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Inizio di una crisi coniugale
Una volta fuori dallo studio professionale, Elena si trovò immersa nella sera. Quella parte della città , la parte migliore, era particolarmente invitante con tutte le luci accese dei negozi e un gran via vai di persone. Elena si stupì di vedere tanti ragazzini in giro, con i libri di scuola. Ma c'erano anche militari che passeggiavano a gruppetti, signorine eleganti, uomini affaccendanti.
Attratta da varie vetrine, Elena si soffermava ora davanti ad un negozio di calzature, scoprendo che la moda del momento imponeva scarpe con strane punte quadrate e scarpe femminili molto aggressive con tacchi altissimi che lei non avrebbe mai messo.
Passò davanti ad una cartoleria ( il suo negozio preferito!) dove con curiosità quasi infantile restò ad ammirare la merce esposta. C'era una gamma straordinaria di prodotti della Spalding americana. Blocchi di carta con spirale; svariati tipi di penne, alcune - bellissime - in alluminio ; matite ben allineate e appuntite, disposte in modo da formare un grande sole ; gomme da cancellare bianche e soffici con temperini a forma stellare.
Elena rimpiangeva sempre come , ai tempi in cui lei era stata scolara, la cancelleria fosse quanto di più umile e anonimo si potesse immaginare. Al massimo sulle copertine dei quaderni c'erano le foto dei calciatori o delle città d'arte. Quando frequentava il liceo fece a tempo ad avere quaderni con i disegni di Linus. Adesso, invece, ci si poteva arredare uno studio con tanti pezzi che sembravano di autore. Soprattutto certe lampade da tavolo, che per accenderle occorreva tirare una catenella. Subito si diffondeva una luce avvolgente, rivolta verso il basso, che racchiudeva nel cerchio magico del suo chiarore la persona con il libro davanti e tutt'attorno... il nulla.
Elena si accorse di aver perduto da tempo la bella abitudine di una passeggiata serale nel quartiere centrale della città. Era davvero rilassante. Bastava solo lasciarsi prendere dalle immagini e seguirle. Non occorreva pensare a nulla in particolare. Ora un cartellone pubblicitario, la propaganda di un film, ora la bella vetrina di prodotti gastronomici con invitanti vassoi colmi di tortellini alle erbe, messi in mostra come gioielli.
Ad un certo punto, mentre osservava alcune rose di seta esposte in una mercerie, stupendosi che fossero così belle da sembrare vere, Elena si accorse che si stava avvicinando una sua giovane collega, che lei ricordava in tribunale sempre molto elegante e ben truccata. La donna le veniva incontro e aveva vicino, molto irrequieti, due maschietti. La poveretta sosteneva due borse della spesa cariche di tutto e , da una parte, anche i due zaini scolastici dei figli. L'aria piuttosto scarmigliata e il foulard attorcigliato attorno al collo dimostravano che l'amica era piuttosto stanca e in difficoltà.
Elena la salutò cordialmente. L'altra approfittò dell'incontro per fermarsi un poco e depositare le borse. " cara Elena - sospirò - come mai da queste parti? " Subito i due figli scattarono in avanti, rincorrendosi rumorosamente tra la gente.
" Ti vedo piuttosto impegnata" - rispose Elena, accennando con il capo ai due diavoli.
" Tutte le sere, così, cara mia. Devo andarli a prendere a scuola e poi li porto a casa.
Quando escono sono scatenati ed io non ho più fiato per tenerli. Dopo di che me ne devo tornare allo studio per vedere se in mia assenza qualcuno mi abbia cercato.
E devo anche ringraziare il cielo che ho mia madre ancora giovane, sempre ben disposta a sorvegliare " i due polli".
" I due polli," intanto, erano entrati di loro iniziativa in una tabaccheria, alla cui vetrina erano esposti dei modellini di Formula Uno.
" Scappo - fece l'amica, accorgendosi che i figli erano entrati nel negozio -perché certamente stanno combinando una delle loro... Ciao".
Risollevò le borse e, cercando di affrettare il passo rincorse i figlioletti, chiamandoli a gran voce.
Elena non potè fare a meno di pensare che certamente la sua mancata maternità non era poi stata la fine del mondo.
Passando per piazza Duomo, si accorse, guardando il grande quadrante illuminato dell'orologio della torre, che oramai s'era fatta l'ora di cena. Le sovvenne anche che Giacomo stava preparandosi alla partenza. Sarebbe andato alla Stazione centrale, per prendere il treno delle 21. 00. Un lungo treno che attraversava tutto il paese, nel cuore della notte, per arrivare all'indomani mattina a mille chilometri a sud.
Elena ricordava di aver viaggiato più volte, su quel treno, per raggiungere Giacomo, quand'erano giovani fidanzati.
Da studente, con pochi soldi intasca, una volta aveva passato la nottata in una poltrona di prima classe, un vero lusso. Poi aveva viaggiato in cuccetta, con altre quattro persone, bagagli, odore di scarpe, respiri rumorosi. Dopo il matrimonio, con più soldi nelle tasche, s'era potuta permettere il wagon-lit, di cui rammentava il caldo soffocante senza alcuna possibilità di ridurre il riscaldamento.
Aveva viaggiato quasi sempre in autunno ed anche in periodo natalizio.
Ricordava quando, alle sei del mattino, già sveglia per l'incessante sottofondo delle rotaie, intravedeva, ad un certo punto ( che geograficamente non aveva mai saputo individuare ) l'ampia curva della strada ferrata e, sulla sinistra, il mare. Mare aperto, nero ed immenso, punteggiato di navi con le luci di segnalazione accese. Da lì spuntavano i primi fili di luce rossastra. Di lì a poco sarebbe sorto il sole. Fino ad un certo punto, il treno correva con il lato destro sempre coperto dalla massicciata, ma poi, sempre ad un'altezza non definita, anche a destra si apriva il panorama. Erano tanti ulivi, e casette bianche e basse, qualche palma e vecchie masserie dall'intonaco intaccato dalla salsedine. La campagna meridionale era immersa nel sonno di quelle albe invernali, talvolta spazzate da un incalzante freddo vento di tramontana. Quasi nessuno circolava per le straducce non asfaltate, alcune delle quali andavano a finire in certi irti canneti. Elena immaginava cosa dovessero essere in estate, quelle carrarecce, assolate e secche, costeggiate da forti agavi, dove certamente ancora si poteva incontrare qualche mulo carico di sacchi.
Poi il treno entrava nella grande stazione del capoluogo pugliese. Prima la brutta periferia moderna, con palazzoni e gli incroci illuminati da sembrare di vivere dentro un flipper. Quindi, finalmente, i palazzi residenziali dell'800, lungo i vari nastri di binari che andavano tutti a convogliare alla stazione centrale.
Dal treno, che qui aveva rallentato al massimo, si potevano intravedere i ciuffi delle palme del lungo viale che costeggiava il muro della ferrovia.
La palma era il primo grande elemento di differenza dalle terre del nord. La palma era quasi un tocco d'Africa, la promessa di un clima mite, salvo il vento gelido che in quella stagione sapeva sconvolgere il lungomare.
Quando scendeva, con appresso la borsa da viaggio, la faccia stanca e tirata, senza un filo di trucco, Elena sapeva che Giacomo era là ad attenderla, puntuale alle 7. 15 del mattino. Lo vedeva subito, appena scesa. Rimaneva in piedi, ferma, a farsi spintonare un poco dagli altri passeggeri che, non meno carichi e stanchi di lei, si affrettavano alla uscita. Quando tutti, o quasi, si erano allontanati, ecco che lei intravedeva Giacomo, bello alto, intento a guardarsi attorno. Elena era piccolina, bastava il passaggio di un portabagagli per coprirla alla vista.
Ma Giacomo la scorgeva subito ed eccolo pronto ad andarle incontro. Con il suo sorriso che cominciava dagli occhi. Com'era caro, allora, Giacomo! Com'era affettuoso! Le toglieva di mano la borsa, la stringeva a sè, le mormorava " ciao" , baciandola prima tra i capelli a malapena pettinati e poi piano sulle labbra.
Uscivano dalla stazione per infilarsi in un bar vicino e ordinare cappuccini e focaccine calde, felici di essersi ritrovati.
Tutto questo era, per Elena, quel treno notturno che da oltre vent'anni faceva sempre lo stesso percorso, filando lunga la costa orientale del paese, costeggiando sempre il mare e le spiagge. Ogni volta con una costruzione abusiva in più.
Ritornata ai pensieri correnti, Elena pensò di affrettarsi verso casa; forse ancora in tempo per preparare qualcosa di caldo al marito. Tutto quel girovagare l'aveva distolta dalla cena e da quel che c'era da preparare.
Decise, allora, di concedersi un taxi. Avrebbe fatto prima, e poi si sentiva davvero affaticata.
Trovò il taxi bianco con l'insegna gialla, fermo, proprio alla fine della piazza. L'uomo disse buonasera tra i denti, le aprì la portiera e attese che salisse.
Una volta seduto anche lui, si fece dire dove doveva portarla. Quattro parole per le indicazioni, quindi l'uomo accese la radio, a tono abbassato ed una musica country si diffuse all'interno.
Osservando la città sfrecciare dal finestrino, Elena riprese i propri disarticolati pensieri. Li ricucì laddove il taxi l'aveva interrotta.
Il taxi, un modello Mercedes molto confortevole, si arrestò dolcemente davanti al cancelletto di Il tassista non aveva parlato per tutta la durata del tragitto, ma si era limitato a seguire la musica stereo fischiettando.
" Va bene qui?" le chiese, pronto a scendere per aprirle la portiera.
Ferma davanti all'ingresso, Elena rimase a guardare le luci rosse della vettura sparire dietro la curva. Finalmente si decise ad entrare.
Giacomo stava finendo di preparare la valigia, o meglio una vecchia sacca nera che usava sempre per quel ritorno a casa.
In cucina, sul fuoco, stava bollendo l'acqua
Giacomo, vendendo Elena che, ancora con il cappotto addosso, si dirigeva in cucina, la prevenne : " va bene una pasta all'olio, prima di partire. Caso mai prenderò un panino alla stazione".
" Non se ne parla nemmeno - rispose e. - Dopo la pasta ti faccio una bistecca. Ce n'è di ottime, di filetto. E ci metto pure sopra l'uovo.
" No, l 'uovo è troppo".
Elena si spogliò con calma, si tolse finalmente le scarpe che indossava da oltre dieci ore, trasse dal guardaroba un comodo camicione di lana che portava sempre per casa..
" Allora, hai deciso quanti giorni ti fermi da tua sorella? " , chiese al marito che stava buttando gli spaghetti entro la pentola.
" Come ti ho già detto, non più di una settimana".
" Ma è davvero necessario che tu vada? " domandò nuovamente Elena, già sapendo la risposta.
" Vado un po' per tranquillizzarla e per vedere i bambini. Così guardo anche in che condizioni sta la casa... Eppoi ho voglia di starmene qualche giorno per conto mio.. Mi sento un poco stanco, ho voglia di lasciar perdere l'ufficio.".
In altre circostanze Elena avrebbe ribattuto che, beati loro, impiegati statali, che quando si sentivano " stanchi dell'ufficio" , potevano mettersi in ferie. Mentre lei, anche con la febbre, doveva recarsi in udienza. Si ricordò della volta in cui venne conta da un fortissimo mal di schiena, da non potersi muovere. Era già vestita di tutto punto, quando sentì come una frustata alla zona lombare. Prima andò in taxi al Pronto Soccorso, a farsi fare una iniezione di Orudis, poi, malgrado il medico le avesse raccomandato di mettersi subito a letto e restarci per svariati giorni, s'era fatta portare in tribunale, dove aveva un'udienza penale cui non poteva assolutamente mancare.
In quel momento, però, Elena non si sentì di ribattere alcunchè. Da qualche giorno Giacomo aveva davvero l'espressione stanca. Era più pallido del solito, la barba gli risaltava e sotto agli occhi si erano diffuse due sfumature azzurognole, come di persona che dorme poco.
Mangiarono in silenzio, ascoltando un programma radiofonico.
Giacomo si alzò da tavola quasi subito dopo aver finito, andò in bagno a sciacquarsi la faccia, quindi disbrigò gli ultimi preparativi.
Elena decise che lo avrebbe accompagnato alla stazione e quindi si rivestì. Quando fu pronta, si avvicinò a Giacomo e gli disse, porgendogli una lettera chiusa in una busta bianca.
"Ecco, vorrei che tu la leggessi, magari quando sei in treno da un po' oppure domani mattina quando arrivi. Magari ti fa un po' di compagnia." E guardò il marito, ansiosa per la risposta.
Giacomo prese la busta e la piegò nella tasca. " Va bene, grazie ", rispose con un sorriso.
Elena ci rimase male, sperava che le chiedesse almeno di cosa si trattava. Eppure lui sapeva quanto lei ci mettesse a scrivergli le lettere. Lo sapeva bene che approfittava di ogni momento libero, a volte gli aveva scritto anche tra un'udienza e l'altra, su blocchi notes o fogli protocollo.
" Se sei pronto, allora, andiamo".
Usciti di casa, salirono nella loro automobile che stava parcheggiata pressochè fissa al bordo del marciapiede.
Non si dissero nulla per tutta la durata del tragitto.
La stazione centrale stava in fondo a Viale dei Mille, sempre illuminata come un grande magazzino. Al lato di sinistra l'ingresso era oscurato da un fitto gruppo di giovani militari, tutti alquanto chiassosi. Al lato di destra scemavano i viaggiatori appena arrivati.
"Elena fermati qui, che va bene " disse Giacomo, afferrando la borsa depositata tra le gambe.
"Giacomo, non ho piacere che vai via così, lo sai..." Rispose Elena, cercando di fargli capire che lui non aveva bisogno di quel viaggio. Se era stanco poteva passare qualche giorno di ferie a casa, lei si sarebbe organizzata per rientrare prima dallo studio e restare più tempo assieme.
" Ormai ho deciso, va bene così. Eppoi non sto via troppo tempo. Non te ne accorgerai nemmeno" ribattè Giacomo. Si tese verso il viso della moglie e le baciò la fronte " Vedi di stare tranquilla".
Poi uscì dalla vettura. Arrivato alle porte scorrevoli dell'ingresso della stazione, verso la biglietteria, si volse ancora un momento verso la macchina e fece un rapido gesto con la mano.
Elena lo vide entrare e confondersi tra gli altri viaggiatori. Rimase ancora a fissare le grandi ventrate, e scorse il marito che, grazie all'altezza, superava spesso le altre teste che aveva attorno. Lo seguì fino al momento in cui egli raggiunse la rivendita di giornali e poi scomparve.
Elena rimase nel buio dell'abitacolo, guardando fisso avanti a sé. Trasse un sospiro profondo. " E adesso? " si chiese ad alta voce.
Quel poco di sonno che l'aveva assalita , non appena rientrata in casa, era del tutto scomparso. Adesso si sentiva sveglia, con i sensi attenti. Non aveva certo voglia di ritornare per rimuginare sulla partenza del marito. Tutta quella giornata era stata all'insegna delle cose non usuali. La riunione di lavoro nello studio di Bruno, la passeggiata svagata fatta all'uscita, la partenza di Giacomo che l'aveva fatta uscire di casa una seconda volta.
Bisognava concludere la serata in maniera diversa " dal solito". Elena decise di andare al cinema. Era ancora in tempo per l'ultimo spettacolo.
Era una vita che non andava al cinema da sola. Si chiese se ancora ci fossero persone che trovassero strano che una donna andasse al cinema, di notte, da sola. "Probabilmente no" , si disse. In realtà non lo sapeva, se davvero l'opinione comune fosse cambiata. Non ricordava nemmeno a quando risalisse l'ultima volta in cui era entrata in un cinema da sola. Certamente era accaduto pochissime volte.
Scelse di andare al Capitol, dove davano un film d'azione e spionaggio. Scartò , invece, una pellicola tedesca che prometteva una storia d'amore un po' torbida. " Non sono affatto incline a penetrare nei problemi amorosi altrui, nemmeno se in un film", pensò.
Mentre la sala dov'era entrata Elena, occupata da pochi spettatori, si oscurava e partivano le musiche d'inizio del film, Giacomo si trovava allungato sopra un letto del wagon-lit, in camicia e pantaloni, intento a leggere una rivista. La lettera, forse, l'avrebbe letta all'indomani.
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