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Donna Rachele
La chiamavano donna Rachele, non tanto per il casato ma per quel suo portamento da nobil donna, affabile ed autorevole, gentile e distaccato.
Prima di quattro sorelle ed un fratello, morto in giovane età, da ragazza il suo ruolo nella illustre famiglia di origine fu quello di signora del focolare domestico, di padrona di casa, anche a causa della prematura morte della mamma, ruolo non adeguatamente ricoperto dalla matrigna.
Cucinava con maestria per la famiglia e i numerosi operai ed inservienti, e coadiuvava il padre, speziale, nella gestione dei rapporti e nella preparazione di numerosi intrugli: sciroppi, pomate e medicamenti, utili per ogni malanno.
Come tutte le donne dell'epoca non era andata a scuola, ma siccome riusciva a firmare con una certa disinvoltura si sentiva quasi una letterata a confronto con le sorelle e le donne del paese.
Era molto orgogliosa dei suoi trascorsi, anche se criticava il padre per via dei tanti errori commessi nel ripartire la sontuosa eredità, fatta essenzialmente di terreni.
Lo speziale era un uomo autorevole, consapevole di sé; era stato un protagonista in tutto, sindaco e farmacista, datore di lavoro e consigliere; era abituato a comandare, a gestire le sue cose e quelle degli altri; era un padre amorevole ma anche padrone, gli era naturale un innato istinto ad indirizzare, a governare dall'alto la vita delle sue figlie e dei nipoti; forse aveva una umana debolezza che lo portava a prediligere, a distinguere.
Forse faceva tutto in buona fede per equilibrare la situazione di una prole che aveva avuto storie alquanto diverse, ma il suo austero comportamento, creava malintesi, mugugni, diffidenze.
Invecchiando era diventato meno sicuro, forse ricattabile, e diciamo era stato anche incattivito dalle vicende della vita.
Insomma, scrisse e riscrisse un testamento che era un vero ginepraio, fonte di litigi, di interminabili perizie e patteggiamenti che finirono per spezzare i legami familiari.
Donna Rachele non riuscì mai a perdonare il padre per questo comportamento, ma le sue critiche erano sempre composte e nelle liti dirigeva tutto dal focolare. Non si esponeva in prima persona, agiva tramite i due figli che erano rimasti in paese.
Lei era superiore a queste umane bassezze e poi del padre in fondo era orgogliosa, per lei la colpa di tutto era più delle sorelle; ma era legata anche ad esse, non riusciva a starne lontano e ribaltava la colpa sul padre. Soffriva queste contraddizioni e si attaccava al suo rosario.
Così mentre partecipava alle liti e parlava male del padre, i ricordi prendevano il sopravvento e raccontava di una giovinezza piena di episodi esaltanti, di un padre illuminato e colto, dei garzoni e dell'animo nobile dello speziale che non aveva mai profittato della sua situazione di supremazia nel paese, anche quando faceva il sindaco.
Il torto di quest'uomo era stata la sua debolezza, e soprattutto di avere sposato, dopo la morte della prima moglie, una donna avida e avara che lei vedeva come matrigna; ma anche questa scelta le perdonava come una necessità. Tutta colpa del destino crudele.
Anche nei confronti del marito donna Rachele non aveva un giudizio netto.
Ondeggiava dalla critica spietata, all'ammirazione per le sue qualità.
Non lo aveva sposato per amore, forse; a quell'epoca i matrimoni erano sempre combinati, specialmente nelle famiglie di un certo rango.
Ma col tempo lo aveva amato e gli fu sempre fedele, anche se più per essere fedele alla sua morale che per amore e rispetto.
Il marito, invece, era un vero mercante e un donnaiolo.
Era attaccato alla famiglia ed ai figli, ma più ancora al suo istinto di avventura e alle sue passioni; nel suo animo coltivava inconsapevolmente il mito di Ulisse, che lo spingeva alla ricerca di nuove avventure.
Così aveva fatto il pendolare tra il Brasile e il paese di origine. Qui aveva costruito casa, aperto un negozio, acquistato terreni, creato una famiglia.
Ma alla fine lasciò tutto, prese parte dei figli con la scusa della guerra, ripartì e non fece più ritorno.
Così donna Rachele rimase a governare la casa, con tre figli da sistemare, come una vedova, una vestale accanto al focolare, fedele al suo ruolo di madre e di nobil donna.
Sembrava una donna priva di debolezze e di passioni, con pochi solidi valori arcaici ed una religiosità tutta sua.
Andava poche volte in chiesa e malvolentieri, diceva per la difficoltà che incontrava a salire le scalinate del paese, per via di un'asma che le toglieva il respiro e debilitava.
Ma era piuttosto una scusa con se stessa e gli altri, per una innata e coltivata ritrosia a stare nella massa.
Lei con Dio aveva un rapporto personale e diretto, non aveva bisogno di intermediazioni e di riti.
La sua chiesa era la sua casa, e la sua casa era una chiesa. Qui aveva costruito il suo altarino in una nicchia dentro un muro; in questa nicchia teneva sempre acceso una lampada ad olio con un lumino, come innanzi al Tabernacolo; intorno al focolare si raccoglieva la sera con me, la fidanzata del figlio e sua madre per recitare il santo rosario, come un sacerdote. Da quest'angolo buio impartiva suggerimenti, dava pareri ed emetteva giudizi severi su un mondo che mutava in fretta e non riusciva a comprendere.
"Poveri noi", diceva, "si sta perdendo il timore di Dio. Perciò Dio ci castiga".
"Non c'è più rispetto", ripeteva amaramente, vedendo dissolversi una civiltà contadina dominata e regolata dai pochi signori del paese.
Ma restava per tutti donna Rachele, venivano a farle visita, ad onorala anche con piccoli ma significativi doni. E lei ricambiava sempre con quello che riusciva a trovare in casa. Aveva un pensiero per tutti, perché aveva un cuore buono, perché era fedele al suo ruolo di donna aristocratica e liberale.
A volte venivano donne a tentarla, come il demonio. Le chiedevano se il figlio avesse mai sposato la sua ragazza, messa al mondo da un uomo che nobile era diventato per danaro, per commercio, e che non l'aveva riconosciuta e non aveva riparato il suo errore.
Lei si piegava su se stessa, forse ne soffriva, ma troncava ogni discorso con un "certo che la deve sposare; ci sta insieme da tanto tempo ed è senza padre... la deve rispettare... la mamma ha sbagliato una volta ma nessuno ha più niente da dire su di lei... è stata al suo posto."
Io ero là come il gatto che faceva le fusa nella cenere, apparentemente distratto e in parte inconsapevole.
Ma da grande queste parole hanno acquistato significato e valore... mi hanno insegnato a vivere e soffrire per le idee e i valori in cui si crede.
Ed ancora la sera, quando Orfeo non mi accoglie sereno, mi ritornano in mente le preghiere che recitavamo insieme nel letto la sera, mi faccio un esame di coscienza, la croce e mi metto a dormire.
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0 recensioni:
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- Vi ringrazio dei vostri commenti.
- In effetti il titolo può ingannare, ma il racconto merita assolutamente di essere letto. Come testimonianza di un'epoca, di un modo di vivere, di pensare. Sapientemente scritto e descritto.
- Lo confesso, mi ha incuriosito il titolo, credevo si trattasse di un'altra e ben famosa donna Rachele poi, scorrendo le righe, con quel pensiero che non riusciva ad eclissarsi, mi sono sentito quasi imbarazzato come quando si va aficcare il naso nelle faccende altrui.
Questo indica la maestria dell'autore nell'articolare il racconto dandogli un'anima pur quando, ma questo non lo so, non sia necessariamente autobiografico. complimenti.
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