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Sindrome di lei
È lunedì mattina, simulacro di un salice piangente - la ragazza con la frangia ha tagliato ciocca dopo ciocca i suoi complici capelli corvini. Paga la bellezza quella sensazione di libertà di vedersi un'altra.
È rimasta immobile con la forbice in mano, dopo quella doccia e lo scempio -ruggine di punte- sul suo apparire. Immobile come uno scoglio di cristallo. L'acqua le scende dalle cosce ai piedi come lacrime che nascono per morire e farsi macchie sul parquet.
La ragazza con la frangia é stata aggredita ai fianchi per ore da stormi di pensieri. Ha schivato ogni possibile domani e per la prima volta mi é sembrato di sentirla parlare. Aveva un tono - come a volersi sgridare, sì, sgridare. Avete capito bene. Sgridare. Il senso di colpa è una trappola. Non sono i colpevoli a soffrirne ma gli innocenti, solo perché occorre che qualcuno se ne faccia carico.
L'eco di lei fissando una parete invisibile - " Sforbiciarla via e sentirla ancora addosso" - La vita.
È lunedì mattina posa la fede sul tavolo dell'ingresso, annoda come una benda quel vestito - lino stropicciato che le fa da benda. È la sua garza. Quei sandali guidati da un insicuro pollice calpestano i tappeti e i ricordi - che a volte pare di cancellarli in qualche modo- e chiude la porta per uscire.
Chiudere un amore fa un rumore potente. Anche se non sbatti la porta. Cammina senza voltarsi ed é come fosse caduta nella vita di un altro.
Il cuore é di plastica e i resti di quel amore che lei stessa ha torturato e ucciso, lo hanno reso un cenone di natale per i vermi.
La città é un ronzio di mosca. La ragazza con la frangia vede tutto come da un balcone. Bisbiglia una vedova curva, sembra dietro la graticola del confessionale. Recita un rosario, recita tra i tacchi consumati in quel fuggire senza meta, stringendo una piccola valigia quasi vuota che non c'é cosa che le somiglia di più. Coperta da un velo di rimorsi entra in un vicolo, una merda di cane, un sacco nero d'immondizia
e quello diventa il suo labirinto. Scappare lentamente é terribile. Scappare senza sapere dove andare é la fine più brutta che può fare questa lisca di pesce con un'anima di balena. Un vecchio seduto al bar gracchia come una cornacchia sterile l'indice rotea e blatera lamentele
sindaco - pensioni. Ombre indifferenti sorseggiano il loro buongiorno al suo fianco mentre tiene quel caffé che non voleva ma che berrà comunque. Un sorso e fuori, un tuffo senza rete nelle vie mentre una fontana di pietra ruvida giace rassegnata nella piazza e prova invidia per quella figura esile che ancora può fuggire. La ragazza con la frangia svolta l'angolo.
Tradita da un piovere lento e poi a dirotto -che la pioggia lava la mente- corre schivando tutte quelle fotografie diurne appese intorno nella camera oscura di asfalto ed in mezzo a quella folla, tra i turisti con gli ombrelli e i K-way ripara il danno dell'acqua sotto un portico davanti al Museo degli Uffizi. Sollevandosi sulle punte sventola i soldi chiedendo un biglietto. Pensa che l'arte la salverà.
Qualche scalino e il cuore esce fuori dalla bocca. Dapprima da lontano, poi sporgendosi, sempre più vicino quasi ci volesse entrare in quell'immagine che la travolge, la sconvolge, l'aspira come a volerla risucchiare mentre lei grida - di bellezza non si può morire!- Ma quello non é guardare. È come una convulsione oculare, come il sesso per strada con uno sconosciuto, come non ricordare il tuo nome. Sono due cose che si toccano. Gli occhi e l'immagine. Si intrecciano in una spira d'amore e morte insieme che la meraviglia diventa una frusta. È cosa di un secondo. Esiste un mondo di emozione dove si incontrano sentimenti celesti e neri. Un battito del cuore, stare in piedi temendo di cadere. Un tonfo sul marmo. I capelli si fanno medusa, il pallore e gli occhi spalancati la fingono morta. Ed é solo arresa. Anima di ovatta.
L'ho guardata tutta la notte, dentro quella carta ruvida in cui le ho dato vita. È ancora stesa lì. Immobile come uno scoglio di cristallo.
*Grazie a Stendhal.
E a Caravaggio.
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