Una stanza vuota, buia. Nudo. Al collo la chiave con l'anagramma della sua amata. Nudo.
Aveva freddo. Era isolato, fragile, inerme: studiava eventuali rumori di fondo per capire dove si trovasse. Chi erano? E cosa volevano? Perché nudo? Cos'altro ancora stava accadendo?
Pianse e allo stesso tempo batteva i denti per il gelo, per l'ansia che lo tartassava, per la rabbia di aver esitato troppo ed essere ad un passo dalla verità.
Come spiegare al mondo intero la sua innocenza stava diventando il male di vivere.
SI accasciò a terra, di lato, lasciando cadere lacrime profonde.
Partirono i suoi pensieri: ricordò anche lui il tempo in cui era ingenuamente fanciullo, dove ogni ricordo veniva impresso sul suo diario. Un diario difficile, diverso dal solito in cui ogni pagina rappresentava un desiderio di cambiamento. Un aiuto verso l'infinito... che non era mai giunto.
La pagina più controversa era quella delle sue inibizioni.
Stava emettendo un buffo risolino nel ricordare quel dolore, quella vergogna nel parlare a se stesso dei suoi desideri sessuali. Quante difficoltà per sentirsi parte viva di un mondo tetro e perverso, che vive in funzione delle sue emozioni e pulsazioni. Sentirsi profondamente in imbarazzo nel mostrare il suo corpo nell'unione di un idillio... E non provare piacere. Era tutto meccanico, quasi uno sforzo che terminava con personali umiliazioni e sensi di colpa laceranti...
Buffo il fatto di non essere capaci di gestire le proprie intimità, esserne tentato e poi non riuscire a godere del momento in se. Come un trauma che lacera la mente e ti fa sentire sottomesso e non appagato.
Rideva e piangeva: in quel buio non riusciva a trovare un'altra distrazione migliore.
I ricordi, tanta confusione e amarezza nel vivere ogni istante della sua vita con continue paturnie e l'immenso grado di solitudine velata nel suo intorno...
Fine tredicesima parte.