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Spunto per la storia di una vita
Se adesso camminate per Santa Croce, in Venezia, noterete un bel po' di finestre e porte serrate. Scuri scrostati e davanzali di marmo malsicuri. I muri di certi edifici non sono nemmeno a piombo. Visti di profilo, certuni, hanno pance sporgenti poco rassicuranti. Eppure le case sono lì , in piedi da oltre cent'anni.
Anche di negozi non se ne vedono più. Dalla fondamenta Condulmer, che ai miei tempi era animata a tutte le ore del giorno, anzi: sin dalle prime ore del giorno, quando gli spazzini arrivavano con le loro imbarcazioni cariche di immondizia oppure altre barche scaricavano le bottiglie in vetro, piene di latte, dalla fondamenta - dicevo- si può vedere che, laddove prima c'era il fornaio, per la precisione il mio bisnonno, Osvaldo, con il suo forno a vapore, uno tra i primi in Venezia, adesso c'è l'ufficio postale lungo lungo e stretto. L'orefice all'angolo di Fondamenta Minotto non c'è più. Poveretto! È stato ammazzato nel corso di una balorda rapina. Adesso vendono le solite maschere.
Chiuse anche la bottega del profumiere, un certo Rigo, dove andavo ad acquistare il borotalco Roberts. Forse è rimasta la farmacia e certamente la minuscola osteria che si affaccia in campo dei Tolentini. Un tempo frequentatissima da chiassosi gondolieri. Ora non più perché non c'è più passaggio né attracco di gondole.
Chiusa la bottega di mio nonno, Giuseppe , artigiano pastaio, morto oltre trent'anni fa. Salpata per chissà quali lidi la vecchia barcona di Genio, un fruttivendolo chioggiotto che ci viveva dentro con la moglie grassa e sporca. Già quand'ero bambina la barca era solo capace di galleggiare a stento, ormeggiata con grosse gomene cariche di lunghe barbe verdi, festoni di alghe che emergevano con la bassa marea. Genio teneva cassette di frutta e verdura esposte su delle assi e le donne comperavano sporgendosi dalla riva, cariche di borse a rete rigonfie. In fondo alla fondamenta, infine, prima del ponte del Gaffaro, c'era anche un banchetto di pescivendolo, detto Spiro ( Spiridione) che vendeva in tutte le stagioni. Di questo banchetto c'è un parziale ricordo in una foto che mi fecero da bambina, aveva nemmeno due anni. Io vi appaio piccolina, con i riccetti e le gambe storte. Impaurita guardo l'obiettivo, dietro di me si vedono le assi del banchetto del pescivendolo e le gambe delle donne che ci passano davanti. Di questo Spiro mi ricordo che era sempre allegro e prendeva in giro le clienti. Serviva svelto, rapido sbudellava i pesci e toglieva la pelle ai bisatti, con un sol colpo, dopo averla recisa attorno la testa. Aveva anche un gran mastello di zinco, pieno di acqua salata, dove teneva i bisatti ( anguille) vivi e le mazanete ( granchi ) . Quando divenni abbastanza grande da arrivare al bordo del banchetto, Spiro mi permetteva di toccare appena appena le " schìe " o i gamberetti ancora vivi, che si agitavano con le zampette in alto. Una volta mi regalò anche una mazaneta che però mi fece pena e buttai in canale.
Ma il segno più grande dei tempi inesorabilmente cambiati, è rappresentato dal palazzo Papadopoli. Un tempo c'era la mia scuola elementare, con il nome di Alessandro Poerio. Tutte scolare, eravamo. Con i grembiuli a quadretti bianchi e rosa e il fiocco rosa.
Alessandro Poerio era un bellissimo giovane, con la testa riccioluta e il volto a mezzo profilo. A guardarlo bene sembrava che il vento gli soffiasse perennemente tra i capelli, da dietro. Il suo busto in marmo era ( ed è ancora) collocato nel grande corridoio a piano terra dell'edificio. Recita l'epigrafe : " Alessandro Poerio, animo eroico poeta gentile, venne volontario da Napoli per la difesa di Venezia, ove combattendo e morendo... " Conosco la iscrizione a memoria per averla letta e riletta non so quante volte, fino alla quinta elementare, mentre facevo la ricreazione delle dieci.
"La difesa di Venezia"... a dieci anni, non sapevo a che cosa si riferisse. Pensavo fosse un episodio legato a una delle ultime due guerre mondiali. Probabilmente alla prima, perché l'eroe riccioluto aveva una camicia svolazzante, con un collo antico, aperto sul petto. Una camicia che certamente negli anni quaranta non era di moda.
Con la carenza di nascite e quindi di alunni, la scuola venne meno. Adesso il palazzo Papadopoli è adibito ad un ufficio comunale, non si entra più dal portone sulla fondamenta, ma dal giardinetto, e la scritta della scuola è stata rimossa. Alessandro Poerio, con mia grande delusione, è stato nascosto da un pannello. Certamente non poteva essere spostato, pesante com'è. Il suo bello sguardo fiero ed il profilo greco rimangono puntati nell'ombra. Se lo dovessero rimuovere da lì, vorrei vederlo ancora una volta o almeno sapere che fine farà, Poerio.
La storia comincia così:
sono nata nel 1954 al Lido di Venezia, in una notte gelida di gennaio. Mia madre racconta che le doglie la colsero mentre era sola in casa, mentre andava la stufa a carbone. Mio padre, che aveva la passione della politica militante e di sinistra , si trovava fuori città.
Sembra che nel momento cruciale mia madre dovette decidersi a raccogliere la sua valigetta già pronta e, tutta sola, affrontare la fondamenta a malapena illuminata e scivolosa ( fioccava la neve come nelle più autentiche tragende), cercando aiuto presso la propria madre, Maria, che abitava dalla parte opposta a casa nostra.
Tuttavia, sempre stando al suo racconto, la poverina, nel cuore della notte, incontrò mio padre, fermo ai piedi del ponte del Gaffaro, intento a discutere di politica con un "compagno."
A quell'ora di notte, l'una, papà stupì di trovarsi di fronte la moglie, con la gran pancia chiusa a stento dentro al cappotto, essendosi certamente del tutto dimenticato della presunta data del parto... non so che cosa essi si dissero; posso solo immaginare lo stato d'animo di mia madre, ma comunque senza ulteriori indugi i due futuri genitori arrivarono al lido di Venezia, a bordo di una imbarcazione detta " lancia" ed io venni precipitosamente al mondo presso l'Ospedale al Mare, sito in viale D'Annunzio, Lido.
"Precipitosamente" , perché a mia madre si ruppero le acque che non l'avevano ancora preparata per la sala parto. Partorì quasi vestita. Questo fatto per cui sono nata in tutta fretta mi è rimasto nel carattere. Infatti sono tutt'oggi una persona che decide rapidamente, a volte anche furiosamente. Uscii da mia madre come una piccola anguilla, giallognola di ittero e desiderosa di conoscere il mondo. Sono nata Acquario della più bella specie. Anche il fatto di essere nata al Lido ha lasciato una traccia nel mio profondo subconscio. Io amo le isole, tutte. Mi piace programmare viaggi che hanno come meta un'isola. L'isola, per me, è un fatto compiuto, una cosa dai confini certi, una sfida galleggiante. Ho visitato così le isole Normanne, l'isola di Brehart, l'isola di Skye, quattro isole delle Azzorre, Itaca Rodi e Santorini...
I miei erano decorosamente poveri, nel 1954. Credo che quasi tutti gli Italiani, a soli nove anni dalla fine della seconda guerra mondiale, non se la passassero molto bene.
Papà , come ho detto, era in politica; mia mamma, maestra elementare. Paghe misere, anzi, quella di mio padre inesistente.
Mio padre, nato nel 1925, era il quarto di una famiglia di dieci figli, frutti di un amore da romanzo.
Era accaduto che suo padre, di nome Orlando ( anche qui il nome è un programma... epico) fosse giunto con la prima guerra mondiale dalla lontana Roma, quartiere trasteverino, in Veneto, come ufficiale di artiglieria pesante. La fotografia del 1918, in color seppia che tutt'ora conservo, me lo mostra più che trentenne, prestante, nella bella divisa del tempo, con l'impermeabile guarnito di mantellina con stellette da capitano, cappello in panno con visiera sotto il quale stanno fermi due occhi azzurri non severi, ma decisi. Naso importante, bel disegno di labbra, ornato da baffetti seduttori. Tiene chiusi nella mano destra i guanti in pelle.
Il giovanotto era già sposato in Roma ( non ho mai saputo chi fosse la donna, sembra un'infermiera più anziana di lui ) . Le sorti della Grande Guerra lo portano con i suoi soldati nel Vicentino, dove ebbe a conoscere Teresa, un ragazza molto più giovane di lui, forse nemmeno ventenne. Fu un colpo di fulmine... I dettagli non li conosco, nemmeno mio padre sa molto, la storiografia vuole che egli l'abbia rapita con un calesse, che la poverina abbia abbandonato la famiglia, la quale, dopo la fuga, non ne volle più sentir parlare e l'abbandonò al suo destino. Nemmeno dopo svariati anni Teresa ebbe contatti con i propri parenti e pare nemmeno ebbe a ricevere eredità alcuna. Orlando procreò con lei, a scadenze precise, ben dieci figli, quattro maschi e sei femmine, in parte con capelli e occhi scuri, in parte biondi con occhi cerulei. Mio padre fa parte di questa ultima serie. Mio padre portò il cognome materno fino al ventunesimo anno di età, allorchè , morta la prima moglie, Orlando sposò Teresa. E i figli più grandi andarono al matrimonio dei genitori come recita una nota canzone di Ivan della Mea ( " Matrimoni per amore.. matrimoni per forza... di gente di ogni tipo, di gente d'ogni sorta.) e tutti fecero festa.
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