Nel Percorso della vita stò attraversando un tratto in salita, è strano, non ho paura, mi sento più vigile, più riflessiva. Più aperta al contatto umano.
Oggi, mentre consumavo un pasto al bar è entrato un ragazzo disabile, aveva le gambe tagliate al ginocchio ed una cicatrice alla testa, un incidente immagino.
La reazione comune in questi casi è evitare d'incontrare il suo sguardo, far finta di niente, già, l'indifferenza,
perchè se non sappiamo non soffriamo e allora voltiamo la testa creando un urlante vuoto attorno a chi non è "normale", a chi sentiamo diverso.
Ho cercato il suo sguardo, mi sono fatta forza, l'istinto mi diceva di fuggire prima che fosse troppo tardi ma ho resistito; pochi secondi che si dilatavano nelle mie vene facendovi scorrere adrenalina e si è voltato,
gli ho sorriso, un sorriso timido, appena abbozzato a cui ha risposto nello stesso modo.
Avrei voluto dirgli tante cose, ma mi sentivo paralizzata, ho fatto un altro tentativo, mi sono alzata e con il vassoio in mano gli sono passata accanto, gli ho chiesto se sapeva dove dovevo lasciarlo, poche parole ancora, spiccioli di conversazione e mi sono allontanata.
Avrei voluto capisse che i diversi siamo noi, sani nel corpo e ottusi dentro. Ma quali parole usare? Cosa dire? Cosa tacere?
Non ce l'ho fatta. Ci vorrà del tempo per vincere il timore di un percorso ignoto, ma ci stò provando.