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Campeggio
Scossi da una tempesta invisibile, migliaia di aghi piovono lentamente, a due a due, da una biosfera di pini a prova di raggi UVA, sedimentando a terra una patina fitta, croccante al passaggio delle centinaia di infradito che fanno ritorno dalla spiaggia.
Incasellati in alveari di ligustro e alloro, ognuno insedia i suoi cinque metri quadrati di felicità in fòrmica, vegetando fra una sedia a sdraio e un'amaca brasiliana.
È il momento di rigenerarsi, ma anche di degenerare, dopo la torrida maratona balneare mattutina.
Il vento caldo asciuga rapidamente la pelle dalla recente doccia fredda, rimuovendo il salmastro dell'ultimo tuffo, affinché niente, di fisico o psichico che sia, possa perturbare in alcun modo il godimento del pranzo all'aperto. Fontane di birra rinfrescano decine e decine di gole arse dallo scirocco e dai peperoni alla brace, prima che la penetrazione di un sorbetto all'amarena le porti all'estasi finale.
Poi, il sonno.
La mente si immerge in una dimensione onirica illuminata dai raggi del sole pomeridiano, che filtrano dai rami di eucalipto. Il chiasso delle cicale e il tubare delle tortore in amore distorcono le voci dei bambini, che, piano piano, facendosi più nitide alle orecchie, riportano il dormiente in superficie, come l'alito della respirazione bocca a bocca rianima da uno stato di apnea.
C'è chi non si sveglia più. C'è chi, perdutosi in odisseica rigovernatura, ritorna all'accampamento a sera, fiero delle pile infinite di stoviglie tirate a lucido, che ora tiene in bella vista come trofei di guerra.
Alle 17. 00 il camioncino del pesce fresco, anzi decongelato, fa la sua comparsa, calamitando a sé aggregazioni tribali con portafoglio alla mano, che gli si dispongono intorno a ferro di cavallo. Nel frattempo, intorno, sciami di piccoli ciclofauni a pedali sfogano il loro agonismo lungo i vialetti, mietendo vittime fra le coppie di tripodi canuti che ondeggiano incerte a bordo strada.
Il sole, intanto, impone il suo cromo-orario. Vira al giallo color del grano, confondendo la campagna col cielo e viceversa, come Van Gogh nel suo "Seminatore". Ci si avvicina al tramonto.
Nel parco barbecue i maschi alfa immolano sulle pire decine di crostacei, crocifissi insieme a molluschi ed altri callosi cefalopodi, forse in onore di Nettuno - che il giorno a venire porti bonaccia e ciel sereno - Il rito propiziatorio li vede impegnati nel bagnare le vittime sacrali con unguenti al rosmarino e aglio, che al contatto con le braci generano l'innalzamento di lunghe colonne di fumo bianco, come geyser. È il segnale: si apparecchia.
Gli stregoni, febbrili, continuano la lugubre cerimonia: agitano sui fuochi grossi ventagli diffondendo ovunque un olezzo denso ed untuoso. I ciclofauni al passaggio ne rimangono esausti ed estenuati.
Il ritmo si fa incalzante, in preda ad un vero e prorio rapimento estatico si frullano le gratelle sulle braci, l'iride del branzino diventa opaca, poi bianca, finché qualcuno, con soddisfazione satanica, innalza al cielo l'ittica salma carbonizzata.
Poi, il pasto.
Lo si consuma accompagnato dallo scoppiettio dell'inferno per zanzare ad ultravioletti, che per molti ha sostituito il televisore visto che il regolamento lo vieta - fa niente, tanto si trova sempre qualcosa di disgustoso da guardare mentre si cena -
Lorde di sugo di crostaceo, mani e bocche vengono lavate tuffandole in fette enormi di anguria, che precedentemente si è provveduto a mantenere fresche in ampi catini pieni d'acqua. Delle piscine.
L'idillio familiare viene presto interrotto dalla voce cacofonica del grande predicatore che chiama a sé i fedeli dall'alto del palco sopra la pista da ballo. Intere famiglie peregrinano ordinate verso lo spazio centrale, e lui, contornato da uno stuolo di concubine in arancione, le riceve avvolto in una guaina di lycra sfavillante. Sulle natiche brilla di luce propria la scritta "staff", come incisa da mano divina. I suoi pettorali sembrano deflagrare da un momento all'altro, biondo, carismatico, il bianco dei denti abbaglia e sorridendo annuncia l'inizio dei balli di gruppo. Agile e atletico illustra al popolo le coreografie da eseguire a ritmo di drummer base, i partecipanti ostentano allegria, smanaccano e ancheggiano goffamente, per i cefalopodi è il momento della rivalsa. Semidigeriti, premono con i tentacoli sulle pareti dello stomaco, il duodeno va a conficcarsi sotto la milza, costringendo gli improbabili ballerini alla resa, facendoli rovinare sulle poltroncine in plastica che incorniciano la pista da ballo.
In preda a crampi lancinanti, i più disperati provano ad ammazzare definitivamente i calamari a suon di rum, ma l'effetto è ancora più disastroso. Stanchi, ubriachi, con una fucina al posto dello stomaco, molti abbandonano il predicatore fra le braccia delle sue vallette e di Miss Spiaggia 2011, che, come unica sopravvissuta, vince un giro in lycra surf.
Io, sono come loro, sono uno di loro. Dalla mia tenda, al buio, mi piace osservarli in silenzio, ed appuntare sul mio taccuino i suoni, i colori, e i sapori di un'altra estate che se ne va. La trentaseiesima.
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