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Il mio 11 settembre
"Buongiorno a tutti, edizione straordinaria del tg: da circa mezz'ora gli occhi del mondo sono puntati sul World Trade Center, a New York. Sembra un incidente, la notizia è arrivata in Italia intorno alle ore 15, forse un attentato; due aerei si sono schiantati sulle Twin Towers, nel cuore di Manhattan. Ecco, intanto stiamo vedendo le prime immagini che ci giungono dalla CNN".
Erano circa le nove di un martedì mattina piuttosto noioso e soleggiato, martedì 11 settembre 2001.
Ora italiana.
Avevo perso il traghetto, così aspettai il successivo, venti minuti dopo. Era la prima volta che portavo sulle spalle una chitarra: ero emozionatissimo.
L'avevo comperata pochi giorni prima a Varese insieme ad un caro amico e compagno di scuola, Roberto.
Cercavamo entrambi qualcosa che costasse poco. Avevamo molti sogni, ma scarse certezze: quando si hanno 18 anni credo sia così un po' per tutti.
Il nostro desiderio era quello di imparare a suonare, mettere su una band, fare le musiche dei Nirvana, farci trascinare dalle melodie cupe ed incazzate di Kurt Cobain e sognare successo, alcool, soldi, tour in giro per il pianeta.
Per il momento, la realtà si riduceva a qualche giro di accordi (che su sei corde ne suonavano quattro ad andar bene), scale da studiare su "A modern method for guitar", un paio di canzonieri dove c'erano tutte le canzoni possibili tranne quelle che volevamo suonare, e alcune tablature indecifrabili scaricate da internet.
Dirigendomi verso il traghetto sentivo tutti gli occhi addosso.
Cercavo di non farmi catturare da quegli sguardi curiosi ed invadenti; sembravo Ulisse, forte e determinato nel non cedere al canto delle sirene.
Sedetti sul piano alto, all'esterno; ho sempre amato farmi travolgere dal vento del viaggio, dai panorami visti ad occhi socchiusi per via dell'aria, del sole riflesso sull'acqua.
Dentro di me continuavo a pensare: "Sto arrivando Roby! Oggi spacchiamo il mondo! Non smetteremo mai di suonare, saremo i migliori della storia!".
Avrei tanto voluto tirare fuori la mia nuova chitarra classica dalla custodia e ripassare un paio di cambi di accordi, di melodie, magari farmi tornare il male ai tendini con l'esercizio del ragno.
Quel maledetto esercizio; quanto dolore!
Per non parlare dei calli sulle dita che sembravano non volermi lasciare mai più. Ed effettivamente un po' così è stato; dopo dieci anni non ho più i calli, ma le punte delle dita hanno preso una forma tutta loro, ergonomica ed accuratamente studiata e scavata nella pelle per meglio ospitare le corde di tutte le chitarre che ho suonato.
Non siamo diventati delle star, ma non abbiamo mai abbandonato la musica dentro di noi. Mai.
Oltre alla passione per il punk, il grundge, se avevo cominciato a suonare la chitarra era anche per lei: "se mi vede suonare sul palco, magari, si innamora perdutamente di me".
Anche Roberto aveva iniziato a muovere i primi passi tra le corde per una ragazza.
La musica è donna, la passione è donna. E poi l'amore; quante cose che si fanno per amore!
Per il resto del viaggio fantasticai sul giorno in cui, grazie alla musica, Michela sarebbe finalmente diventata la mia fidanzata, che se l'avesse saputo Kurt Cobain si sarebbe rivoltato nella tomba.
Arrivai a casa di Roberto, erano quasi le undici. Facemmo colazione, ci confessammo reciprocamente le novità su intenti e piani di azione per conquistare il cuore delle nostre belle, poi ci guardammo con occhi quasi lucidi, scintillanti, impazienti: "Scendiamo?".
Ricorderò per tutta la vita quel tragitto, dalla sala al corridoio, giù per le scale, la luce soffusa, poi più forte, il garage, e dentro di me di nuovo il successo, i sogni che mi spingevano dalla schiena fino a quasi farmi inciampare sui gradini, i nostri respiri, i sorrisi trattenuti a fatica nello stomaco...
Infine, eccoci: la saletta con divano, amplificatori, una coppia di leggii, e le nostre chitarre, identiche, e poi una terza, nuova, mai vista, un'Ibanez elettrica.
"Quando l'hai comprata?", domandai a Roberto.
Quell'infame! Si era fatto comprare l'elettrica nuova dal padre; quanta invidia! Nemmeno avevamo ancora imparato a suonare del tutto "Smells like teen spirits" e già si era fatto l'elettrica.
La provammo per ore ed ore, dentro di noi sentivamo la sincope di batteria iniziale, poi il basso, poi la voce di Kurt, tutto!
Ci guardavamo, sorridevamo, quanto è stato bello Roberto!
Unica, irripetibile giornata colma di note stonate, ingenuità e speranze.
Non pranzammo.
La madre di Roby aveva preparato un vero e proprio banchetto, ma eravamo troppo travolti dai nostri impeti, così ci fermammo per uno spuntino solo verso le quattro di pomeriggio.
Frittata, pane, nutella, cola e gelato. Tanto a quell'età si digerisce tutto e subito.
Sedemmo in sala, lanciai un'occhiata fugace al cellulare che avevo abbandonato sul tavolo: magari "qualcuna" mi aveva mandato un messaggio.
Invece no.
Erano quasi le cinque e mia madre mi aveva cercato da casa tre o quattro volte.
Non avevo soldi per telefonare e nemmeno mi interessava sapere perché mi chiamasse, così tornai sul divano, accanto a Roberto, ed accendemmo la tv.
"Beh, solo telegiornali oggi?", esclamai.
Roberto lasciò distrattamente su Canale 5, mise muto col telecomando e mi raccontò qualche aneddoto tra lui e la sua Giada.
I miei consigli furono del tipo che doveva dimenticarla, che non era per lui, che lo faceva solo stare male, che era uno zerbino. In pratica, era come se Roberto fosse diventato il mio specchio riflesso; gli ordinavo ad alta voce ciò che anch'io avrei dovuto fare.
Inconsciamente mi stavo aiutando, ma non avevo alcuna intenzione di starmi ad ascoltare, almeno per il momento.
Al Tg 5, intanto, il faccione di Mentana continuava a parlare e parlare.
Io e Roberto, invece, non sapevamo più cosa dirci, persi nei nostri castelli di futuro.
Guardavamo la tv, ma scorgevamo soltanto i nostri pensieri sullo schermo, come quando fissi le vetrine ma non vedi ciò che espongono, metti a fuoco solo la tua immagine, riflessa sul vetro.
Tutto d'un tratto in tv c'era del gran fumo, due torri in fiamme, collegamenti in diretta. Fu come svegliarsi di soprassalto, come se la realtà di quanto stava accadendo ci stesse schiaffeggiando, mostrandoci qualcosa di mai visto prima.
"Buongiorno a tutti, edizione straordinaria del tg: da circa mezz'ora...".
Eravamo increduli, ci guardavamo stupiti, tutto sembrava avere perso di significato, d'importanza.
Cosa stava succedendo? E noi? Cosa avremmo fatto?
Improvvisamente ebbi paura e chiesi a Roberto di poter usare il telefono fisso per chiamare a casa: "Mamma, sono io", e lei subito "hai sentito la tv? Tu stai bene?".
Le mamme...
"Tu stai bene?", come se anch'io fossi a New York in quel momento.
"Sto bene", le risposi.
"Torna a casa, dai".
E così feci.
Recuperai la chitarra, salutai Roberto, tornai al porto, salii sul primo traghetto e questa volta il viaggio lo passai seduto all'interno, ascoltando il rumore ovattato dei motori, con il viso poggiato al vetro e con lo sguardo perso sulla moltitudine delle forme create dalle onde. Una moltitudine di onde, una moltitudine di nuove domande nella mia testa.
Terrorismo, nazione, civili, superstiti, vite e famiglie distrutte, e poi la morte; cos'era davvero 'sta dannata morte?
Da quel giorno nessuno avrebbe parlato d'altro: un atroce ed incancellabile termine di paragone si stava insinuando nelle nostre menti.
Avrei frequentato l'università a Milano con la paura di ogni discesa in metropolitana, avrei affrontato i viaggi in aereo col terrore di un dirottamento.
Quel pomeriggio, di rientro da Laveno, il mondo era cambiato.
Ed io, per la prima volta nella vita, fui davvero felice di rivedere gli occhi e il sorriso di mia madre.
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0 recensioni:
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- si sente davvero la sensazione dell'animo, che stanco di sfoghi passionali, rimette i piedi a terra e trova ristoro nelle certezze - la mamma -
per tutto il resto mi associo a bianca
- Mi sono imbattuta per caso in questo testo, per la verità mi ha attratta il titolo. Sono particolarmente sensibile a quella data e non so spiegarmi perchè tra le tante questa mi colpisca così tanto... a parte il fatto che si è trattato di un'immane e assurda tragedia, naturalmente... L'ho letto d'un fiato e l'ho trovato molto bello nella sua semplicità, scorrevolezza e spensieratezza benchè accenni di sfuggita all'evento vero e proprio, trattandosi di un racconto svoltosi parallelamente ma con esiti completamente opposti... Un amaro termine di paragone su cui misurare il proprio vissuto ma un ottimo spunto per esprimere i propri sentimenti in merito a quanto accaduto quel giorno, da allora divenuto indimenticabile e purtroppo incancellabile. Bravo e complimenti.
- Quando si ha diciotto anni gli avvenimenti segnano in maniera particolare. Anch'io (che viaggio per i 58) ho avuto il mio 11 settembre a diciotto anni. Se ti interessa lo puoi trovare qui: http://ilpostodellamente. blogspot. com/2011/09/11-settembre-dicci-doveri. html
Bella scrittura. Ciao.
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