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Quando bruciano i roghi virtuali ( la vita conta più dell'opera )
Si racconta che Platone, quando divenne discepolo di Socrate, abbia bruciato una tragedia che aveva appena scritto.
Kafka, in punto di morte aveva incaricato l'amico Max Brod di distruggere le sue opere inedite - quelle edite erano state pressoché ignorate -, fra le quali capolavori come "Il processo" e "Il castello" (incompiuto).
Credo che il gesto del grande scrittore che destina i propri libri al rogo non nasca mai da una valutazione letteraria, bensì da ragioni più profonde.
Platone distrugge la sua tragedia perché diventando discepolo di Socrate si consacra alla ricerca della Verità, così come vuole il suo maestro che proprio per questo detesta l'arte di Omero e dei lirici, ritenuti tutti dei fingitori e dei bugiardi.
Kafka invece ricercava il significato dell'esistenza con un accanimento tale che s'impediva di viverla liberamente e così, verso la fine della sua esistenza, stanco di essere ignorato e indifferente a tutti, tranne che al suo amico e mentore Max Brod, ha un'intuizione meravigliosa e scrive questo straordinario aforisma:
" Chi cerca non trova, chi non cerca viene trovato", e incarica l'amico Max Brod e la sua ultima compagna Dora di bruciare le sue opere inedite.
Dora lo farà, ovvio - le donne, in genere, si sa, amano più le poesie che la grande letteratura -, mentre Max Brod, stupenda figura di amico e mentore, unico che ha saputo riconoscere la grandezza di Kafka, si ribella al diktat dello scrittore e ci regala grandi capolavori. Tratterò un'altra volta la figura del mentore e la sua grandezza nel farsi da parte per riconoscere la grandezza altrui. Chi oggi, nei forum letterari Web è un vero Mentore o un Mecenate?
Zero assoluto, al cubo infinito.
Kafka, dicevo, brucia le sue opere perché capisce che LA VITA CONTA PIU' DELL'OPERA.
Passano gli anni, e anch'io, colpito da un'ingiunzione a rimuovere le immagini e i video delle mie innovative quanto ingegnose opere in formato Web, mi ritrovo nella stessa situazione dell'Autodafé, indotto da una società repressiva.
Un amico di mail mi chiede come riesco a sopportare la mia stessa autodistruzione creativa, indotta da un ambiente ostile e retrivo.
Lo confesso, scrivo meno bene di Kafka -usiamo due medium diversi, ma lui è imbattibile, raramente son modesto, ma le poche volte che lo sono lo son davvero almeno -, ma umanamente ho il suo stesso spessore.
Ebbene anch'io ho avuto la suprema Visione, grazie all'accanito studio del mio maestro Nietzsche, che la vita conta più dell'opera.
Vale a dire, semplicemente, che le mie rutilanti opere, rispetto alla mia vita, valgono MENO DELLA MIA STESSA MERDA.
Del resto, quando scriviamo, noi non riveliamo al lettore le cose come sono davvero, ma le parole, che sono sempre diverse dalle cose reali.
Sommo è il distacco dalle mie opere e questo lo potete vedere leggendole (le poche che non sono state epurate).
Noterete una noncuranza, della sublime leggerezza e capriccio dell'espressione, ambiguità e talora fiera, vitale arroganza.
Nella vita c'è chi ha il plasma da rana e chi ha il sangue da toro.
I miei globuli taurini se la ridono dell'opera stessa che redigo, sempre lontana e avulsa da qualsiasi elemento personale ed egotico.
Come nei quadri del Rinascimento, il vero Mauro, si nasconde dietro un paesaggio toscano carico di emblemi e di mistero e i nessi personali nessuno riesce a coglierli, nemmeno se si fa scoppiare il cervello.
Nell'enigma del Moscone si manifesta la mia profonda volontà di celarmi, di mascherarmi ed esprimo il possesso di un'altra ricchezza, ben più importante della miserabile pubblicazione: la piena esuberanza vitale.
Ah... leggerezza, incoerenza, tessitura di trame antifinalistiche, ambiguità, capriccio e adolescenziale tracotanza... quanto sono bello!
Per questo le fiamme virtuali mi rendono più possente e taurino, mi capite, adorati amici, mi capite?
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