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Guilt And Innocence
Ritornai a casa stremato per il lavoro. Sembra proprio che mi sia "meritato" il doppio turno di oggi. Accesi le luci e spensi la mia sigaretta nel possacenere mentre il mio gatto veniva a darmi il bentornato. Si strofino sornione sulle mie gamba facendo le fussa. Lo ripagai con una carezza smuovendo dolcemente il suo candido manto bianco. Presi la posta vicino alla porta e mi missi a leggerla sul tavolo del soggiorno. Bolletta. Buono sconto. Bolletta. Ancora bolletta. Poi mi capitò tra le mani una lettera diversa dalle altre. Senza indirizzo e con dentro una chiave stranamente familiare. La apri e la lessi: " Vieni a casa mia e troverai ciò che cerchi... Sam." Sbarrai gli occhi in preda allo sgomento. No... non era possibile ma la calligrafia era la sua... Come può una persona morta da anni scrivere una lettera? Sam era il mio migliore amico. Era morto tempo fa. Dopo la sua morte passai tutto il resto della mia vita logorato dal senso di colpa. Ogni minuto di ogni giorno ero fermamente convinto che fosse stata colpa mia... Non poteva che essere uno scherzo. Uno scherzo di pessimo gusto. Ma in me alleggiava ormai il dubbio... non sarei riuscito ad andare avanti senza assicurarmene. Usci di corsa da casa mia in preda alla trepidazione. Sali in macchina e mi diressi a casa di Sam...
Strinsi la chiave della casa di Sam cosi forte da farmi male. Non sapevo cosa avrei trovato la dentro, ma potevo venire a capo di questa storia e mettermi il cuore in pace. Apri la porta. Lentamente. La casa era completamente avvolta da una oscurità fatiscente. I mobili erano coperti dal celophan e dalla polvere. Delle assi erano state inchiodate in modo sconesso alle finestre aprendo degli spiralli di luce che tagliavano letteralmente il buio come delle lame splendenti. Chiusi la porta con cautela. Ma quella scatto chiudendosi sbattendo sonoramente. Provai ad aprirla, ma era chiusa saldamente. Ero intrapollato. Cominciai a respirare affanosamente colto dall'ansia e dalla paura. Scossi la testa concentradomi più che potevo. Lentamente le idee tornarano al loro posto e divennero finalmente nitide. "Diavolo! Se questo è uno scherzo non è affatto divertente!" pensai rabbioso. Poi udi uno strano rumore. Proveniva dalla camera addiacente. Entrai e vidi una figura seduta a gambe incrocate di fronte a un camino. Delle scintille provenivano dal suo grembo. Vidi che stava affilando un ascia. Non mi guardo nemmeno. L'uomo continuava ad affilare l'ascia recitando una poesia... la sua voce era distorta. Demoniaca: "Tiger! Tiger! Burning bright in the forests of the night. What immortal hand or eye could frame thy fearfull simmetry?" "La Tigre" di William Blake. La poesia preferita di Sam. Squadrai meglio il volto di quell'uomo. Il cuore mi si blocco in gola. Sam... ma non era come me lo ricordavo... in quel momento era... diverso. Molto diverso. Si rizzo repentinamente in piedi. I suoi occhi brillavano di un bagliore oscuro e malefico. Non era Sam. Non più. Mi sorrise in modo a dir poco spaventoso. Alzo l'ascia lentamente: "Che c'è?" disse: "Non sei contento di vedere un vecchio amico?!" Non appena fini questa frase mi si scaglio adosso. Vidi la luccicante lama dell'ascia che mi sfioro. Mi avveva mancato per poco. Molto poco. L'ascia si conficco nel pavimento, ma lui la estrasse senza il benche minimo sforzo. Gli parlai con voce strozzata dal terrore: "Sam... perché?... Eri mio amico..." Il suo volto si distorse dalla rabbia: "Ero?! Ero?! Perchè?! Non "sono" forse tuo amico eh?! Un amico defunto?! Questo sono per te?! UN AMICO DEFUNTO!!" Sferagliò l'ascia a destra e manca gridando come un pazzo. Aproffitai di quel suo cieco furrore e mi nascossi nella stanza più vicina. Fù una pessima idea...
Nella stanza non c'era niente. Nemmeno una finestra. Era un punto morto. Tra poco Sam sarebbe arrivato da un momento all'altro facendo a pezzi quella vecchia porta. Mi voltai. Al centro della stanza c'era una trottola di legno. La raccolsi con delicatezza come qualcosa di prezioso e incredibilmente fragile. La riconobbi. Era la trottola con la qualle io e Sam giocavamo sempre da bambini... Sopra vi era incisa una frase con un inchiostro dorato. Sembrava che brillasse. "Guarda con gli occhi di un bambino..." Guardai la trottola con dissapunto. Di fronte all'orrore solluzione assurde come questa non servono a niente. Niente incantesimi. Niente eroismi dell'ultima ora. È solo questione di fortuna. Chi pensa il contrario è un illuso. La fortuna sembrava avermi voltato le spalle. Ma decissi di aggraparmi ad essa un ultima volta."Guardare con gli occhi di un bambino..." continuai a ripetermi all'infinito: "Devo guardare con gli occhi di un bambino..." Chiusi gli occhi. I pensieri vorticavano intorno a me fluttuando nei meandri più reconditi della mia mente. Trovai la risposta. L'immaginazione. L'arma più forte di un bambino. I suoi occhi. Quelli dell'immaginazione. Immaginai a qualcosa... qualunque cosa avesse potuto salvarmi. La mia mano si fece più pesante. Le mie dita toccarono qualcosa di freddo e metallico. Dalla forma e dal peso ben simmetrico. Una pistola. Un solo proiettile. Ora la domanda era: Per me o per lui? Potevo farla finita. Potevo farmi saltare le cervella e porre fine all'incubo una vota e per tutte. Questa era la via più facile. L'altra non lo era affatto. Come avrei potuto sparare al mio migliore amico, anche se adesso non era più in lui? La mia mente mi offre un opzione. Il mio cuore un'altra. La porta cadde di colpo. I suoi frammenti si sparpagliarono per tutta la stanza. Sam sollevo l'ascia ghignando assatanato. Presi la mia decisione. Con mani tremanto puntai la pistola verso di lui: "Sam... p-perfavore... fermati..." dissi nel modo più calmo possibile. Ma lui non mi aveva nemmeno sentito. Continuava ad avvanzare imperturbabile ripetendo le stesse parole: "Amico! Defunto! AMICO DEFUNTO!" Un lungo brivido raggelante mi sali lungo la spina dorsale. Il mio dito scivolo sul grilletto. Il cane scatto. Il proiettile usci dalla canna con un sibilio mettalico. Colpì Sam dritto in mezzo alla fronte. Il suo sguardo non esprimeva rabbia o odio, ma solo... sollievo. Cadde in ginnocchio e li resto. Non era ancora morto. Dalla ferita fuorisci sangue diverso dal normale. Era scuro e fuoriusciva dalla ferita muovendosi sinuoso nell'aria come se fosse fumo. Non riusci a reggermi. Il corpo non mi rispondeva più. La pistola scivolo via dalle mie ditta cadendo sul pavimento con un sordo tonfo. Mi ingginocchia esausto di fronte a Sam. Non so come, ma era tornato quello di prima... Lo vedevo nei suoi occhi. Erano tornati chiari e sereni come un tempo. Parlò. La sua voce era tornata normale: "Che giornata pazzesca eh John?" "Perdonami..." dissi con un filo di voce: "Per cosa?" "Per quello che ti è successo..." "Allora non ti perdono." disse in tono paccato. Lesse il dubbio nel mio sguardo e non esito a rispondermi "John... l'unica tua colpa è quella di sentirti responsabile. Solo perchè ci tieni tanto a una persona ciò non significa che puoi mettere un freno al suo destino. Certe cose accadono e basta. Non puoi farci niente. Se pensi altrimenti stai solo mentendo a te stesso. Io continuero a vivere dentro di te. Per questo ti ho fatto venire qui. Perchè non voglio essere ricordato come un fantasma che ti impedisce di vivere facendo sfocciare in te tristezza e senso di colpa. Perciò alzati e continua a vivere." Aveva ragione. Ogni sua singola parola era la pura verita. Mi alzai barcolante tenendo la testa all'indietro per sopprimere le lacrime. Il mio viso fù solcato da un caloroso sorriso. "Grazie... Sam." dissi "Di niente" rispose: "Siamo pur sempre amici no?" Annui. Mi diressi verso l'uscita: "Ah aproposito..." disse Sam. Mi girai. "Hai trovato ciò che cercavi?" "Certo Sam... lo trovato." dissi in tono raggiante. Girai il pomello. La seratura scatto. La porta si apri. E Sam non c'era più...
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- Bella storia che scorre fluida e con un significato finale che difficilmente ti lascia indifferente.
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