La tenue luce del sole pomeridiano filtrava appena attraverso le pesanti tende di velluto, che coprivano il camerino di Jean; dinanzi allo specchio, dove sedeva, poteva vedere il pigro muoversi dei nugoli di polvere controluce, sollevati da spifferi invisibili.
Inevitabilmente però, lo sguardo del giovane ritornava a posarsi sul suo viso, bianco cipria dove risaltavano le labbra sottili di un rosso fuoco e due occhi verde smeraldo pesantemente ritoccati con una boccetta di mascara.
Il silenzio era assordante, come se fosse dovuta arrivare una tempesta tropicale, l'aria era greve di una pesantezza oppiacea, sensuale, languida e sì tediosa come l'esistenza che Jean ormai non sopportava più.
"Cosa ho guadagnato dall'arte, se non perdere me stesso per la gioia del volgo?" si chiedeva mentre scrutava il suo viso che lentamente stava cedendo il passo all'autunno della sua esistenza, " Presto sarò vecchio, e dopo la vecchiaia ci sta maligna la Morte e di lì l'eterna incertezza" il nodo alla gola salì inesorabilmente algli occhi del treatante, che con uno sforzo minimo lo ricacciò: le lacrime avrebbero sporcato il trucco e data l'imminiente falsità a cui avrebbe dovuto partecipare a breve questo sarebbe diventatop un problema.
La riflessione varcò inesorabilmente il suo rapporto con l'esistenza attraverso un filo riflessivo oscuro, confuso e solcato da nubi di sangue.