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E=mc2
Sto nuotando. Ma non sento il tepore dell'acqua intorno a me. Ad essere sincera non sento nulla. Ecco, questa deve essere la sensazione che devono provare gli astronauti quando fanno le loro evoluzioni galleggiando nella totale assenza di gravità, solo che io non compio evoluzioni, me ne sto immobile, e la gravità mi inchioda.
Non vedo nulla, né colori, né ombre, né immagini, in compenso però ho un udito finissimo, posso sentire anche i sussurri dietro le porte, come quel personaggio di una serie televisiva di quando ero bambina. Come si chiamava?... ah ecco, ora ricordo, " La donna bionica", solo le che lei però vedeva anche a chilometri di distanza e correva più veloce del vento. Io no.
Ma non è stato sempre così, ci sono stati giorni in cui io vedevo, camminavo, ridevo, parlavo, vivevo. Ma è stato tanto tempo fa, oppure no. Non lo so più.
All'inizio ho cercato di tenere il conto del tempo che passava attraverso i rumori e i suoni che mi circondavano, poi, ad un certo punto tutto si è fatto confuso, e non sono più riuscita a distinguere il rumore stridente del carrello delle medicazioni del mattino da quello più ovattato del carrello delle medicazioni della sera, ed anche le voci intorno a me non hanno più seguito un mutare cadenzato dal tempo.
Potrei essere qui da un giorno, oppure da un anno, per me non fa nessuna differenza. Sono come un gigantesco feto immerso nel liquido amniotico, solo che ora per me nascita e morte coincidono.
Non sento dolore, né fame né sete, ma soffro ugualmente. Soffro perché sento la solitudine, la paura, la precarietà.
Quello della memoria è un meccanismo strano, posso ricordare perfettamente le filastrocche imparate all'asilo, i paradigmi dei verbi irregolari, i versi iniziali dell'Iliade e della Divina Commedia, ricordo perfino il nome del mio primo grande amore: un bimbetto di 7 anni biondo e dalle ginocchia perennemente sbucciate... ma non ricordo come ho fatto a trovarmi qui.
In queste lunghe ore fatte di nulla ho cercato in tutti i modi di richiamare alla mente quell'attimo esatto in cui ho smesso di essere io e sono diventata quest'altra me stessa, ma non vedo nulla oltre la densa nebbia della mia memoria.
Allora cerco di ricostruire i brandelli della mia esistenza recente attraverso le parole di chi mi sta intorno, tanto loro non sanno che io posso sentirli, che comprendo ogni loro singola parola. Vorrei dire loro "hei, aspettate, non parlate tra di voi, parlate con me, io posso sentirvi!", ma è come se in gola avessi un enorme gomitolo di lana, e per quanto mi sforzi non riesco ad emettere nemmeno un flebile suono.
Sono stanca di sentire il monotono "bip bip", ma questa macchina, a quanto ho capito, mi tiene in vita, mi aiuta a respirare, a far battere il mio cuore, a pensare. Ogni "bip" che mi giunge all'orecchio è il segnale che io ancora ci sono, che - sia pure in un'altra forma - io esisto ancora.
Ma questo "bip" mi ricorda anche che io sono viva per un prodigio della scienza, non per la forza della natura. Nei miei ricordi lontani emerge anche la definizione di " Natura madre e matrigna" di Leopardi. Dio quanto ho odiato Leopardi e il suo pessimismo... eppure adesso, in questa dimensione priva di dimensioni, ho capito fino a che punto la Natura può amarci e odiarci contemporaneamente.
Oggi ( o era ieri...) i medici mi hanno esaminato per capire se per me ci sono "speranze di ripresa", si sono espressi proprio con questi termini, ed io non mi sono sentita un essere umano, ma una cavia da laboratorio. Mi hanno punto graffiato, girato, bagnato, ma il mio corpo non ha reagito, nemmeno il mio cervello lo ha fatto, o almeno non nel modo che loro si aspettavano. Non ho sentito dolore, non ho percepito le loro mani su di me, non ho sentito l'umido dell'acqua, ma ho ascoltato le loro parole e origliato i loro discorsi, ed è così che sono venuta a conoscenza di una notizia che, se solo potessi, mi farebbe saltare letteralmente dalla gioia.
Sono incinta.
Nessun miracolo, nessuna stranezza, sono rimasta incinta pochi giorni prima dell'incidente (adesso so che sono inchiodata qui perché qualcuno non ha rispettato il rosso di un semaforo), e fino a pochi giorni fa nessuno sospettava del mio stato, non i medici che mi tengono in cura, o le infermiere che mi accudiscono, né il padre del mio bambino.
In realtà il miracolo c'è stato, l'impatto violentissimo che ha spezzato la mia vita non ha impedito che un'altra piccola vita continuasse a germogliare dentro di me, a crescere al tepore di questo mio povero corpo senza forze ed energia.
Fino a ieri mi sentivo un sacco vuoto, una carcassa pronta per la sepoltura, un enorme cervello senza braccia né gambe, ma da oggi è tutto diverso. Ora ho uno scopo per continuare ad ascoltare quel lamentoso bip bip che mi lacera i timpani e sbrindella l'anima, ora ho una RAGIONE per continuare a voler vivere questa non vita fatta di nulla, di vuoto e di silenzi. Non mi importa se non sento niente, se non percepisco il caldo e il freddo o il tocco di una mano, sono sicura che in qualche modo riuscirò a sentire il primo movimento di mio figlio, che questa piccola vita che sta lottando con me e per me per poter vedere la luce troverà il modo di avvisarmi della sua presenza.
Ora non sono più sola, ora posso parlare, perché la nostra è una comunicazione di cuori, e le corde vocali - le sue ancora non sviluppate e le mie ormai completamente atrofizzate - non ci servono. Ad ogni bip, ad ogni soffio di ossigeno nei miei polmoni fermi, ad ogni contrazione del mio cuore stanco, sento che la mia creatura è diventata un po' più forte, e poco mi importa se io, per una atavica legge del contrappasso, divento un po' più debole.
Vorrei poterti raccontare tante cose figlio mio, l'ultima cosa che desidero è che tu possa ricordati di me come di un corpo inerme in un letto. Voglio parlarti di quando, bambina, stringevo forte forte gli occhi fino a far apparire un caleidoscopio confuso di immagini e colori in movimento. Voglio farti assaporare con me il sapore dei mirtilli appena colti e della pizza appena sfornata. Voglio farti annusare l'odore di vento e salsedine dei miei capelli nei pomeriggi assolati della mia adolescenza, il tanfo stantio degli scompartimenti dei treni dei miei primi viaggi senza genitori, e quello polveroso delle aule universitarie, dove sembrava bastasse allungare una mano per acchiappare il mondo.
È strano che proprio io, che in questo momento non sono in grado di dirti se è giorno o notte, e se oggi in realtà non sia ieri, abbia ben chiare in mente, meticolosamente catalogate come bobine in una cineteca, tutte le fasi salienti della mia vita.
Forse questo è il modo in cui il mio cervello tenta di farsi perdonare la propria totale incapacità di comandare un solo muscolo del mio corpo restituendomi intatta e amplificata, la mia capacità di percepire e ricordare. E se il mio corpo altro non può fare per te se non fungerti da incubatrice, la mia mente può donarti ciò che ho di più prezioso, il ricordo di me stessa prima che tutto cambiasse, prima che il coma dal quale non riesco ad emergere facesse di me una creatura senza più libertà di scelta.
I giorni, o forse i mesi, passano senza che io possa far nulla per fermarli, vivo in un eterno stato onirico in cui i sogni e la realtà si mescolano tentando di confondermi. Alterno momenti di estrema lucidità come questo, ad altri in cui vago senza meta tra le nebbie vischiose di un mondo parallelo.
Ma sia nei momenti di lucidità che in quelli di nebbia so che il mio unisco scopo per continuare ad esistere è quello di poterti donare quella vita che a me sta sfuggendo.
Mi sembrava che fosse passato solo un breve lasso di tempo da quando ho saputo che c'eri ad ora, ed invece sono passati mesi, me ne sono accorta solo ora perché i medici hanno detto che oggi ti faranno nascere, che il mio fisico fiaccato non è più in grado di nutrirti e proteggerti.
Io ho fatto tutto ciò che ho potuto bambino mio, ho cercato con tutta me stessa di rimanere attaccata ad un misero brandello di vita proprio per farti arrivare sano ed intatto fino a questo giorno.
A tuo padre hanno detto che sono in coma profondo, che la mia attività celebrale è praticamente inesistente, ma che ne sanno loro di ciò che sta accadendo dentro di me, dei miei pensieri, dei miei desideri, del mio amore per te, del mio disperato desiderio di combattere fino a quando mi resterà una stilla di forza?
Sento il tuo papà che sta piangendo, me lo immagino qui vicino al nostro letto, con la sua mano nella mia ( perché non posso provare almeno per un istante il calore di questo contatto?) ed il suo viso sul mio cuscino. Io non voglio che pianga nel giorno in cui stai per venire al mondo. Quando sarai in grado di farlo ricordaglielo sempre tu al tuo papà di sorridere, promettimelo bambino mio.
Tutto è pronto. Non sono riuscita a sentire i tuoi movimenti dentro di me... ma so che il tuo cuore è sempre stato all'unisono con il mio, e questo mi basta.
Fra poco aprirai i tuoi occhi al mondo, tienili sempre ben spalancati affinché nulla possa sfuggire alla tua curiosità, e lascia che il tuo cuore segua sempre la propria strada, anche se ciò potrà costarti dolore.
Ecco, ho sentito il tuo pianto liberatorio, hai vinto la tua prima battaglia con la vita.
Ho freddo e i pensieri si fanno sempre più confusi... tu inizi il tuo percorso e io lo termino, ma sono straordinariamente felice perché ho avuto il dono di conoscerti, anche se solo per un istante. Un istante che diventa eterno in un'eternità che fugge via come un istante.
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