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Origo, dove nulla accade
Origo, una striscia di terra, lunga e stretta.
Un piccolo villaggio sul mare, tagliato fuori dal mondo.
Pochi abitanti. Pescatori. Qualche commerciante.
Niente turismo. Pochi ragazzi. Poche ragazze.
Una noia mortale. Albe. Tramonti. Rumori di onde.
Reti buttate in acqua.
Vecchie barche ondeggianti nella loro monotonia.
Odore di mare. Odori di pesce. Odori di brezza. Odori di niente.
Irene.
Capelli rossi. Iridi azzurre. Spenti. Su e giù sull'altalena. Sulla spiaggia.
Solitaria. Sanguina il suo desiderio al raggio di sole che illumina la sua fenditura. E la scalda.
Ma il dondolio scalda anche il cuore di Ettore. Da lontano. Dietro i vetri e ne accende il desiderio. Non meno forte, non meno intenso di quello di Irene.
Desiderio che si consuma in una forte impugnatura. Decisa. Ritmata.
Vento che scuote onde fluttuanti. Flutti che s'infrangano sulla spiaggia.
All'ombra della camera. un mormorio leggero. Piano. Lamentoso. Sordo.
Lunghi centimetri che si sprecano in un'agonia solitaria.
Irene vola più in alto sull'altalena. Verso il sole.
Verso la vita che si spegne solitaria nell'ombra.
Dietro i vetri appannati.
E una voce interiore che la fa tremare, fremere nello spasimo prolungato del suo rossore.
In una strozzatura che si confonde fra le pieghe dei colori del vestito a fiori di Irene.
Colori lancinanti. Punte velenose che arrivano dritte al cuore. Al cervello.
E lo avvampano.
La sacerdotessa dell'altrui desiderio sorride nella calura pomeridiana. Sorride compiaciuta dei suoi vorticosi slanci. Sempre più in alto sino a toccare la punta arida del cielo.
Il vestito a fiori che diventa nuvola d'argento.
Mongolfiera che butta via la zavorra.
O la voglia recondita. Misteriosa. Sottile.
Curve che si contraggano al riflesso della luce e spingono sino allo spasmo.
Giù e su lungo l'altalena.
Giù e su, sino ad arrestarsi di colpo e restare inerme con i tacchi che sfiorano la sabbia, che l'accarezzano con lo sguardo fisso all'orizzonte, dove gabbiani si levano in alto, sempre più in alto, e s'abbassano a pelo d'acqua, quasi a cogliere un attimo di refrigerio dopo tanto ansare.
Ora Ettore è calmo, tranquillo, fissa una pagina di storia, concentrato, annoiato, ma esausto e ogni tanto alza lo sguardo verso Irene, uno sguardo colpevole.
Tre guerre puniche sono troppe anche per uno studente che di Annibale conosce appena il nome.
Lui che oggi giorno combatte la sua guerra a quell'ora contro i voli di Irene.
E degli elefanti ricorda soltanto la proboscide che gli impedisce di essere uguale agli altri, e che nasconde alla vista maliziosa dei suoi coetanei.
Origo è un piccolo villaggio dove i segreti non durano a lungo.
Un villaggio dove gli abitanti s'annoiano e gli svaghi sono rari e gli uomini sono tutto il giorno sul mare. A pescare.
La sera tornano stanchi. Affamati, e vanno presto a dormire.
L'alba è sempre vicina.
Le donne s'annoiano. A cucinare e a preparare da mangiare per quegli uomini che ogni giorno partono lontano. S'annoiano.
E parlano. Parlano e bisbigliano.
Bisbigli che alimentano la fantasia di Penelope. Stanca di impastare.
Di affondare pugni nell'impasto, che allunga e accorcia, che stende e aggruma. Che si fa sangue e passione. Passione e desiderio. Voglia di trasgredire. Di vincere la monotonia. Il ritmo sempre uguale delle sue giornate. Desiderio di conoscere il peccato. Il suo oggetto. Affondare le mani nell'impasto, allungarlo e manovrarlo. Ritmarlo in un gioco nuovo. Perverso. Ma piacevole.
Origo, una striscia di vita sperduta nel mare, una scorza di terra dove nulla accade, dove tutto è uguale e fermo.
Gli uomini e le donne sono stanchi d'aspettare un oggi uguale al domani, un domani uguale al ieri.
Le ombre spuntano da lontano ad acquietare una sete senza uguale.
L'ombra di Ettore che s'allunga sulla parete.
L'ombra di Irene disegnata nella sabbia. Lungo un'altalena.
L'ombra di Penelope nei riflessi d'una specchiera.
Ombre che disegnano un'armonia segreta, e sotterranea, folgori che sfuggono al cammino incrociato dei desideri.
E che si disperdono nel vuoto.
Origo, ove nulla accade e dove la solitudine si fa concreta, e non è un'astrazione dello spirito, ma diventa spirale penetrante. Una lingua di terra senza confini dove la sabbia si mescola alla noia. E la noia alla sabbia. Poche parole, tanti gesti. Soprattutto, gesti muti.
Sguardi furtivi. Colpevoli e tumultuosi. Ancestrali che fluttuano nelle onde delle pupille.
Cupide. E che assorbano la luce morbida delle case.
Nell'intimità delle stanze disadorne, nella calda penombra pomeridiana, in mezzo a una brezza che spira da occidente e apre i cuori a desideri repressi dentro un paio di pantaloni o in mezzo a un vestito a fiori.
O nel petto ingrossato di Penelope, prorompenti dune che si slacciano in un impeto materno al pensiero di un altro giro di sole all'orizzonte senza meta e sempre uguale, lento nel suo incedere, mentre la vita si consuma e sbiadisce nei panni appesi a un filo, sottile e allacciato ai fianchi floridi di Irene, giovane ragazza ancora piena di speranze. Vitale.
E sente scuotere nel cuore una voglia di tentare, di tendere ancora la sua rete di marinaio, catturare il grosso squalo che ossessiona le sue notti insonni, nella segreta solitudine, mentre tenta di placare con una carezza la sete d'amore.
Ettore che combatte nelle sue fantasie la sua guerra contro la sua achilleide epidermide che si accartoccia ai brividi di quella brezza estiva.
E invano aspetta che Ulisse torni dal suo periplo a soddisfare le sue voglia.
Meglio fantasticare su quel ragazzo impacciato, ma dotato di virtù rare e ricercate.
I vapori della terra si sollevano in un tumulto danzante, quasi ad incatenare in una danza antica, mitica, un'esperienza che si apprende e si ripete nel suo ciclo diafano, soffocando un corpo nelle sue lancinanti atmosfere mistiche, in cui la carne s'unisce allo spirito, e diventa tutt'una, anfora che raccoglie liquidi mucosi, nutrimento che fuoriesce da un tronco sapiente sotto i tocchi leggeri della mano.
Effluvi che s'intensificano nel rifiorire della primavera, e danno una sensazione tutta botticelliana, dove l'ambrosia si unisce al labbro mordente della conchiglia.
Così accade ogni volta che la fantasia di Penelope naviga tra i flutti di un desiderio burrascoso.
Invano aspetta Patroclo sulla riva del mare.
Attesa vana.
Nulla sfugge agli occhi di chi ama le pene di un amore non ricambiato.
E allora non rimane che stare a guardare quelle vecchie carcasse che dondolano nel nulla, in un moto perpetuo, fumare un'altra cicca e lasciare che il mare tutto inghiotta nel suo inarrestabile avanzare.
Patroclo, che cammina lunga una striscia di terra e non ha guerre da combattere, ma pensieri da cancellare, ombre da dimenticare nelle sue tracce fragili e leggere.
Patroclo che è stanco d'ascoltare il rumore del mare e aspetta sempre che qualcosa accada.
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- Lirica meravigliosa dal ritmo incalzante e coinvolgente. Passioni e sensazioni senza tempo, immutabili e simili oggi come ieri, "graffiate" a forti tinte sullo sfondo di una moderna Itaca... Persino Origo, dove nulla accade, può diventare un luogo magico... Letto d'un fiato!
- bella narrazione, avvince il ritmo e soprattutto Origo è un luogo di fiaba!
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