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Le parole straniere
Improvvisamente si era fatto silenzio nei corridoi, dalle stanze attigue qualcuno si era alzato ed era andato cortesemente a salutarlo, altri avevano fatto cenno con il capo in senso di rispetto verso sua figura longilinea e distinta che altera si era diretta nella stanza in fondo, la più grande. Quando lei lo aveva visto, sorpresa, si era alzata in piedi mentre, impacciata, tentava di mormorare qualche parola di convenienza a lui che le sorrideva, consapevole di averle provocato quel lieve rossore sul viso.
Era il capo dell'azienda, indiscusso, potente. Sembrava senz'anima, invece l'aveva, ammalata di nostalgia e di rimpianti. Ultimamente il suo cuore aveva cominciato a fare le bizze, forse la vita cominciava a negargli qualcosa e la salute faceva parte di quel tutto che gli aveva generosamente dispensato, tutto ciò che comunemente un uomo sogna di avere: successo, soldi, donne. Tante, troppe. In azienda, quelle che avevano fatto carriera o che godevano di benefici e privilegi lui le conosceva personalmente e anche se non a tutte aveva chiesto un prezzo in cambio dei favori concessi, gli bastava soltanto che venissero da lui a chiedere e poi a ringraziare. Era la sottomissione delle persone che lo faceva sentire forte. Da un po' di tempo, però tutto questo potere lo aveva annoiato, non gli bastava, ambiva qualcosa di più. Voleva provare altre sensazioni. Da quanto tempo non si emozionava più?
Si era emozionato quella mattina appena aveva intravisto lei nel bar dell'azienda aggirarsi tra i tavolini con quel suo modo di fare allegro, mentre scherzava con alcune colleghe. Traspariva dal suo fisico un qualcosa di felino, più che una donna un animale in cerca di spazi, luce, confini diversi da quelli ristretti del luogo ove lavorava.
Ma lei neanche lo guardava, stava indaffarata come sempre con quel suo modo di sfuggire tipico che hanno le donne quando non vogliono essere viste e corrono, quasi, per non pensare, riempiendo le loro giornate di mille cose da fare, felici di tornare stressate la sera a casa.
Era una che non aveva mai chiesto nulla a nessuno, era attenta sul lavoro, intraprendente, preparata. Un'idealista di quelle che si affannano a trascorrere la loro vita credendo, testardamente, che fare bene il proprio dovere possa servire a qualcosa o qualcuno. Ma nelle terre di mafia, la mafia non è un uomo, una persona, un gruppo, un evento da combattere. È qualcosa di più La mafia è un pensiero. I bambini crescono circondati dalla mafia, respirano il pensiero della mafia; mangiano, giocano con la mafia, poi appena diventano grandi, la prima frase che pronunciano, generalmente, è "ma chi te lo fa fare, qui il mondo va così", è questo il segnale della loro iniziazione per l'inserimento nella società della cosiddetta gente inquadrata dove nessuno ha voglia di fare l'eroe. Ci si adagia, si vive coltivando il proprio orticello. È quel fenomeno sociale propriamente individuato come "familismo amorale" che nessuna rivoluzione mai potrà far sparire dalle terre del sud.
E "la mafia pensiero" si può tentare di combatterla solo con mille piccoli e grandi pensieri nuovi, diversi. Puliti.
Nell'ambito della stessa azienda, lei aveva cambiato sede e tipo di lavoro innumerevoli volte, ma ovunque, puntualmente, si ripeteva sempre lo stesso rito. Appena arrivava, "ripuliva" i bilanci, applicava le normative, cancellava le cattive abitudini del personale, disincrostava le pratiche dal malaffare, tutto diventava trasparente. Troppo. Ma così, nessuno poteva chiedere e nessuno poteva elargire, restavano solo diritti e doveri per tutti. Il suo ruolo lavorativo prevedeva compiti e poteri di un certo prestigio, e invece di approfittarne per i suoi tornaconti più o meno personali, lo usava per imporre il nuovo, il giusto, il corretto modo di fare. Come sempre litigava con coloro che la osteggiavano. Da sola, poi si ritrovava sempre a buttare la spugna, il meno peggio che le toccava era chiedere di andare via poichè restare significava dover cedere, comunque, a qualche forma di compromesso, diventare conniventi. E lei era libera, e amava sentirsi tale.
Traspariva dal suo modo di fare la passione che lei nutriva per la vita, la stessa passione che lui avrebbe voluto sentire, un'altra volta, di nuovo, ancora, come tanto tempo prima. Anche lui aveva avuto, un giorno, mille ideali e tanti sogni. Semplicemente li aveva perduti strada facendo... la sua famiglia facoltosa, la sistemazione ottimale, il matrimonio combinato e la carriera brillante avevano fatto il resto. Avrebbe pagato tutto l'oro del mondo per risentirla sulla pelle un poco, solo poco di passione... insieme ai brividi della paura dell'amore, insieme ai brividi della voglia dell'amore.
Per lei era strano vederselo davanti, così senza motivo.. Cominciò subito a parargli di lavoro, rivolgendogli il solito "lei" e rigirando tra le mani carte, documenti.. "no, non sono qui per lavoro, dopo ne parliamo. Adesso dammi del tu, chiamami Giorgio, voglio la tua amicizia, io sono qui perché voglio esserti amico, dammi il modo, dimmi tu come.. stabilisci quando.." Rimase senza fiato, provò a parlare e per quanto spigliata e disinvolta, abituata a situazioni del genere, non riusciva a mascherare l'estremo imbarazzo in cui quella situazione l'aveva posta. Avrebbe voluto rispondere con schiettezza, diceva sempre quello che pensava, non fingeva mai. .. quasi mai.
Questa volta non erano le sue parole quelle che le uscivano di bocca in quel momento. Erano parole straniere, quelle che dicevano..."si, certo se vuole prenderemo un caffè insieme qualche volta" . "no, ti prego ho detto chiamami Giorgio, e non qualche volta, per diventare amici devi dirmi tutto di te, ci vuole tempo, dobbiamo conoscerci e vederci spesso. Tu sai che tipo di uomo sono io. Io non ho mai chiesto niente a nessuno... solo a te ho chiesto... l'amicizia; tu vali molto, qui sei sprecata, con quella gente tu non ci devi stare. Meriti altre opportunità. Ti presenterò a coloro che sono ai vertici dell'azienda, andremo a Milano, ma questa volta ci andrai con altri ruoli, al tuo ritorno qui potrai fare quello che riterrai opportuno. Nessuno più ti darà fastidio, penserò io a tutto"
Nella sua mente, quelle frasi, furono come proiettili. Inaspettati. Si sentiva dilaniata, piacevolmente colpita. Adorava Milano, così cosmopolita, altre volte si era già recata in quella città dove amava passeggiare da sola, senza nessuno che la conoscesse; le piaceva andare a zonzo per le vie del centro, sentirsi anonima, perdersi in quella marea di facce multicolore, sprofondare nel suo ventre in metropolitana, girovagare per i negozi di Via Montenapoleone, e la sera passeggiare per le strade a Brera, tra le fattucchiere che leggono le mani, oppure rimanere ore e ore immersa nelle librerie della Feltrinelli, o nel megashow della Ricordi per ubriacarsi di musica.. Nel suo paese e quanto mai aveva visto tutto quel ben di Dio!... Mentre lui parlava, lei lo osservava, era un uomo affascinante, aveva un viso interessante, il vestito impeccabile, cravatta ben intonata, scarpe bellissime. Emanava un profumo particolare, intenso, piacevole, le sue mani curate, lunghe, bianche posate sulla scrivania, sembravano volerla raggiungere, toccavano il suo telefono, i suoi gli oggetti sparsi. Si sentiva rigida, impacciata, in prigione... legata a quello sguardo, incatenata a quella presenza. Le parole, tutte le parole sensate le sfuggivano, avrebbe voluto dirne altre, ma non le trovava, quelle le giuste erano sparite. Avrebbe voluto dire di no... Aveva sempre scelto lei, decidendo con sicurezza. Ma non era riuscita a rispondere proprio un bel niente.
Acconsentire a quella proposta di amicizia, sapeva bene cosa avrebbe comportato, mentre intravedeva i volti dei colleghi che la spiavano, fingendo di andare da qualche parte, "a domani, quindi.. Giorgio" presero a mormorare certe parole improvvisamente fuoriuscite da una bocca non sua.
Appena tornata a casa era andata a tuffarsi sul divano. Ripensava a ciò che era successo la mattina, nella sua stanza, in ufficio. Rimurginava sulla sua situazione lavorativa.. e sempre così precaria, instabile, mai una sede dove rimanere per poter svolgere tranquillamente il proprio lavoro, secondo le sue convinzioni. E.. invece, così d'un tratto, tutti i suoi problemi si sarebbero potuti risolvere.
Il capo, Giorgio, avrebbe pensato a tutto, appianato ogni cosa, nessuno avrebbe mai pensato di opporsi alle sue iniziative, avrebbe avuto carta bianca; a lui, a Giorgio, non importava un bel niente dell'andamento dell'azienda, era troppo in alto, al sicuro al suo posto di comando. A lui, adesso, importava solo lei... Immersa completamente nei pensieri, si mordeva le unghia, come al solito quando era in apprensione, vedeva le facce di coloro che l'avevano sempre osteggiata, a volte con vera cattiveria. Sopratutto quel "Masaniello", "il Capo Bastone", "il predicatore dell'ultimo giorno". Era un tipo sempre pronto a difendere gli interessi di quelli che vivevano nel marcio, che sbraitava in favore degli interessi dei poveri lavoratori nel nome e per conto della giustizia e dell'uguaglianza, ma che in realtà faceva i propri comodi, godendo della protezione di quelli che erano come lui e che avevano bisogno della sua influenza per poter allargare il proprio potere. Con il saper fare di una volpe, astutamente, era riuscito a metterle contro i dipendenti i quali, a malapena, la salutavano continuando ad operare come sempre al solo comando del malandrino di turno "facciamo così da una vita, e adesso questa che vuole?" Ed erano gli stessi che si rivolgevano sempre al più forte per ottenere un qualsiasi piccolo favore, per un diritto ritenuto negato, per sistemare un imbroglio, per un godere di un privilegio, anche minimo.
Dove non ci sono regole, di regola tutto si chiede, e quasi mai si ottiene, in modo che si possa continuare a chiedere all'infinito. Con la protezione del capo, di Giorgio, lei finalmente lo avrebbe costretto a stare con due piedi in un scarpa, trattando come meritava quel misero uomo da quattro soldi; sarebbe stata capace di frustarlo, esponendolo in pubblica piazza per obbligarlo a spifferare tutte le nefandezze di cui si era macchiato in nome e per conto di una pretesa giustizia ed uguaglianza.
Vagava con la mente, si infervorava con la fantasia, smaniava come in preda ad una febbre, sentiva il piacere del riscatto, il calore della rivincita, il sapore della vittoria.. non riusciva a stare calma. Non poteva. Quella notte aveva dormito pochissimo. Si era alzata di buon mattino ed aveva iniziato a vestirsi. Si era guardata allo specchio, generalmente le piaceva fare un controllo, ma con la lingua era messa a fare una smorfia alla sua figura riflessa, si sentiva un'altra, non si piaceva affatto.. Nervosamente prese a rovistare nell'armadio... in cerca di qualcosa di particolare come sempre fanno le donne quando vogliono essere sicure di piacere.
Amava vestire in maniera molto semplice, gonne al ginocchio, camicette colorate, cappotti di pelle. Ma quel giorno voleva indossare qualcosa di particolare, così era scivolata in un pantalone nero molto attillato, che le metteva in evidenza le linee del corpo, aveva calzato le scarpe col tacco più alto, abbottonato con cura la giacca di renna corta in vita e dopo aver spazzolato i capelli, con passo veloce si era avviata ad uscire da casa. Generalmente salutava i conoscenti che incontrava, i vicini di casa, il giornalaio, il negoziante, il vigile sempre con fare amichevole, pronta a dare un bel buongiorno a tutti, le piaceva l'allegria. Considerava l'ironia il dono più prezioso che potesse avere una persona, le piaceva cercare di stare fuori dagli schemi, sdrammatizzare, prendersi un po' in giro, forse, per smascherare le fragilità e mostrare il lato nascosto, talvolta migliore, che c'è dentro ciascuno. Ma al contrario della altre, quella mattina, camminava con la testa bassa con lo sguardo sulla strada, buttato per terra e senza nessuna voglia di sorridere. Con la mente cercava le parole che avrebbe dovuto dire di lì poco al capo, a Giorgio. "ok, sono contenta, diventiamo pure amici, ma senza imporci niente, così liberamente, quando abbiamo voglia ci incontriamo... no, no, non così" esclamava a voce alta nella propria testa. "Si, se la nostra è un'amicizia disinteressata, sincera, senza altri scopi, da entrambe le parti.. no, no, così no" ripeteva, ancora "beh, certamente l'amicizia è una grande fortuna al tempo di oggi, non capita spesso di trovare veri amici che nel momento del bisogno... oddio, oddio che casino! " Ripeteva le frasi e le parole come se le piovessero addosso. Come sempre, quando si sentiva in difficoltà, entrava in una dimensione confusa, si emozionava e non seguiva un filo logico, rincorreva pensieri strambi, perdeva il senso delle cose, la realtà era una giostra in movimento. "ma perché sono fatta così male.. mi imbroglio sempre, anche da sola"... Pensò.. esasperata dentro di se.
E spesso andava fuori binario, diventava difficile capirla, senza perdere un poco la pazienza. Forse per questo amava circondarsi di persone calme ed equilibrate. Cercava il contrario di quella che lei era come donna. Lei era furiosa e cercava persone dolci, disponibili pazienti. Amava l'armonia, lei voleva solo armonia intorno, soltanto questo, niente altro.
Invece l'ambiguità, le contraddizioni, i conflitti facevano parte della sua vita. E non lo sopportava. Non si sopportava affatto. Era molto timida, anche se non appariva tale. Una rompiscatole, era proprio una tipa insopportabile.
Pioveva, aveva affrettato il passo, mancava ancora un bel pezzo di strada per raggiungere il palazzo dove era ubicato il suo ufficio. Svoltato l'angolo, apparve la Mercedes del capo, di Giorgio. L'aveva riconosciuta subito, potente, brillante, non c'erano tante in giro di auto come la sua.. lui l'aspettava, conosceva il tragitto che lei doveva compiere per andare in ufficio.. Nel vederlo aveva cominciato a toccarsi ripetutamente i suoi capelli, sentiva una fitta allo stomaco, le capitava sempre ogni volta che un'emozione si impadroniva di lei di provare quel dolore lancinante, veloce che nel suo fisico entrava come una setta, la colpiva, la rendeva fragile, appariva sul suo viso, si vedeva chiaramente, non riusciva a nascondere nulla. Anche da lontano lui si era accorto subito della sua agitazione.. Con un sorriso radioso l'aveva salutata e, aperto l'ombrello, le aveva spalancato la portiera dell'auto. "Buongiorno, Alessandra, sei bellissima questa mattina, entra, ti accompagno, altrimenti ti bagnerai tutta. "
Non era la voce di Alessandra quella che in quel preciso momento le usciva dalla gola, scivolava dalla lingua per disperdersi nella bocca, finendo sulle sue labbra. Era di un'altra... divenne un mare in piena, quella voce mentre diceva... parole straniere..."Non mi piace il tuo culo e quello è la prima cosa che guardo in un uomo e anche la seconda e pure la terza, deve essere ben piazzato... simpatico, mi deve ispirare... mi deve piacere.. un bel punto di appoggio o un bel punto di spinta per posarci sopra le mani in certi momenti... e adesso scusa, vado a piedi, ho voglia di camminare, ciao Giorgio".
Masaniello l'aspettava quella mattina, i dipendenti erano pronti per la barricata, un'altra, ben organizzata questa volta, l'avrebbero annientata, dentro, per sempre. Ma lei tutto questo, ancora, non lo poteva sapere.
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1 recensioni:
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- Un bellissimo racconto di stampo verista, una storia intensa e piena di attualità. l'universo femminile tratteggiato dall'autrice nelle sue più intime verità; quelle che bruciano sulla pelle, che ti catapultano nel mondo reale e che ci fanno comprendere come sia lontano il mondo e della parità uomo-donna. Leggendo Le Parole straniere si capisce molto bene che il Novecento è stato il secolo delle grandi speranza, delle molte ideologie, ma che nella sostanza abbia cambiato poco il mondo femminile, poca la libertà ottenuta dalle donne. Le parole straniere sono quelle che descrivono il nostro mondo e che per paura o quieto vivere noi li stringiamo in un cantuccio, li soffochiamo. Cattolici sessuofobici anzichè praticare una sana sessualità, preferiamo osservarla dal buco della serratura. Il nuovo millennio si presenta ancora con le fosche proposte di un maschilismo nuovamente violento, consapevole di non riuscire ad accettare la propria pochezza "sulla perdita della propria identità" ed il ruolo in seno alla società ed alla famiglia.
Il racconto è avvincente, la protagonista mostra tutte le emozioni e le trascrive con la serenità con cui le vive intensamente senza falsi pudori o atteggiamenti di maniera
Anonimo il 27/05/2013 18:08
Carissima Anna Comunemente Rossi. A dispetto del cognome il tuo racconto non è anonimo, ma porta un abito sartoriale ben cucito, con stoffa di qualità eccellente.
Anonimo il 10/05/2013 14:07
Era la sottomissione delle persone che lo faceva sentire forte... molto azzeccata questa frase, mi ha ricordato un motto di Mao Tse Tung, il quale diceva che la tigre è di carta.
Bel racconto, pieno di significato. Non me ne voiglkia tuttavia la gentile autrice se le muovo un appunto sulla punteggiatura: andrebbe sistemata leggermente. E poi vedrebbe lei stessa come il brano renderebbe di più.
So di fare un commento antipatico, ma mi unisco a quanto detto da un'autore, certo Antonino R.
Chi si è spellato le mani per questo brano ha sbagliato: forse per eccessiva amicizia.
In realtà anch'io penso davvero che lei abbia una innata dote narrativa, non supportata da una precisa cognizione letteraria.
Superate queste piccole difficoltà, che con un semplice corso di scrittura creativa ed un po' di esercizio sarebbe facile ottenere, allora potrebbe ben cimentarsi in una seria narrativa. Una domanda: perchè mai non ha più continuato?
Un saluto e mi scusi per la pignoleria, forse eccessiva.
P. S. le voglio lasciare un esempio.
Analizziamo l'incipit:
Improvvisamente si era fatto silenzio nei corridoi, dalle stanze attigue qualcuno si era alzato ed era andato cortesemente a salutarlo, altri avevano fatto cenno con il capo in senso di rispetto verso sua figura longilinea e distinta che altera si era diretta nella stanza in fondo, la più grande.
Una frase eccessivamente lunga che va assolutamente spezzata in quanto la virgola non può servire da congiunzione tra proposizioni che abbiano diverso argomento.
per esempio... Il cane abbaia al gatto, il sole cala si possono unire solo con un avverbio di tempo... mentre, oppure separando le due frasi con un punto.
Ecco la frase iniziale opportunamente punteggiata:
"Improvvisamente si era fatto silenzio nei corridoi. Dalle stanze attigue, qualcuno si era alzato ed era andato cortesemente a salutarlo; altri avevano fatto cenno con il capo in senso di rispetto verso quella figura longilinea e distinta che, altera, si era diretta nella stanza in fondo, la più grande"
Anonimo il 13/09/2012 12:33
Un testo molto particolare per stile e contenuto. Ben scritto, apprezzato e piaciuto. Sinceri complimenti.
- Ecco.. quì è come se..
L'anonimo è Denny, e chissà.. se il suo volto si vedrà.
faccio un clik e.. E vediamo che succede...
Anonimo il 14/08/2012 02:35
Hai descritto tutto per bene, punto su punto, virgola per virgola, Un modo.. un mondo.. figure pensieri bambini radici, reali irreali Reale. Dove non ci sono regole, di regola tutto si chiede e quasi mai.. E adesso scusa, ciao Giorgio.
Ma lei tutto questo, ancora, non lo poteva sapere.
Bello Anna, libri e racconti son pochi quelli che leggo, ma questa tua pagina.. queste tue parole straniere.. Si mi son piaciute molto, Chiare come albe, buie come pozzi, fondi come mare, Brava Anna, Ben Scritta!!
- Molto piaciuto ed apprezzato questo tuo tanto tanto bello!
- Il personaggio, se ho ben capito autobiografico, di questo racconto mi somiglia molto, per mentalità e per ruolo. Poi il racconto è ben scritto e si lascia leggere piacevolmente. Solo il mafia pensiero mi lascia un po' perplesso: così come lo descrivi non mi sembra altro che l'universale ossequio al potere che produce lecchinaggio a go go. Comunque brava!
- Complimenti a te. Mi associo a chi mi ha preceduto. Felice di aver letto il tuo racconto
- Letto con molta attenzione. Congratulazioni
- anche se un po' lungo è inevitabile non leggere... bello dall'inizio alla fine... ben scritto
Anonimo il 26/09/2011 11:31
Mi associo ai commenti che mi hanno preceduto: un racconto notevole!!!! Complimenti!
- Accipicchia. Si respira una realta' alla Gomorra. Una filmato realistico e crudo. Che purtroppo immagino non sia frutto di troppa fantasia. Bello! E coraggioso!
Anonimo il 25/09/2011 12:58
ben scritto complimenti. ciao Salva
Anonimo il 24/09/2011 19:25
Sono sconvolto dagli elogi sperticati che ti hanno tributato. Brutto segno. Detto della forma precaria, interessante il contenuto. Ciao.
- sono d'accordo con gli altri. brava!
- Buona la valutazione di chi mi ha preceduto, non saprei cosa aggiungere; solamente, un racconto troppo lungo per un sito come il nostro.
Anonimo il 21/09/2011 15:50
bello, ben curato!... eppoi oggi mi ha dato da pensare la psy che ci fa lezione perchè diceva: "Io torno da milano, quando ci vado stressata perchè ricevo troppi input!"... io invece sono ESATTAMENTE come la protagonista del tuo racconto: trovo milano cosmoplitica, la città ideale per passare inosservati e adoro andare alla feltrinelli o ai ricordi...
Anonimo il 21/09/2011 13:12
Un bel tema, trattato in modo introspettivo. Sono curioso. perchè autobiografico? Brava... ti aspetto con un altro brano. ciaociao
Anonimo il 21/09/2011 10:43
Anna, pur limitandomi nel mio parere alla forma, alla tecnica compositiva di questo tuo racconto, devo dire che sono entusiasta, sconvolto! Sei una bravissima prosatrice e una narratrice molto molto abile: non sei ripetitiva, il lessico è vario e scelto con cura, la grammatica è impeccabile - il che non è scontato, credimi - tutto è calibrato e bilanciato. Potrei continuare ancora Brava brava brava, Una forma senza macchia per una materia, come hanno espresso anche Paola, Ben e Salvatore, scabrosa e ineliminabile..
Anonimo il 20/09/2011 23:40
Anna, il tuo è uno scritto tanto coinvolgente quanto sconvolgente per la realtà che descrivi in modo crudo e vero.
La tua è un'analisi lucida e determinata della realtà esistente nel Sud... ma forse anche altrove.
Fantastico il tuo modo di scrivere. Complimenti!
Anonimo il 20/09/2011 23:34
Un racconto scritto molto bene e coinvolgente. Una realtà piuttosto ricorrente in ogni dove, aggravata nel Sud dall'accettazione di una realtà basata sul compromesso... purtroppo.
Bravissima!
- Beh! Che dire? Dovrei dirti che scrivi benissimo! Che nella narrativa sei fantastica! Bello e approfondita l'introspezione del personaggio femminile. Bellissime le descrizioni del suo nervosismo e dei suoi pensieri che si univano accavallandosi fino al contorcersi. Infine ironico, graffiante, drammatico, ma anche ragionevole e incontestabile quel: "Non mi piace il tuo culo..." Non immaginavo che tu potesssi essere così descrittiva ed intelligente. Un consiglio: datti alla narrativa, ma senza pensarci due volte! Un bacio gentile, Fabio.
Anonimo il 20/09/2011 17:54
Descrizione cruda di una realtà vissuta in cui legalità, giustizia e onestà sono soppiantati da un nuovo ordine basato sul favore, sull'opportunismo, sul compromesso, sulla perdita della propria identità.
Una realtà molto sottile accettata dalla maggioranza come un fatto ineluttabile. Positivo il personaggio femminile. Ma quanti di questi ce ne sono realmente, sia uomini che donne?
Spero che siano in molti ad acquisire coscienza della propia dignità, del proprio valore che va ben oltre i soldi e la carriera, del proprio essere persone libere.
Molto ben scritto e piaciuto.
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