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Chi vuoi che ti creda?
Ora il medico raggiunse il letto di Marta e rivolgendosi a lei con gentilezza le chiese: "Fanno male i polsi?"
"Non sono quelli che dolgono..."rispose lei, e il tono in cui lo disse lasciava comprendere che esistevano ben altre pene atte a sbranare il cuore. "D'accordo" disse l'uomo, aggiungendo "vedrà, l'aiuteremo!"
Poi si rivolse nuovamente all'infermiera dettandole la terapia che, con solerzia annotò sul suo fedele taccuino. La sera stessa Marta iniziò a ingoiare le compresse distribuite dal personale di turno.
L'effetto di tale cura la fece precipitare in uno stato pseudo sonnambulesco trascorrendo le giornate nel dormiveglia. Le rare volte che si alzava sulle gambe malferme, vedeva la stanza ondeggiare. Almeno due volte al giorno doveva ubbidire a certi stimoli del suo corpo e compiere uno sforzo per recarsi al gabinetto.
La prima esperienza non fu facile: una vera impresa reggersi in piedi in equilibrio. In quello stato precario procedeva lentamente tendendo le braccia in avanti per traballare e sbandare meno.
Stentatamente raggiunse quel luogo. Aprì la porta cigolante; un fetore nauseabondo l'avvolse facendola retrocedere, ma la necessità, conscia di essere giunta alla meta stabilita, si fece più impellente e non essendovi altra soluzione, dovette capitolare.
Il vaso rigurgitava di liquami, incrostandolo esternamente fino a raggiungere il pavimento, emanando miasmi vomitevoli. Orme rinsecchite testimoniavano che molti piedi avevano calpestato quella sozzura, estendendola lungo il vano.
Tutta la corsia si trovava in uno stato di avanzato degrado. Dalle pareti screpolate, frammenti d'intonaco cadevano sporcando il pavimento attaccaticcio; i vetri delle finestre,
compassionevolmente opacizzati dalla polvere, celavano lievemente le grate arrugginite; i materassi e cuscini, macchiati, secernevano un puzzo di stantio marciume. Un ambiente gelido, sporco, inospitale, inadatto a risollevare gli spiriti affranti di quelle ammalate. I responsabili del reparto, conoscendo, ignoravano, constatando quanto la maggioranza delle degenti vivessero la loro realtà sottratte da ciò che le attorniava: dimorando in una dimensione propria, estraniandole da tutto, non percependo la triste bruttura di quel luogo.
A maggior ragione il direttivo avrebbe dovuto usare ulteriore attenzione verso quell'immane sofferenza indifesa come fanciulli. Ed è un'azione vergognosa privare un essere umano, a prescindere dall'età, appartenenza, sesso, colore, credo e in qualsiasi condizione mentale esso si trovi, del sacrosanto diritto a essere rispettato per non ledere la dignità, anche se tale individuo è inconsapevole della realtà che lo circonda.
Marta si appoggiò rassegnata sopra quella cloaca, decisa a non farsi vincere dal ribrezzo di quella sporcizia materiale. Tutt'altro lerciume le aveva distrutto l'animo.
All'ora dei pasti, il solito armeggiare di chiavi tintinnanti annunciava che il cibo, posto sopra un carrello cigolante, sospinto da una giovane infermiera, era pronto per essere dispensato.
Dirigeva l'operazione la caposala: una donna prossima all'età pensionabile, il cui corpo magrissimo sembrava piallato da ogni lato e la pelle tradiva un colore itterico.
Iniziava a distribuire le vivande gridando sempre la medesima frase e, le degenti di lunga data, avendola imparata a memoria, la emulavano cantilenando facendole l'eco: "Su, su
pelandrone! Alzatevi, muovete le chiappe sante. Venite a prendere la zuppa! Svelte! Non ho tempo da perdere con voi e le vostre fisime... lavoro io!" Poi alzando il tono della voce le
intimoriva con promesse di terapie e castighi dolorosi se non smettevano di spappagallare.
Coloro che potevano camminare si avvicinavano lente, con movimenti robotizzati, tendendo le braccia verso il carrello. La caposala, con le vene del collo gonfie e bluastre, sputando bile e urlando, sferrava mestolate sulle mani delle malcapitate, imbrattandole di minestra bollente. "Non avvicinatevi troppo al cibo! Siete sporche!".
L'infermiera che l'aiutava, allontanava con garbo le ammalate, sospingendole indietro pazientemente. "Tu si che sei un angelo!" proferì una donna aggiungendo: " ma quella è un demonio!
Domani glielo dico io al dottore!" La caposala ghignando disse: " Chi vuoi che ti creda...? Sei matta!"
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