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The Last House On The Lake
Mi svegliai quando il mio cellulare vibrò energicamente nella mia tasca. Risposi e dall'altra parte mi parlò il mio migliore amico, Alex: "Hey Rob! Come va?" ancora intontito dal sonno gli dissi : "Bene, bene tra poco sarò a destinazione. Comunque grazie di avermi offerto questa vacanza..." dall'altra parte Alex sembrava sollevato: "Perfetto. Ci sentiamo dopo. Ah Rob perfavore... cerca solo di rilassarti ok? Ne hai passate tante; meriti un po' di relax."Certo Al non preoccuparti ci sentiamo più tardi." Attacai il cellulare sorridendo. "Buon vecchio Alex..." pensai "cosa farei senza di te." Il treno ancora in viaggio sussultava sotto i miei piedi mentre il panorama di alte montagne innevate in cima si distendevano davanti ai miei occhi irradiandomi con la loro bellezza cosi calma e naturale. Poco dopo arrivai a destinazione. Presi il mio bastone e la valiggia e scesi dal treno arracando lentamente appogiandomi al bastone. Non mi ero ancora abituato alla mia condinzione. Forse la mia gamba sarebbe rimasta cosi per sempre... era il prezzo da pagare per aver scelto la strada che mi avveva condotto fin qui. Affitai un'auto e mi diressi alla casa che Al aveva affitato per me. Attraversai la strada sterrata e mi ritrovai nell'ultima casa vicino al lago. La casa era di discrete dimensioni, era tutta in legno scuro e la sua forma si rifleteva sulle placide acque del lago che riflettevano la balluginante luce del sole che tramontava. Un'immagine suggestiva che mi diede conforto e tranquillita. Entrai. Sia l'aria sia l'atmosfera della casa erano molto vecchie ma donavano un inebriante senso di accoglienza. Accesi le luci e la casa si riempi di un bagliore azzurognolo quasi accecante; sali le scale entrando nella camera da letto. Quest'ultima avveva un aspetto non poco lussuoso:tutti i mobili erano in puro ciliegio compreso il sostegno del letto con lenzuola di seta e coperte rosse trapuntate. "Cavolo!" pensai: "Al non ha badato a spese per questo posto.". Posai la valigia nell'armadio e portai giù con me solo un lettore cd portatile; lo poggiai sul tavolo della cucina e lo accesi. "I Walked The Line" di Johnny Cash. Adoro quella canzone. Il suono della chittara e la voce di Johnny mi allietarono. Cantai felice mentre cucinavo una buona cenetta a ritmo della musica. Era da tanto tempo che non mi sentivo cosi spensierato. Non appena finì di mangiare udi il rombo di un tuono e sussultai. Stava iniziando un temporale. Maledizione. Io odio i temporali. Il loro fragore mi ricordava la guerra, il mio incidente e tutti gli atti orribili che avevo commesso... Vecchi demoni cominciarono a raffiorare nella mia mente. Cacciai quei pensieri sospirando profondamente, chiudendo gli occhi ascoltando il ritmico battere della pioggia. Non avvevo la benche minima intenzione di pensarci. In quel luogo potevo finalmente dimenticare; lasciarmi tutto alle spalle... per sempre. Mi avvicinai alla finestra osservando i lampi che solcavano il cielo nero e oscuro. Picchietai ritmicamente sul vetro della finestra. Dall'altra parte la pioggia mi rispose...
Nel cuore della notte mi svegliai di soprassalto quando senti uno strano crepitio. Premetti l'interrutore ma la luce non si accese. Tanti cari saluti alla corrente. Senti degli strani e inquietanti rumori provenire dallo scantinato che non avvevo ancora visitato. Presi la vecchia lampada ad olio dall'armadio e andai giu fino in cucina. Trovai la botola dello scantinato e la apri. Scesi le scale con ansia e trepidazione. Le scale scricchiolavano a ogni mio passo. Il fiato mi mori in gola. Di fronte a me c'era un enorme vortice nero come la pece che turbinava freneticamente trascinando con se tutti gli oggetti presenti nell'area creando un assordante clangore di legno, pietra e ferro. Pulsava come un cuore vivente scuotendo le fondamenta stesse di quella misteriosa dimora. "Ma... che cos'è?" dissi con voce flebbile. "È la tua coscenza. O per meglio dire è ciò che grava su di essa." Il mio cuore sobalzo all'udire di quella voce profonda e tuonante che proveniva dal vortice stesso. "Guarda attentamente..." ubidi e mi avvicinai con cautela. Gli orrori che vidi al suo interno non mi erano estranei. Ero stato io a commeterli. "No... non è possibile... io... i-io non volevo... non potevo fare niente... non potevo aiutarli... d-do-vevo... io..." farfugliai in preda all'oscuro delirio dei miei peccati. "Capisci?" disse la voce: "Non puoi fuggire dal tuo passatto né tantomeno dalle tue colpe. LUI sta arrivando... per te. Di le tue preghiere peccatore." Udi uno scricchiolio dietro di me. Qualcosa stava scendendo le scale. Mi voltai. I miei occhi cosi come il mio intero essere furono pervarsi dal terrore. Quella cosa avveva il mio volto... quel essere era me e al tempo stesso non lo era. Era il mio punitore... Di umano aveva poco o niente. Il suo corpo nudo e deforme era flagelato da ferite putrescenti che sgorgavono sangue, il suo ventre e il suo viso erano storpiati e tessi all'indietro da un pessante groviglio di catene che si fondeva dentro la sua schiena. Impregnata dall'odore di morte che la circondava come un manto, quella... cosa... avanzava con andatura lenta e ciondolante come se avesse tutto il tempo del mondo. Le sue palpebre erano fuse l'una con l'altra eppure riusciva a guardarmi e a penetrare nel mio animo devastato. Egli apri la bocca e ne striscio fuori un lungo tentacolo con un nero pungiglione che luccicava nella flebile luce della lampada. La cosa fece una smorfia, che assomiglia a una grotesca caricatura di un sorriso. Il sorriso dell'oblio. "No, non può finire cosi..." pensai. Non esitai oltre. Girandomi di scatto lanciai la lanterna dentro il vortice oscuro;sperando in un miracolo che mi salvasse. E accadde. La lampada si ruppe ma la sua piccola fiaccola rimase sospesa a mezz'aria mentre si trasformava in una palla di fuoco fagocitando il vortice. Quell'essere dietro di me si fermo di colpo. Un bagliore. Un boato. Il grido strozzato del mostro che squarcio il silenzio della notte oscura. Poi il nulla...
Rimasi quasi accecato dalla luce del sole. Era sorto un nuovo giorno, ma la mia mente pensava ancora ai raccapricianti eventi della notte scorsa. Mi missi a sedere su una panchina propio di fronte al lago. Gli uccelli cantavano e il vivace colore azzuro dell'acqua del lago mi risolevarono. Era tutto finito. Era bello essere vivi. Mi si parò davanti un uomo di una cinquantina d'anni pelato e con i baffi grigi, aveva tutta l'aria di essere un dottore. "Cosa... cosa è successo?" chiesi con voce esausta "Beh speravo che me lo dicessi tu giovannoto. Ieri abbiamo sentito una serie di strani rumori e un fragoroso boato provenire da casa tua. Siamo accorsi io e un paio di miei amici ma abbiamo solo trovato te distesso sul pavimento dello scantinato e accanto a te, una grossa voragine annerita. Non ti ricordi propio nulla?" "N-no..." Mentì. Non mi avrebbe mai creduto. Inoltre stavo cominciando a pensare che fosse stato tutto frutto di un incubo. Ma qualcosa in me diceva il contrario. D'un tratto mi senti cambiato... nel profondo. "Forse sei in stato di shock." disse il dottore "Perchè non vieni con me per fare un controllo?" "No grazie... sto bene devo solo..." Mi bloccai. Mi guardai con circospezione e rimassi sbalordito. Mi ero alzato in piedi. Da solo, senza l'ausilio di quello stupido bastone. La gamba era guarita. "D-devo solo... andarmene." Mi missi a correre con lacrime di gioia che mi sgorgavano dagli occhi. Ignorai la voce del dottore dietro di me. Salì in macchina e feci partire il motore. Mi voltai a guardare per l'ultima volta la casa sul lago. Dove regnava la morte io ho trovato la libertà. Rivolsi lo sguardo al cielo che si stendeva sterminato verso l'infinito e sorrisi. In un certo qual modo ora, mi sembrava più sereno di quanto non lo fosse mai stato. Ora affrontero il mio passato. Ora non fuggo più. Sto tornando a casa...
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