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Apnea
Rientrato a casa, Gabriele Borghesi staccò il telefono, spense il cellulare, si spogliò ed entrò immediatamente nella doccia. Restò una decina di minuti sotto il getto freddo, nella speranza che questo potesse servire a lavargli via l'orrore a cui aveva dovuto assistere. Poi si rivestì, uscì di casa e si recò presso il centro sportivo di cui era socio. Ci mise cinque minuti a cambiarsi e mettersi un costume, e si tuffò in piscina. Non era ancora arrivato nessuno, era solo. Il freddo contatto del liquido aveva il potere di rilassarlo più di ogni altra cosa. Fece una rapida serie di bracciate per calmarsi, si fermò, iniziò dei lunghi e profondi respiri, infine si immerse fino a toccare il fondo, dove si adagiò. Gli occhi chiusi, il silenzio assoluto che lo circondava, la totale assenza di contatti con il mondo gli consentivano di rigenerarsi, depurandosi di tutto il marcio con cui ogni giorno doveva entrare in contatto.
- Signore, può venire qui un momento? -
L'ispettore Gabriele Borghesi era intento ad osservare uno strano coltello, non ne aveva mai visti in circolazione se non nei film. L'agente lo chiamò una seconda volta.
- Sì, scusa, non ti avevo sentito. Senti Marini, ma coltelli come questi si trovano
in commercio normalmente? - l'ispettore rispose con un'altra domanda, ma
l'agente non ci fece caso. Quando Borghesi era concentrato su una cosa, era come se si richiudesse in una sfera di cristallo, impermeabile agli stimoli provenienti dall'esterno. Marini si avvicinò ed osservò con attenzione il coltello. Faceva impressione a vederlo. Lungo circa cinquanta centimetri, di cui quasi trenta di lama, aveva la parte terminale asimmetricamente più larga, era appuntito come uno stiletto e tagliente come un rasoio. La lama, inoltre, era seghettata nella parte superiore.
- Certo, ispettore. Qualsiasi buona armeria glielo può vendere. -
- Pensavo che certi aggeggi si vedessero solo sui film. -
- Ispettore, questo è un coltello da caccia. Lo usano per i cinghiali. Vede, la conformazione della lama, nulla è casuale. La parte a sega, poi, serve per...-
- Va bene, va bene, ho capito. Servirà pure per i cinghiali, ma qui oggi l'hanno usata per scannare un uomo! Senti, visto che sai tutto sui coltelli, fa un giro delle armerie e dei negozi specializzati, senti se qualche loro cliente... insomma hai capito no? -
- Agli ordini ispettore! Senta, però è meglio che vada in borghese, come un cliente qualsiasi...-
- Fa come ti pare!- tagliò corto l'ispettore. L'agente di polizia salutò e se ne andò via con solerzia.
Borghesi tornò nell'altra stanza. Tanti anni di polizia non lo avevano ancora abituato a sopportare la vista di una simile efferatezza. Il corpo giaceva supino, in parte sotto una scrivania; la poltroncina su cui era seduto gli copriva parzialmente la faccia. Il ventre completamente squarciato, le viscere in mostra, sangue ovunque. L'arma del delitto, quel coltellaccio da caccia, si trovava nella stanza attigua, sopra un'altra scrivania. Non riusciva a comprenderne il motivo.
La vittima, un noto usuraio, una persona che era già stato in carcere una ventina d'anni per tre omicidi accertati, ed altrettanti attribuibili a lui, aveva da poco aperto un locale, che in breve tempo era riuscito ad aumentare notevolmente il lavoro delle forze dell'ordine. Gioco d'azzardo, prostituzione, droga. "Paradise Lost" questo il nome del locale.
- Il Paradiso Perduto. John Milton qui? Mah... - disse Borghesi ad alta voce, mentre da una finestra stava osservando l'insegna del locale. Questo suo modo di farsi le domande da solo, ad alta voce, aveva più volte generato degli equivoci.
- Dice a me, ispettore? - rispose trasecolato un giovane agente, imbarazzato.
Stava per rispondere a quello sbarbatello quando una serie di esclamazioni provenienti dalle scale richiamò la sua attenzione.
- Dov'è l'ispettore? - disse un agente visibilmente emozionato, arrivando di
corsa.
- Sono qui. Che c'è? -
- Deve venire di sotto. Abbiamo trovato, abbiamo scoperto...-
Borghesi non aveva mai visto in quelle condizioni Montini, uno degli agenti più esperti di cui disponeva.
- Calma Montini, calma. Vengo subito. - disse seguendolo. Arrivarono al piano terra, attraversarono tutto il locale, giunsero al bar. A fianco del bancone una porta si immetteva in una saletta di modeste dimensioni, senza finestre e senza arredamento, se non due grossi armadi pieni di bottiglie di ogni genere di alcolici. Uno dei due armadi era spostato tutto su un lato, rivelando così la presenza di una porta.
- Avete provato ad aprirla? - chiese Borghesi, per nulla impressionato da quella scoperta.
- No, ispettore. Non c'è serratura, né maniglie, né altro. - la porta era costituita da un'unica lastra di ferro. Un calcio ben assestato ne rivelò anche una robusta costruzione.
- Senti Montini, chi c'è del personale? - chiese l'ispettore.
- C'è il barman, due cameriere ed un buttafuori. - rispose l'agente.
- Portami il primo, e sorveglia bene gli altri tre. Non voglio che parlino con
nessuno, chiaro? -
Il barista era un uomo di giovane età, avrà avuto sui trenta anni; la faccia scialba, lo sguardo basso facevano supporre un carattere arrendevole. Borghesi lo attaccò direttamente.
- Come si apre? - gli chiese ad alta voce, indicando la porta. Quello rimase in
silenzio, senza parlare e con lo sguardo sempre basso. L'ispettore fece un cenno a Montini, che gli passò una busta. All'interno c'erano i documenti dell'uomo, un revolver 357 magnum carico, due coltelli e diversi sacchetti trasparenti di polvere bianca. Montini si avvicinò all'ispettore e gli sussurrò alcune parole.
- Allora Ferrini, ti chiami così no? Con i tuoi precedenti, l'angioletto di sopra con
il pancino aperto, la pistola, i coltelli e la polverina, se non collabori credo che
dovrai smettere di preoccuparti di trovare un altro datore di lavoro! Guarda che
la porta la faccio aprire comunque. Cerco solo di guadagnare tempo. -
Borghesi si era concesso un discorso molto più lungo di quanto fosse solito. La storia non lo convinceva per niente, sapeva che doveva aprire quella porta, ma sinceramente non avrebbe voluto farlo. Quell'uomo, quell'ambiente, nei suoi pensieri assumevano un aspetto sordido, abominevole.
Il barista rimase muto, continuando a guardare a terra. Poi con movimenti esasperatamente lenti cominciò a sollevare il volto in direzione dell'ispettore, finché non lo fissò, diritto negli occhi. Borghesi vide lo sguardo di un folle.
- Sicuro di voler entrare, ispettore? È pronto a fare i conti con la sua coscienza?
Voglio dire, alla sera tornate a casa, dalle vostre donne, dai vostri bambini, e lasciate fuori tutti i problemi. Vi siete creati un'oasi di pace, che vi accoglie
chiedendovi solo di non portare dentro il marcio che vedete durante il giorno.
Crede che per noi sia così? Noi siamo dannati, ispettore, dei maledetti, bastardi
dannati. Entri in quella porta, e lo sarà anche lei.-
Pronunciate queste parole, si avvicinò al bancone del bar, aprì uno sportello e tirò una leva situata sul fondo.
- Benvenuto, ispettore, benvenuto all'inferno!
Da quanto tempo si trovava li sotto, a meditare sull'umana malvagità? Non più di due o tre minuti, dato che ancora non avvertiva i caratteristici sintomi procurati dalla carenza di ossigeno. Quel giorno non riusciva a svuotare la propria coscienza, a ripulire la propria anima. Quel giorno Gabriele Borghesi pensava che non c'era più nessuna redenzione per il genere umano.
La porta metallica sia aprì con un secco scatto, provocando una visibile scossa nei presenti. L'Ispettore Borghesi si avvicinò all'anta, la spinse fino ad aprirla completamente. Si scorgeva solo una scala di pietra che conduceva verso il basso. Nessuna luce, pareti e soffitti scuri. Borghesi si rivolse al barista.
- Come si accendono le luci? - ottenendo come risposta il silenzio, mentre un dito dell'uomo indicava una nicchia sulla parete. L'ispettore si avvicinò per esplorarla con una mano; vi trovò un pulsante, che subito schiacciò. Una debole luce bianca illuminò un poco la scalinata.
Borghesi si avviò deciso lungo quegli oscuri scalini, seguito da Montini. Di sopra, nel piccolo magazzino e nel bar rimasero tre agenti. Il barista ed il resto del personale era stato rinchiuso in una stanza senza finestre, usata come spogliatoio. Mentre scendeva le scale, l'ispettore cominciava a rendersi conto di quale tipo di attività si occupassero in quella specie di antro: immagini demoniache dipinte sulle pareti della scala li accompagnavano lungo il percorso, immagini di inaudita violenza che, per quanto fosse avvezzo a tal situazioni, non lo tranquillizzavano affatto. Quello che più lo agitava, però, era il soffitto a volta, che qualcuno dotato di una chiara calligrafia aveva completamente riempito con una iscrizione. Per quanto si sforzasse di setacciare la propria memoria, l'ispettore non riusciva a capire di cosa trattasse quella specie di poema. Dei versi improvvisamente gli rischiararono i ricordi
" L'onnipossente braccio tra incendio immenso e orribile ruina fuor lo scagliò dalle superne sedi giù capovolto e divampante in nero, privo di fondo disperato abisso ".
Lo aveva anche visto, prima, alla finestra, il Paradiso Perduto di Milton. Era una delle sue letture preferite, in gioventù, trovandolo molto più vero ed attuale della Divina Commedia. Ne aveva tralasciato la lettura da quando, entrato in polizia, si era reso conto che era impossibile perdere il paradiso, visto che mai ci era appartenuto.
I versi scritti su quella volta erano tratti dal primo libro, cioè la cacciata di Lucifero e dei suoi seguaci dal cielo e la loro caduta nel gran profondo.
Da dietro l'agente Montini sentiva l'ispettore confabulare tra se, ed abituato a quel modo di fare, non si preoccupava. Si preoccupava invece di quello che stava vedendo, per esperienza personale sapeva che simili scenografie conducevano sempre ad una realtà sanguinosa.
Arrivarono in fondo. L'ambiente non era molto cambiato, si trovavano in un corridoio, un po' meno stretto della scalinata, abbastanza lungo, con varie porte ai lati ed una sulla parete di fondo, l'unica aperta, l'unica che mostrasse una luce. Camminando provarono ad aprire le porte laterali, tutte chiuse a chiave. Al quarto tentativo sentirono un mugolio provenire da dentro. Cercarono di capire di chi fosse la voce, ma udivano solo dei gemiti, intervallati da mozziconi di frasi sconnesse, di cui non capivano il senso, né la lingua. L'unica cosa di cui erano certi, era della natura femminile della voce. Decisero di provare ad abbattere la porta. Ci riuscirono alla terza spallata. La videro rannicchiata sul letto, in posizione fetale, gli occhi sconvolti da un orrore indicibile, su tutto il corpo i segni della malvagità dell'uomo. Ne trovarono altre due, tutte più o meno in quelle condizioni. Mentre l'ispettore cercava di calmarle, di far capire loro che le sofferenze erano finite (si vergognò di aver usato quella frase, sapeva bene che per alcune persone le sofferenze sono infinite), Montini corse di sopra per chiamare i soccorsi, poiché sia le trasmittenti che i cellulari lì sotto non ricevevano segnale. Quando ritornò, l'ispettore, che in qualche modo era riuscito a calmare le tre giovani donne, gli chiese di occuparsi di loro. Borghesi si avvicinò alla porta aperta in fondo, tirò fuori la pistola; non lo faceva mai, ma quel giorno si sentiva ben disposto per un eventuale utilizzo, entrò.
- Fermo, ispettore, fermo! - I tre agenti, che avevano visto l'ispettore Borghesi uscire di corsa dalle scale, i lineamenti stravolti, abbattere la porta dello spogliatoio a spallate e gettarsi al volo sul barista, serrandogli con le mani il collo nel tentativo non pleonastico di ucciderlo, cercarono in tutte le maniere di fermarlo, senza però riuscirci. Montini, sopraggiunto anche lui di corsa dopo aver visto l'ispettore fuggire da quel sotterraneo urlando frasi insensate, lo calmò assestandogli un colpo sulla nuca con la mano. Esperto di arti marziali, sapeva come tramortire una persona senza procurargli danni permanenti.
Quando si riebbe, l'ispettore non ricordava niente della sua aggressione, ma tutto di quello che aveva visto di sotto. Una strana luce nei suoi occhi consigliò Montini di far trasportare in commissariato il barista ed il resto del personale.
Nel frattempo erano arrivate tre ambulanze, che avevano prelevato le tre prigioniere, ed erano ripartite a sirene spiegate.
Gabriele Borghesi prese il telefonino, e chiamò in commissariato. Rispose l'agente di turno.
- Pronto, Commissariato di... -
- Passami il commissario. -
- Ispettore Borghesi, è lei? -
- Sì.
- Mi deve scusare, ma il commissario ha detto di non passargli nessuna telefonata! -
- Passami il commissario, testa di cazzo, sennò vengo lì e giuro su Dio che ti sparo. -
L'agente al telefono, che non lo aveva mai sentito esprimersi in quel modo, pensò bene di metterlo in comunicazione con il commissario.
- Ti avevo detto che non volevo essere disturbata!
- Scusi dottoressa, penso sia bene che lei parli con l'ispettore Borghesi! -
- Ah, Gabriele, passamelo! -
- Gloria, vieni subito per favore! -
- Ma che succede, non puoi dirmelo? -
- Gloria per l'amor di Dio, vieni qui, io non riesco, non so...-
- Arrivo subito. -
Aveva smarrito il ricordo di quanto tempo fosse passato da quando si era immerso. A lui sembrava un eternità, e ormai non pensava più di dover uscire, tanto aveva bisogno di quel senso di protezione che solo in quel luogo riusciva a trovare.
Tutto gli appariva come in un sogno; vedeva delle persone che galleggiavano su in alto, e sembrava che lo stessero guardando. Avrebbe voluto dire loro di andare giù da lui, che lì i mostri non potevano arrivare, che quello era il posto più sicuro del mondo...
Il commissario Gloria Benetti arrivò dopo circa trenta minuti dalla telefonata dell'ispettore Borghesi. Questi l'aveva aspettata appoggiato al muro di fianco alla porta in cima alle scale. Non aveva permesso a nessuno di andare di sotto.
Entrò quasi di corsa, chiese agli agenti, si recò nel piccolo magazzino, lo vide e ne rimase scossa, tanto la faccia dell'ispettore era tirata.
- Gabriele, scusa ma prima proprio non sono riuscita! -
- Andiamo. - le disse Gabriele, iniziando a scendere le scale.
- Ma, l'omicidio non è avvenuto di sopra? -
- Quello sta bene dov'è, da lì non scappa -
Il commissario Gloria Benetti conosceva bene Gabriele, così bene che i soliti ben informati parlavano di una storia d'amore tra i due.
La seconda discesa agli inferi avvenne molto più velocemente della prima. Il commissario guardava sbalordita figure e scritte.
Quando arrivarono alla porta in fondo al corridoio, Gabriele guardò un attimo in faccia Gloria, poi entrarono.
Era una stanza di considerevoli dimensioni, molto alta, senza nessuna apertura per la luce naturale. Tutte le pareti erano occupate da strane macchine, il cui funzionamento però il commissario Benetti non riusciva a comprendere.
Avanzavano molto lentamente, e cominciavano a lambire quelle strane apparecchiature, fino a sfiorarle con le mani.
Poi, ad un certo punto, Gloria Benetti capì. Un moto di orrore si impadronì della sua mente, le mani si allontanarono quasi respinte da una forza misteriosa, il viso assunse una smorfia di dolore intenso, quasi incancellabile.
Erano macchine di tortura, perfette, tecnologiche, incorruttibili sulle quali le persone raggiungevano la morte solo dopo un lungo periodo di indicibile sofferenza.
Il commissario si fermò, quasi volesse rifiutare di andare avanti. Allora Borghesi la prese per una mano, e la condusse quasi con forza presso una specie di catafalco che dava loro le spalle. Girarono intorno a quello strano baldacchino, finché la scena non si presentò per intero davanti ai loro occhi.
Su un piano leggermente inclinato, legato a delle propaggini che un tempo dovevano essere state mani e piedi, c'era un corpo umano. Quello che rimaneva di un corpo umano, talmente avevano infierito gli aguzzini sullo stesso. Per Gabriele quella era la seconda volta che visionava quell'orrore, e i suoi lineamenti erano tesi allo spasimo.
- Aveva 29 anni, era una donna, ed è morta ieri sera, alle undici e trenta, solo
dopo aver provato in vita tutto il dolore possibile di questo mondo. -
Il commissario lo guardò interdetta, come per chiedere dove avesse appreso quelle notizie. Gabriele continuava a parlare, come se l'altra non esistesse.
- Loro sono convinti di essere intoccabili, capisci? Scrivono tutto, le loro
sensazioni, le emozioni, il tipo di violenza praticato. Compilano una scheda,
capisci? Come una macchina dal meccanico. Ci mettono nome, cognome, data
di nascita, nazionalità,... tutto capisci? Questa qui era ucraina, questa disgraziata
avrà fatto sacrifici di ogni genere per venire qua ed essere sbranata dalle nostre
bestie feroci, dai nostri amati capi. Perché si firmano pure, sono così sicuri della
loro impunità che si sono pure fatti fotografare insieme alle loro prede, capisci?
Non ci credi, commissario? Toh, guarda! - finì il discorso senza fiato, porgendo
alla collega un registro. Mentre il commissario iniziava a guardare quell'orrenda testimonianza della brutalità umana, l'ispettore continuava.
- Guarda, guarda, vedrai facce e nomi con cui parli tutti i giorni, onorevoli padri
di famiglia, devoti mariti, squisiti ospiti a casa loro, dèmoni, bestie immonde,
scarto dell'umanità, sterco putrido, bubboni infetti quaggiù. Tutti protettori di
quell'altra bestia che sta di sopra a misurare le proprie budella. -
Il commissario Benetti decise che aveva visto pure troppo, si aggrappò al braccio di Gabriele e lo pregò di accompagnarla di sopra. L'ispettore solo a quel punto si rese conto di quanto era stato duro, di quanto avesse avuto bisogno di scaricare la propria coscienza, gravando però tutto il peso su di lei.
Riuscì a farle raggiungere il piano superiore con le proprie gambe, poi chiamò un agente per farla accompagnare al commissariato. Guardò la volante allontanarsi, poi tornò dentro. Doveva completare le indagini e svolgere le formalità burocratiche per provvedere a tutti i rilievi di routine.
Quando tornò in commissariato, trovò Marini che lo stava aspettando davanti al suo ufficio.
- Allora, Marini. Novità? -
- Sì, ispettore. Molto interessanti. -
- Scusami un attimo; entra, entra pure, mettiti a sedere, arrivo subito! -
Borghesi andò in bagno per potersi lavare a fondo mani e viso, ne sentiva il bisogno. Tornando nel suo ufficio passò di fronte a quello del commissario; per un momento pensò di entrare per parlarle, poi decise che era meglio di no.
Mentre si sedeva alla scrivania stava meditando su un particolare che gli stava sfuggendo, qualcosa di non combaciante che i suoi sensi avevano percepito, ma non riusciva a capire cosa fosse. Decise che ci avrebbe pensato più tardi.
- Ispettore, l'idea di fare il giro delle armerie si è rivelata una mossa vincente,
abbiamo un nome e un numero di telefono. Un coltello identico a quello usato per il delitto è stato acquistato circa un mese fa, presso l'armeria Branca di via Torri, praticamente a 500 metri dal luogo dell'omicidio, da un uomo di circa 40 anni, non italiano, di probabile provenienza da un qualche paese dell'Europa orientale. Ha lasciato le generalità ed il numero del cellulare perché interessato a quel tipo di armi, voleva essere informato sui nuovi arrivi.-
- Il nome corrisponde? -
- Ci stanno lavorando, ispettore. -
- Hai provato a fare il numero di cellulare? -
- Veramente no! -
- Chiama. Si, il cellulare, fai il numero! -
L'agente provò a comporre il numero del cellulare indicatogli dall'armiere, ma una voce registrata lo informò che il numero selezionato era inesistente.
- Tutto troppo facile, l'arma del delitto acquistata in un negozio situato nello stesso quartiere del locale notturno, il telefono, praticamente poteva anche lasciare i documenti. No, questo è chiaramente un tranello. Poco intelligente, ma sempre tranello. Comunque, per non lasciare nulla di intentato facciamo un identikit del fantomatico cliente slavo, e poi mandiamolo in tutta Italia. Una copia anche all'Interpol. E controlliamo anche il numero del cellulare. Stiamo a vedere. -
Rimasto da solo, Borghesi si sdraiò sul divano, le braccia dietro la testa, nella classica posizione che assumeva quando pensava. C'erano due cose che non filavano in tutta quella storia. La prima era il nome del locale "Lost Paradise" e tutto quell'assurdo richiamo all'opera di John Milton. Ma quella poteva essere ignoranza pura, merce tutt'altro che rara. L'altra cosa, invece, era più sottile, una sfumatura che aveva colto al volo ma che con altrettanta velocità gli era subito sfuggita. In quel momento entrò l'agente Montini, che non vedendolo alla scrivania ebbe un attimo di smarrimento. La voce dell'ispettore lo aiutò a ritrovare le coordinate.
- Ispettore, i quattro fermati vorrebbero parlare con i loro avvocati, si stanno
lamentando. A dire la verità si lamentano in tre, uno sta zitto in un angolo,
senza muoversi, Se non avesse gli occhi aperti, sembrerebbe morto! -
Quelle parole risuonarono nella mente dell'ispettore Borghesi come uno squillo di tromba.
- Occhi! Che occhi!? -
- Ma sì, ispettore, parlo di Ferrini, il barista! -
La mente umana riceve una moltitudine di segnali ogni momento della nostra esistenza, li valuta, elabora e seleziona in base alla loro natura e sostanza. La maggior parte di questi segnali sono, come dire, di servizio: temperatura, distanza degli oggetti, tipologia, e così via in un continuo accavallarsi di messaggi inviati dai vari sensi. Che di norma sono cinque. Poi c'è il sesto senso. Che non è telepatia, o chiaroveggenza, ma pura, semplice intuizione, necessaria per elaborare le informazioni più complesse, sofisticate.
Borghesi si alzò in piedi, si diresse con decisione verso l'agente, sul viso una maschera impenetrabile-
- Portalo qui! -
- Chi, Ferrini? -
- Si! -
- Ma veramente dovrebbe essere interrogato dal commissario! -
Uno sguardo di Borghesi pose fine alla discussione.
- Subito, ispettore! -
Poco dopo l'agente ritornò al seguito del barista, che si reggeva in piedi a stento, quasi trascinandosi. Si gettò di peso sulla sedia, e rimase lì, con il capo inclinato in avanti, lo sguardo che scrutava il pavimento.
- Ferrini! -
Il richiamo non provocò nessuna reazione.
- Allora parlo io, tu sta a sentire e correggimi se sbaglio. Dai tuoi
precedenti sappiamo delle tue varie attività di ruffiano, paraninfo, lenone... si
insomma di magnaccia come vi fate chiamare voi. Forte di questa esperienza
vieni assunto al "Lost Paradise" per procurare un numero sufficiente di
"ragazze", le chiamate così, no? E fino a qui siamo nella norma, è quello che
succede dappertutto, no? Ma il vostro locale ha una clientela speciale, a cui non
basta la normalità, se vogliamo chiamarla così, ha bisogno di altro, di emozioni
vere, forti. Allora arriva la grande idea di allestire il sotterraneo del vostro
locale in quella maniera. Forse all'inizio pensavate di limitarvi a procurare solo
dello spavento, magari qualche piccola ferita. Poi però la notizia si è diffusa, si
è allargato il giro della clientela, sono arrivati quelli facoltosi, quelli potenti,
quelli a cui non si può dire di no. Ma quelli comandano, vero? Grandi
portafogli, grandi vizi. Ed hanno voluto il sangue, la violenza, la morte"
L'ispettore fece una piccola pausa, per verificare le conseguenze provocate dal suo discorso. Apparentemente il barista sembrava aver assorbito la requisitoria senza nessuna reazione, con la sola eccezione di un leggero tremolio della gamba sinistra.
- Ferrini, vado avanti io oppure vuoi proseguire tu? Vuoi dirci di come è stata uccisa quella povera disgraziata, vuoi parlarci delle sofferenze di... Come si chiamava, ah ecco qui il nome, di Elena? -
- Yelena. -
L'ispettore e l'agente trasalirono. L'uomo, dopo aver pronunciato quel nome, cominciò con un leggero dondolio a sollevare la testa, finché il suo sguardo non incrociò quello di Borghesi. Quella luce di follia che aveva visto ore prima, in cima a quella scala, non c'era più, ora esisteva solo lo sguardo disperato di un uomo allo sbando, alla deriva. Lo stesso sguardo che aveva visto quando aveva tentato di strangolarlo con le sue mani. Lo stesso sguardo di cui si ricordò solo prima, sul divano. Era questo il particolare che non combaciava, la dissonanza. Ed ora sapeva anche che quello era il vero sguardo.
- Si chiamava Yelena, ispettore. Aveva 29 anni. L'hanno uccisa ieri sera. Non c'ero, il porco mi aveva mandato fuori a prendere delle casse di birra. Non al solito posto. Mi ha allontanato da lei, mi ha fatto fare quasi 500 chilometri. Per prendere la birra. Io non capivo, sono arrivato alle una di notte, ero stanco, l'ho cercata ma non mi rispondeva, non mi reggevo in piedi, sono andato a dormire. Ho una stanza sopra l'ufficio del porco, in soffitta. Questa mattina presto mi hanno svegliato dei rumori. Saranno state le cinque. Scesi di sotto, non aveva chiuso bene la porta, mi avvicinai. Stava telefonando, subito non compresi quello che diceva, poi cominciai a capire che l'avevano fatto di nuovo, avevano ucciso una povera disgraziata. Tutte insieme le immagini dell'ultima giornata mi si presentarono davanti e capii... la birra in un posto così lontano, Yelena che non aveva mai risposto alle mie telefonate. Corsi di sotto e vidi quello che le avevano fatto. Volevo morire, non resistevo al pensiero di quella sofferenza, ma prima dovevo uccidere quel porco; andai nella mia camera, presi il coltello, scesi da lui. Appena mi vide capì tutto, ma non fece in tempo a reagire, lo sventrai come... un porco, appunto. Poi vi telefonai, nell'ufficio accanto. Lasciai il coltello sopra la scrivania, pulii le impronte, avevo deciso di vivere, dovevo vendicare Yelena, dovevo uccidere ancora. -
Fece una pausa, sembrò perdere l'energia che gli aveva consentito di parlare finora.
L'ispettore, che per tutto il tempo della deposizione era rimasto a sedere, si alzò in piedi, gli si avvicinò e si appoggiò alla scrivania.
- Tutto quello che ci hai raccontato è plausibile, lo verificheremo. Ci sono ancora
delle cose che non quadrano, come la deposizione dell'armiere, ma sono
dettagli, vedremo. Ma c'è una cosa che non ho capito. Perché quella messa in
scena, tutti quei discorsi sul marcio da lasciare fuori della porta... che volevi
ottenere, tu ci vivi in mezzo al marcio. -
Il barista ebbe una reazione scomposta, cominciando a piangere e a disperarsi.
- Sì, io vivo nel marcio, ma volevo uscirne fuori. Stavamo per fuggire, io e
Yelena, dovevamo andare a casa sua, il più lontano possibile da qui. Ci
saremmo rifatti una vita, io avrei fatto qualsiasi lavoro pur di stare con lei. In
ucraina molti occidentali vanno per cacciare, hanno bisogno di una guida. Per
questo avevo comprato quel coltello. Mi sarei guadagnato la vita onestamente,
avrei avuto una casa, una donna. Yelena aspettava un bambino. Il mio
bambino. Avrei avuto un figlio. - Lo sguardo del barman in quel momento
emanava gli stessi bagliori di follia di quella mattina. Lo portarono via, solo, con i suoi pensieri ed i suoi fantasmi. Un agente in quel momento portò una relazione di Marini, in cui lo informava che l'armiere aveva confessato di essersi inventato tutto, su indicazione del barista. Erano amici, andavano a caccia insieme.
L'ispettore Borghesi si alzò in piedi, si rimise la giacca, non vedeva l'ora di andare a casa per mettersi sotto la doccia. Prima di uscire si fermò davanti la porta di Gloria, rimase qualche secondo, poi se ne andò.
Le persone che nuotavano lassù erano tante, giravano tutte intorno come in un carosello e lo stavano guardando. Stava sotto da tanto tempo ormai, troppo. Cominciarono a scendere. La vide scendere insieme agli altri, e capì che era venuta per portarlo via, lontano da loro, dai mostri.
Capì che la amava.
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- Eccomi qui, come promesso. Un racconto valido, nel complesso, cupo e con un suo fascino, non esente da difetti, a mio personalissimo parere, che ti riferisco: manca la suspence, importante in questo genere, c'è il senso dell'orrore per lgi eventi ma non riesci a mettere il brivido nel lettore e non riesci a creare l'attesa, il domandarsi cosa succederà, - come invece faccio io, t elo dico senza falsa modestia in "Il cuore nero di Lucca" racconto a cui ti rimando - perchè spiattelli tutto tu con largo anticipo. Non c'è neppure indagine, tutto giunge da solo, compreso la confessione dell'assassino. E non c'è nememno il colpo di scena finale, la sorpresa che risollevi le sortie del racconto. Per tutto ciò pur apprezando mi convince solo a metà. Spero che quanto scritto ti sia d'aiuto. Saluti.
- Ci sono cose tue che mi piacciono tantissimo e sono la maggior parte. Poi ci sono cose come questa, che stanno in bilico fra eccellenza e mediocrità. Scusa se uso questi termini, ma sono quelli che ritengo più adatti. Mi spiego: questo racconto ha una sua forza magnetica, una scansione che ti porta a leggerlo tutto, nonostante la lunghezza inconsueta per questo sito. Insomma ha tutte le cose per essere molto bello. Però ha delle parti che scadono, che non tengono il passo con il resto.
Quindi non è un racconto mediocre, tutt'altro, ma ha delle parti da rivedere.
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