Un faro di luce nel buio. Rompe oscurità imminenti. Illuminando superfici ormai dimenticate e dal tempo-assassino-di-anime inghiottite. Familiare sentirsi inutile oggetto lasciato in un periodo ormai lontano a baciare la polvere di un'aria troppo respirata. In un angolo buio, osservare umane risate a me estranee. Non toccatemi sono radioattiva e no anima lucente non sfiorare le corde del mio essere perché sono sull'orlo di un abisso e potrei esplodere distruggere tutto o devastare soltanto me stessa. Frasi e parole che silenziose mi riempiono le labbra affamate di fatalità non rompendo però gli argini di un mutismo che ora è mio compagno e fedele amico. In un'altra dimensione io annego. Lontana da voi che perplessi osservate il mio non-esserci. Voi. Che bonari vi illudete di poter penetrare in questa mia armatura di ghiaccio. Insinuatevi e constatate con sorpresa il mio distacco crudele ed indifferente. Provate a parlarmi. Sguardi assenti otterrete. Sguardi lontani e forse accusatori. Se solo abbandonaste convenzionali sicurezze e perbenistici pensieri potreste scorgere profondità marittime in tumultuosa tempesta nascoste dietro queste iridi biancastre. Accese di sinistra luce mentre contemplano un universo che non appartiene loro come loro non appartengono ad esso. Deridete la mia assenza. Deridete e temete il peggio. Perché non solo luce bagna l'oceano nero di notte che brucia perpetuo in pupille di sale. Oscurità si sovrappone ad oscurità in un miscuglio che sa di follia repressa in notti dense di riverberi. Perdetevi in cortesi convenevoli ed in amabili commenti mentre un potente mitra preme per uscire dalla mia gola asciutta. Anoressica fobia di troppi occhi estranei fissi sulla mia pelle sottile sostituita da malcelato odio misantropo che chiede solo annichilimento di microcosmi governati dalla legge della gentile sottomissione. In ombra io rimango. Presente ma non partecipe. Posso darvene l'illusione se voglio. Abile scansare domande a cui non voglio rispondere. Attrice che prende parte ad una recita già iniziata. Niente repliche signori, questa è la prima ed unica esibizione. Prendete ottocentesche lenti. Avvicinatele alle stanche pupille e godetevi lo spettacolo. Domande impertinenti rompono studiati schemi di assenza più che totale. Monosillabi spezzati escono da labbra che non vorrebbero riempire l'aria con i loro suoni omicidi. Come fate a non vedere che sono radioattiva tutta? Parlo sputando spore nucleari e le mie risate sono mine antiuomo che vorrei devastassero ogni cosa. No signori state tranquilli evitate compassionevoli commenti alla mia lucidità annebbiata vorrei morti anche voi. Anche voi che assistete a come i meravigliosi meccanismi del cervello umano possano venire manomessi da insane voglie che pretendono panico a saziare una fame troppo a lungo ignorata. Familiare il sentirsi reclusa in un sacro vetro. Emarginata da voi bravi cristiani che non capendo criticate con bulimici sguardi il mio viso marmoreo. Cristallizzato in un'espressione di inquietante neutralità. Occhi fissi su elettronici marchingegni. Labbra chiuse in un silenzio armato di frustanti parole sadicamente chiuse a chiave. Il corpo inizia a dondolare, instabile si muove su una sottile lama senza sapere da quale parte lasciarsi cadere. Baci metallici impressi sul mio petto. L'improvviso tocco del monile freddo sulla mia pelle vibrante produce fremiti conosciuti. Non è freddo, è solo dolore. Dolore di ciò che pur potendo essere è rimasto nell'incompiuto. Dolore del sentirti vicino eppure distante anni luce. Puro. E semplice. Dolore. Scorro con le dita tra le cavità di squame già presenti nei miei frenetici pensieri. Sfioro un futuro da me stroncato per l'impossibilità di vederlo. Totale anestesia dei sensi. La vita scorre normale. Le deviazioni producono terrore. Il cambiamento spaventa la mia anima stuprata da troppi occhi. Basta illusioni e basta aspettative. Il tempo per esse è finito. Sofferente la mente si annichilisce in ciniche considerazioni ignorando la flebile voce che supplicante prega di venire ascoltata. Lei è lì. In quella croce. In quelle ali sapientemente ripiegate. In quegli occhi cavi che accusatori mi fissano. Lei è lì. La mano si chiude sui contorni pungenti del metallico amico. Estraniandosi dagli sguardi stupiti che cercano senso dove il non-senso regna sovrano la mano preme. Le dita si feriscono. Insistono nella volontaria tortura. Solo per sentirti vicino. Ancora una volta. Ancora una volta sentirti accanto. Ancora una volta ricordare. Ancora una volta, respirarti. Ancora una volta..