FRANCESCA
La sua voce usciva in un sospiro d’autunno, come se si disperdesse nel tragitto del suo, lungo ponte proteso tra il viso in primo piano e un corpo volutamente arretrato e protetto.
Parlava guardando uno spazio che non c’era, popolato da cultura che le apparteneva come l’amico immaginario che l’accompagnava nei silenzi avvolgenti delle folle.
Esile, elegante, fragile, forte, costante, come una goccia che cadeva incessante nel buio delle mie conoscenze. La sua umiltà e la sua presenza riempivano la stanza con il fragore di una foglia caduta nello scalpiccio delle passeggiate serali, con tutta la sua poesia, con tutta la sua dolcezza.
Si sfiorava i capelli, Francesca, castigandoli dietro le orecchie e portava la mano al viso mentre ascoltava nascondendo la sua bocca, quasi a trattenere le parole che volevano sfociare in quel fiume di spiegazioni che le illuminavano gli occhi. Strideva forte la corda delle sue censure con la voglia di far suonare la sua opinione.
Si aprì in un sorriso fugace e due piccole rughe disegnarono i confini di quell’emozione, poi tornò ad ascoltare, senza ferire, chiusa nel guscio del suo abbraccio.