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La signora Flavia
" La signora Flavia", così la chiamò anche il vecchio parroco della chiesa di S. Pantalone, nel corso delle esequie.
Non gli venne affatto spontaneo chiamarla "sorella". Pensavo a quel suo portamento così distaccato e distante, a volte forse anche un po' sussiegoso. Non veniva altro da definirla se non " signora Flavia".
Benchè fosse più giovane di me, di ben otto anni, anch'io mi rivolgevo a lei, dal momento in cui l'avevo conosciuta, con l'appellativo di " signora".
Da viva era un figuretta sottile, magrissima e tutta scura. Nera di capelli, neri gli occhi molto vivaci, d'incarnato olivastro, naso piccolo con narici a fessura. Costantemente vestita di nero, anche se con abiti di gran firma. Scarpe decolleté con tacchi a spillo, borsa nera in pelle con manici a forma di anelli in ottone. Ombrello, se pioveva, nero. In primavera azzardava vestirsi di blu. Ricordo un suo tailleur in seta, blu fondo con risvolti color panna.
Al caffè dove la incontravo casualmente , o a mezzogiorno o prima della chiusura serale, non mangiava mai, spiluccava " salatini" , sorseggiando un calice di prosecco. Fumare, fumava assai. Le dita ne rivelavano un vizio assiduo.
Dalla finestra del mio ufficio, sorvolato con lo sguardo un piccolo giardino condominiale, potevo scorgere la finestra del suo studiolo, le cui pareti erano cariche di stampe d'epoca, incorniciate.
Tutto ciò non ha più alcuna importanza, poiché l'esistenza di Flavia, rimasta vedova già prima dei quarant'anni, si era volatilizzata nella proverbiale polvere, ma aveva preso risalto, per me, proprio nel giorno della sua morte e del suo funerale.
Era da più di un mese che non mi capitava di vederla arrivare al solito incrocio ed avevo deciso di telefonarle. Si avvicinava il Natale, potevo farle gli auguri. L'anno precedente lei mi aveva regalato dei vasetti di confettura, confezionata con le sue mani. Era bravissima nel fare queste cose. Confetture raffinate al mandarino con il rum. S'era raccomandata che le restituissi i vasetti, cosa che non avevo fatto... Avevo questo pensiero in mente, l'urgenza di farmi viva con lei, il giorno in cui acquistai il giornale cittadino. Nella pagina della cronaca vi scorsi, provando un tuffo al cuore, l'annuncio della sua morte improvvisa.
I funerali si sarebbero celebrati a Venezia. Mi recai alla chiesa stabilita con un bel po' di anticipo. Acquistai dal fiorista un mazzetto di roselline che, al momento, mi sembrarono anche costose. Era dicembre, tutto aumentava di prezzo. Nella grande chiesa gelida, il cui soffitto vanta il più grande affresco ligneo esistente al mondo , trovai solo due donne anziane; una si trascinava appresso un grande mazzo di rose, chiuse nel cellophane, con un nastro che diceva " la tua tata". Il rumore del mazzo di fiori contro il pavimento sembrava quello di una scopa di fascine. Avvisai l'anziana donna di sollevare quel mazzo delicato o ne sarebbe rimasto ben poco.
Cominciò ad arrivare gente, molto distinta e distaccata. Molte pellicce e abbigliamenti di classe. Qualcuno sembrava conoscersi , altri se ne stavano in disparte. I congiunti stretti si misero al primo banco ricoperto con drappo violaceo. C'erano anche i figli adulti del marito, a lei premorto. Prima dell'arrivo della bara, deposi le mie timide roselline ai piedi dell'altare maggiore, vicino al mazzo della tata e ad altre ceste floreali.
La salma arrivò dal fondo della chiesa , portata a braccia, con un gran cuscino di rose bianche, sopra, senza scritta o nastri. Mi colpì la leggerezza del peso. La bara sembrava vuota, gli uomini la portavano senza alcuno sforzo, le loro spalle non erano gravate né infossate. Lo si capì al momento della deposizione a terra, essi non ebbero particolare attenzione e le rose bianche sbandarono da un lato, scivolando.
Pensavo che il corpo di Flavia era là dentro, minuto quasi inesistente, i capelli ravviati all'indietro come lei li portava, le mani lunghe ed esili, congiunte. Vestita di nero, ma non per lutto, era il suo colore. Mi vennero alla mente i suoi discorsi sui fiori, che ella amava moltissimo, sulla sua casa al mare, dove passava l'estate "ma senza mai andare in spiaggia, quando c'è gente", e soprattutto sulle cene che lei organizzava per gli altri, cucinando cose raffinate ed elaborate che lei nemmeno assaggiava. Cucinava dolci anche per le sue impiegate e marmellate e composte per gli amici. Ricordai che in qualche occasione l'avevo anche accompagnata in automobile a Venezia, dove abitava. Infatti la chiesa distava pochi passi dalla sua casa.
Parlava del marito ( assai più anziano di lei, che era morto già da tempo) come se si fosse allontanato per poco tempo e fosse in procinto di rientrare. Mi riferiva qualche particolare della sua vita da sposata, di un viaggio fatto con lui. Usava sempre presentarsi con il cognome del marito scomparso.
La messa prese vita, mi accorsi che pochissimi rispondevano alla liturgia. Mi feci coraggio, alzai la voce verso il povero parroco, solo davanti a tanti sconosciuti. Il sacerdote, anziano e mal in arnese , non riuscì a celebrare senza appoggiarsi ad un bastone ed anzi, al momento della eucarestia, rimase proprio seduto, parlando con un filo di voce. Il contrasto d'atmosfera era forte. A destra dell'altare maggiore un grande abete natalizio, addobbato, sprizzava piccole luci gioiose intermittenti. Più scostato, in una cappella a sinistra, si intravedeva il Presepe , completo, ma senza santo bambino, con la cometa che andava su e giù per la tersa volta del cielo in cartongesso. Il tempio attendeva Gesù, era preparato per la festa della speranza, e nella speranza salutava la signora Flavia. Gesù arrivava, Flavia partiva, ma il funerale non riusciva a reprimere o a sovrastare l'aria morbida e silenziosa del Natale imminente. Il Signore Dio dei viventi, lo era anche per Flavia.
L'organo settecentesco , sopra il grande portone, diffuse le sue note gravi e solenni da un 'altezza davvero considerevole. Intravedevo dal basso, a malapena, la testa dell'organista. Le canne spandevano le note come volute di un grande velo. Mi sembrò facesse meno freddo.
Al momento della eucarestia, il parroco , infreddolito, rimase seduto e distribuì le ostie dalla sua poltrona, dietro l'altare dalla candida tovaglia merlata. Mi avvicinai al sacerdote. Mi accorsi che egli aveva le mani intirizzite e le stesse ostie stavano tutte attaccate nella coppa, a causa del freddo. " Gò le man ingelade, non le vien su" mi sussurrò scusandosi. Con una certa difficoltà, staccandola da tre, mi porse un'ostia, ma non disse " il Corpo di Cristo " ; credo avesse troppo freddo e fosse preoccupato per le particole che non si distaccavano. Risposi lo stesso amen, al suo silenzio
Alla fine dell'eucarestia, con grande difficoltà, e sorretto per gli avambracci dal sacrestano e da un parente di Flavia , il vecchio prete si avvicinò alla bara, portando l'aspersorio. Nessun incenso. L'albero di Natale mandava le sue lucette, la cometa del presepe compariva e scompariva, l'organo zigzagava le sue note, in lotta con il gelo. Fu fatto un semplice segno della croce in aria. Le gocce d'acqua benedetta caddero sulle rose, tra i petali, sul tappeto un po' consunto.
Finita la celebrazione, mi accodai non conoscendo nessuno ed uscendo per ultima. Prima, però, raccolsi sulla soglia un petalo di rosa bianca, carnoso e voluttuoso, caduto sopra il marmo del pavimento, e lo composi nel fazzoletto piegato che avevo in tasca. Lo conservo tutt'ora anche se ingiallito e fragile come carta pergamena.
Fuori della chiesa, la bara venne caricata su di una lancia. A Venezia la bara è del tutto esposta sul ponte della imbarcazione, non viene inghiottita dentro un'automobile. La si vede, come sopra un catafalco, coperta dai fiori. Provai una fitta al cuore, una fitta di gioia. Le mie roselline erano state deposte proprio sopra, conficcate dentro un lato del cuscino delle rose bianche... Quale più grande ed intimo saluto per Flavia! L'avevo conosciuta così poco ed ora il mio pensiero, in forma di roselline, poteva sussurrarle vicino, tenerle compagnia in quell'ultimo viaggio "per acqua" che ella si apprestava a fare... Di tante persone presenti, che certo l' avevano frequentata e conosciuta meglio di me e che già si affaccendavano a parlare tra loro, proprio i miei piccoli fiori le restavano così vicini... La lancia, caricati i parenti, si staccò dalla riva dondolando per le onde cagionate dal passaggio di una caorlina a motore. La bara e le rose assecondarono quel ninnare lieve.
Flavia salutava Venezia, era nata veneziana, se ne andava da veneziana, per via d'acqua, tra le rose, in una giornata più grigia del piombo.
Me ne ritornai. La sera, uscita dall'ufficio, imboccai con la macchina il viale. Le vetrine illuminate ed addobbate per le feste natalizie gettarono luce su di un uomo, senza cappello, malgrado il freddo, con il bavero del cappotto rialzato. Riconobbi il padre di Flavia, che , con il sacchetto del pane in mano, attraversava la strada.
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- Niente di meglio di un funerale per capire fino in fondo la persona che appena qualche ora prima zompettava in un appartamento accanto al tuo. Sì! Perchè da vivi le persone ci interessano poco,; se hanno soldi, se sono compatibili con i nostri sensi, se rompono... Raramente ci chiediamo chi in realtà sia questo nostro vicino di casa. Il prete conosce poco "la signora Flavia" e come poteva conoscerla se di lei in tanti avevano l'immagine di una vecchietta un po svampita con il suo modo di vestire da vecchietta che trascina la propria dignità dal bar al negozio alla bottega. In quei pochi momenti in cui si celebra il funerale, i pochi o molti partecipanti bisbigliano gli aneddoti più salienti della vita della Cara Estinta, così scopriamo l'affetto di cui godeva nel quartiere, si ricorderanno le sue proverbiali confetture con cui Lei tesseva le sue amicizie le blandiva. In quei pochi momenti quei fiori portati in chiesa diventano testimonianza di affetti che erano ben radicati oltre le apparenze.
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