che sta il bello. -
Rimasi un po' in silenzio, facendo qualche passo sulla superficie polverosa della strada, guardando meglio quel paesaggio la cui durezza cominciava ad affascinarmi. Il sole, il fischio del vento, le ombre che sulle colline di pietra disegnavano mille forme. Poi in alto, in mezzo al cielo, il grido di una poiana reclamò la nostra attenzione. Decisi di cambiare discorso.
- Non vai a scuola? -
- No, ho finito anno scorso. -
- Adesso che fai, lavori? -
Mi scrutò con lo stesso sguardo con cui di solito si osserva un animale esotico, mai visto.
- Dove!? -
Restai in silenzio per un po', poi decisi che era giunto il momento di andarsene.
- Forse è il caso che riprenda il cammino, prima di sera devo trovare un
meccanico. -
- E dove lo trovi? L'ultimo ha chiuso due anni fa. Andiamo, voglio dare
un'occhiata al tuo bolide. -
Senza replicare mi incamminai dietro di lui, ripercorrendo a ritroso la strada fatta poco prima. Lungo il tragitto seppi che si chiamava Claudio, che aveva quasi diciotto anni, e che la scuola non l'aveva finita, ma abbandonata. Poco dopo raggiungemmo la mia utilitaria, e dopo un rapido sguardo riuscì con una riparazione di fortuna a rimetterla in moto.
- Se vai piano, e non la sforzi, dovresti riuscire ad arrivare al paese, a cinque
chilometri da qui. Non c'è il meccanico, è vero, però alla pompa di benzina
lavora un mio amico cha si adatta a fare tutto. Dì che ti mando io. -
- Ma tu dove vai, dai sali, ti do un passaggio! -
- No, io abito qui, in mezzo a queste pietre. Ciao, straniero! -
- Ma, aspetta, lascia almeno che ti paghi il disturbo... -
I suoi occhi divennero duri, molto più grandi della sua età.
- Voi e i vostri maledetti soldi, venite qui a costruire strade inutili, a pagare un gesto d'amicizia ed a rubare il nostro lavoro. Voi non riuscirete mai a capire la mia terra, la mia gente. -
- Scusami, non era mia intenzione. Davvero, non volevo offenderti. -
Il suo sguardo cambiò lievemente, e le labbra gli si incresparono nell'accenno di un sorriso. Mi tese la mano per salutarmi.
- Lo so, lo so, noi siamo amici. Addio Aldo, non ti preoccupare, prima o poi farò il salto, ed allora tutto sarà diverso. Ciao! -
Lo guardai allontanarsi lungo la pietraia, finché non scomparve dietro un grosso macigno. Salii in macchina, misi in moto e partii piano, facendo attenzione a non far salire troppo i giri del motore. Dopo un po' passando nel punto in cui l'autostrada si interrompeva per riprendere poco più in là, mi fermai affacciandomi dal finestrino. In alto, in mezzo all'azzurro, la poiana di prima volteggiava calma lanciando lunghe grida stridule. Era quello il punto in cui voleva fare il salto. Mentre valutavo la distanza mi sorpresi a pensare "Ce la farai, Claudio, ce la farai."
Infine me ne andai.
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