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C'era una volta (terzo capitolo)

Accipicchia, i pidocchi... dimenticavo i pidocchi. Si diceva che ce li mischiavano a scuola gli altri bambini... più sporchi di noi.

Mia madre si sedeva il pomeriggio innanzi alla porta, illuminata sempre da un raggio di sole che fendeva le case, apparecchiava sulle ginocchia una tovaglia bianca, si muniva di un pettine corto a doppia faccia, con i denti compatti.
Ci afferrava brusca, ci faceva sedere su di un piccolo sgabello, con la mano sinistra ci teneva inchiodati alle sue ginocchia e con la destra affondava tra i corti capelli quel pettine usato come un rastrello, e pufte cadeva sulla tovaglia il primo pidocchio. Si ripeteva il rito dello strofinamento e dello schiacciamento delle pulci, con la variante che in questo caso la mamma riponeva il pidocchio sulla spina dorsale del pettine e con un sottile senso di piacere lo schiacciava.
Eravamo terrorizzati dai pidocchi. E anche nostra madre li temeva più delle pulci.
Ci tagliavano i capelli con la macchinetta, lasciandoci solo un piccolo ciuffo davanti; ci dicevano di non avvicinarsi ad altri bimbi che erano fortemente indiziati, perché anche i pidocchi si sposavano con la povertà e la sporcizia.
Su alcune teste bianche i pidocchi si vedevano passeggiare, non si capiva dove si nascondessero. Forse le uova restavano attaccate alla radice dei capelli e poi si schiudevano all'improvviso dando un senso di disgusto che spingeva alla ritrosia. E la polverina bianca che ci cospargevano in testa era peggiore del male.

Nelle case convivevano con la famiglia molti animali, in numero inversamente proporzionali al benessere della famiglia.
Nelle case più povere c'erano le galline i cui escrementi sono acidi e schifosi. E con le galline almeno una volta all'anno girava per casa la chioccia con un nugolo di pulcini alla continua ricerca di cibo, con la testa sempre in movimento tra pigolii che si inseguivano.
Non mancavano mai nemmeno le cavie, un piccolo coniglio poco più grande di un topo. Erano piccole, ma grasse e prolifere. Le loro carni erano molto tenere e leggere. Buone per gli ammalati e per i bambini.
Quando era possibile si allevavano anche i conigli che hanno il pregio di nutrirsi di erba e di scorticare gli arbusti.
Noi ne avevamo alcuni che ci restituivano le ginestre bianche come ossa di uno scheletro, pronte per il fuoco.
Le famiglie più povere, se avevano un locale vicino alla casa, allevavano anche il maiale che consumava tutti i resti e l'acqua di risulta della cucina. Il maiale era sporco ma un autentico spazzino.
Ed i rifiuti, pur nella povertà erano tanti. Le famiglie erano sempre numerose e mangiavano soprattutto verdure che producevano molte scorie.
E poi c'erano i fichi, le bucce dei fagioli, le spoglie del granturco, i cavoli, le mele marce e tante castagne bacate e sacchi di ghiande.

Gli animali domestici erano essenziali, come i figli, per la sopravvivenza. Ma non ho mai capito perché si tenessero in casa anche quando non c'era apparentemente bisogno.

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3 commenti:

  • Ettore Vita il 20/10/2011 22:11
    Grazie Raffaele del tuo commento, gradito.
    Il mio vocabolario è limitato e semplice, ma il mondo che descrivo è un mondo pastorale, contadino... semplice.

    Grazie anche al gradito commento di Rosaria.
  • rosaria esposito il 20/10/2011 21:59
    sempre caro il ricordo della nostra primiera esistenza... la scoperta del mondo, della vita, degli affetti... che sempre ci accompagneranno...
  • Raffaele Arena il 20/10/2011 20:54
    Che dire. È un racconto scritto in modo semplice, diretto e chiaro. Come si scriveva una volta. Che oggi alcuni romanzi sono semplici sceneggiature. E invidio questa tua capacità. Il racconto mi riesce, come le poesie, cosi' cosi'. Immagine nitida di un modus vivendi che oggi si e' trasformato, e che forse in qualche luogo, anzi no. Un istantanea. Piaciuta.

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