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Chi diffonde il male
Avvolti nei cappotti, Lentini ed io ci ritrovammo ad attraversare piazza Castello, il martedì della prima settimana di novembre. Erano le sei del mattino e la città cominciava ad animarsi.
Nessuno di quelli già in auto o in tram, diretti alle proprie giornate, sapeva ancora che mentre loro dormivano, una donna veniva massacrata e abbandonata in una delle piazze più famose di Torino.
Una volta sul posto, salutai Lorusso e il nuovo arrivato, il sovrintendente Clensi. Poi mi misi sulle ginocchia e alzai la cerata.
Mi sfilai gli occhiali da sole, la fissai negli occhi per qualche secondo, e memorizzai il suo sguardo. Là, notai qualcosa sul suo viso. "Che roba è?"
Lentini si avvicinò. "Non ne ho la più pallida idea..."
"Dov'è Ferro?"
La sua voce mi giunse da dietro. Ci voltammo.
"Sono qua!", gridò alzando una mano.
"Che ne dici?", domandai facendo segno verso la donna cadavere.
"Non quanto vorrei. Stasera passa da me che nel pomeriggio la esaminerò."
"E a me non m'inviti?", chiese Lentini mandandogli un bacio.
"Mi spiace, ma non sei il mio tipo."
"Cosa sai per ora?", chiesi io.
"È deceduta verso la mezzanotte o poco più. Ha dei tagli veramente molto profondi, è una cosa... raccapricciante."
Io fissai un altro punto, e indossai gli occhiali scuri.
"Ci vediamo stasera", dissi.
"Ti aspetto."
Infine mi allontanai.
Alle ventuno in punto mi trovavo nel parcheggio dell'istituto della Scientifica.
Erano anni che percorrevo quei corridoi, ma non ero mai abbastanza disinvolta per far finta che la puzza di sangue mista al disinfettante non mi desse la nausea.
Raggiunsi Ferro al pianterreno, e lo salutai.
"Puntuale, come sempre."
"È il minimo..."
Appesi il cappotto all'attaccapanni e presi posto.
"Allora, che hai scoperto? Che mi dici di quelle ambigue macchie d'inchiostro?"
"Ah sì, ne ho trovate altre due sulle mani e una sull'ombelico, ma questo non sembra essere rilevante. Senti qua... Luisa Marinetti è morta per la bellezza di diciotto coltellate."
"Risparmia l'ironia."
"Hai ragione, scusa", continuò arrotolandosi le maniche della camicia. "Deve aver perso una quantità enorme di sangue, ma è morta per le coltellate. Nonostante il cadavere sia stato ritrovato nudo, non sono stati riscontrati segni di violenza sessuale."
"Impone un ma?"
"Beh, non necessariamente... però è stato riscontrato del liquido seminale nel corpo della donna."
"Quello dell'assassino?"
"Potrebbe, vista la vicinanza tra l'ora della consumazione del rapporto sessuale e quella dell'omicidio."
Presi in considerazione questa ipotesi e mi sembrò persino strano potesse essere così facile.
"L'hai già confrontato con i nomi a tua disposizione?"
Mi sorrise. "E se ti dicessi che è uno dei nomi più ambiti?"
Percorsi i corridoi tra il silenzio di quelle mura e mi diressi alla mia auto in direzione commissariato. Chissà se oltre le orecchie, quelle particolari mura rivelavano anche i segreti che i morti portavano con sé.
Appena qualche ora dopo, tutti e quattro ci ritrovammo a fissare oltre il vetro, l'indiziato numero uno per l'omicidio di Luisa Marinetti.
"Fermato per stupro almeno una dozzina di volte", disse Lorusso.
"E che cazzo ci fa uno così ancora in giro?", chiese schifato Lentini.
"Mai sentito parlare della Barti-Grogan &Co?", fece una pausa. "Una delle più famose catene italiane di uffici d'avvocatura affiliate con gli USA."
"Posso immaginare il resto."
"Guarda a caso lo zio miliardario ha un unico nipotino, e quel nipotino è proprio davanti a noi."
"Il potere...", commentò Lentini.
"Già, è immondizia nella storia degli umani", concluse Clensi.
Lo fissarono.
Lui fece spallucce. "Che c'è, mai ascoltato Guccini?"
"Mi lasci provare", esordii rivolgendomi a Lorusso, ma senza smettere di fissare oltre il vetro.
"Cinzia..."
"La prova c'è, mi faccia fare un tentativo", continuai questa volta prendendo a fissarlo.
Lorusso ricambiò il mio sguardo, e solo dopo pochi attimi, annuì.
Io annuii a mia volta e feci per muovermi nell'altra stanza, quando vidi Lentini incamminarsi.
Lo bloccai e scossi il capo. "Non 'sta volta. Questa volta ci vado da sola."
"Ma... perché?"
"Fidati di me."
Lentini guardò il vicequestore in attesa di un qualche ordine che venisse dall'alto, ma il silenzio di Lorusso confermò la mia decisione.
Il mio collega tornò a fissarmi sconfitto, ed io gli diedi una pacca sulla spalla come segno di riconoscenza.
Qualche minuto dopo, feci ingresso nella stanza.
"Oh, mi hanno mandato la donna esplosiva! Mi piacciono le donne poliziotto!"
"Stai calmo, se no finisce che ti viene un infarto."
Presi posto proprio davanti a lui.
L'uomo si mise a ridere. "Non avete prove contro di me."
Aprii la cartella che avevo portato con me. "Mi sa che lo zio deve farti un po' di ripetizioni", dissi estraendo un foglio.
"Qua davanti a me ho un documento che si chiama referto autoptico. Sai di cosa si tratta?"
"Hai dei bei capelli, lo sai?"
"Sì, a fine lavaggio utilizzo i cristalli liquidi."
Barti applaudì. "Sei uno spasso!"
Io lo guardai e sorrisi. "Aspetto a dirlo."
Recuperai una foto di Luisa e gliela mostrai. Lui la fissò, impassibile.
"Mi spiace, non è il mio genere."
"Magari non da morta. Era viva quando l'hai conosciuta."
"Non l'ho mai vista in vita mia."
"Ci sono tracce di un DNA dentro di lei. Proviamo a fare un confronto col tuo? Se non c'entri nulla, te ne vai."
"Eh, ma io ci rimetto la reputazione."
"Peggio di quella che hai, che vuoi che sia?"
Barti annuì e mi sorrise. "Non ci riesci."
"A fare cosa?"
"A farmi confessare un delitto che non ho commesso."
Annuii a mia volta. "Ricordi che prima ho accennato ad un referto autoptico?"
Lui non rispose.
"Allora te lo ricordo io. Se non l'hai mai vista in vita tua, come c'è finito il tuo sperma dentro di lei?"
Seguì il silenzio. Poi cominciò a picchiettare le dita sul tavolo. "Se volevi incriminarmi, l'avresti già fatto."
"Te l'ho appena detto: la prova ce l'ho, voglio la tua confessione."
"Evidentemente non è abbastanza, se no non saresti qua. E in ogni caso, voglio il mio avvocato."
"Coda di paglia?"
"Si chiamano precauzioni."
"Già. Quelle che non hai utilizzato con Luisa."
Barti sogghignò.
"Già", riprese lui. "Sì. Sì, è vero. Me la sono scopata, ma non l'ho uccisa."
Ripresi posto. "Che merda di scusa, ormai non attacca più da anni."
"Quella si prostituiva", disse d'un tratto.
Io non risposi.
"Questo il referto autoptico non te l'ha detto eh, poliziotta?", mi domandò con aria di sfida.
"E perché dovrei crederti?"
Allargò le braccia. "Non sono mica un assassino, io."
"Già, tu le stupri solo."
"Ah ah ah", mi ammonì. "Così mi offende, commissario."
"L'idea è quella."
"Si faceva pagare per fare sesso, ma non era una di quelle indifese."
"Che vuoi dire?"
"Le servivano soldi, sì, ma non le dispiaceva fare quello che faceva. Luisa era una che amava farsi guardare, farsi toccare, le piaceva sperimentare."
"Ma guarda un po' l'esperto."
"Ho incontrato Luisa in un bar di corso Regina. Dopo qualche bicchiere, siamo andati in un hotel poco distante. Dopo averla pagata, se n'è andata via con le sue gambe. L'uomo alla reception potrà confermare."
"E perché andare con una prostituta, pagarla, se tu potevi prenderti quello che volevi con la forza, come hai sempre fatto?"
Lui rise. "Lei continua ad offendermi."
"E sentiamo... perché non l'hai detto subito?"
"Perché sapevo che mi avreste collegato all'omicidio."
Sorrisi ironica. "E uno come te, con lo zietto che toglie sempre il nipotino dai guai, si crea problemi di questo genere?"
"E allora pensaci, poliziotta. Se fosse come dici tu, non avrei problemi a dichiararmi colpevole anche dell'omicidio."
"Forse. Ma un omicidio è sempre un omicidio, e magari anche con lo zio che ti ritrovi sarebbe difficile mettere tutto a tacere."
"Chiedi all'addetto alla reception, ti ripeto."
"Lo farò", mi alzai e recuperai il fascicolo. "Intanto tu questa notte resti qua."
Poi m'incamminai verso l'uscita.
"Sai...", cominciò Barti. "Riguardo alla domanda di prima..."
Mi bloccai e mi voltai verso di lui.
"A volte è persino più eccitante farlo in modo consenziente e senza preservativo", concluse senza togliersi quel sorrisetto da stronzo.
"Domattina fammi sapere come hai passato la notte."
Infine uscii e chiusi la porta. Tornai nella stanza accanto.
"È un fottuto pezzo di merda. Adesso la fa passare per prostituta", dissi.
"Non molla, e in più gode dei privilegi dello zio."
Guardai Lentini. "Controlliamo il suo alibi, e controlliamo anche se questa storia della prostituzione è vera."
"Ci andiamo io e Clensi. Tu vai a riposarti un po'."
Stavo per obbiettare quando Lentini si ripeté.
Annuii, anche se malvolentieri. "Okay."
Qualche timido raggio di luce filtrava attraverso il vetro quando il mio partner venne a svegliarmi.
"Cinzia?"
"Lentini...?"
Mi tirai su e mi guardai intorno: la stanza-riposo del commissariato. Tranquillizzata, mi sgranchii. "Per un attimo ho pensato al peggio", dissi.
"Carina come sempre."
"Lorusso?"
"Ti aspettiamo di là", disse facendo per andarsene.
Mi alzai dal divano e lo trattenni per un braccio. "L'avete trovato, quello della reception?"
Mi fissò. "Appena qualche ora fa", scosse il capo. "Ha confermato l'alibi di Barti."
Lanciai uno schiaffo sul tavolo. "Cazzo!"
"E non è tutto... sembra che fosse vero. Luisa aveva tagliato i ponti con i genitori e divideva un buco di appartamento con la sua coinquilina. Lavorava in nero e le mancavano i soldi per pagarsi la scuola di ballo..."
"Le mancavano i soldi per mangiare e andava a scuola di ballo?"
"Molti lo fanno. Mettono al primo posto i sogni. E considerando che Luisa era anche molto giovane..."
Mi massaggiai le tempie e cercai di mantenere la calma.
"Ti aspetto di là", mi disse.
Mi infilai gli stivaletti e mi risistemai in pochi minuti. Raggiunsi così Lorusso, Lentini e Clensi.
"Allora quel tizio ha confermato."
"Sì, e gli orari combaciano", mi disse il vicequestore.
"Beh, ma guarda un po' che caso, sarà stato pagato!"
"Non abbiamo altro contro di lui. Ha confessato di esserci stato a letto, e il referto non parla di violenza sessuale."
"Certo, ci siamo fatti fregare tutti quanti. Era un alibi troppo banale! Dovevamo immaginarlo che per lui sarebbe stato uno scherzo, non dovevamo puntare su quello!"
"Le cose stanno così. E inoltre la persona più vicina a Luisa ha confermato che di tanto in tanto la ragazza si prostituiva."
"Ma non è una certezza!"
"Per il momento non possiamo fare altro."
"È comunque un criminale", dissi alterata.
"Non lo possiamo trattenere, Cinzia. Lo sai."
Serrai la mascella e fissai un altro punto, quando sentii vociferare. A grandi passi mi spostai nel corridoio seguita dalla squadra.
Una massa di giornalisti se ne stava accalcata attorno a Daniele Barti, sorridente e compiaciuto vicino ad uno degli avvocati di suo zio.
Ad un certo punto, tra la folla, mi scorse e mi salutò sorridente.
"Tanto ti riprendo", dissi sottovoce ma facendomi capire.
"Non vedo l'ora...", capii leggendo il labiale.
Infine uscì dal commissariato, seguito dall'onda giornalistica. Restai a fissare la sua uscita e strinsi i pugni. "Anche io."
Erano le sei del pomeriggio dello stesso giorno, quando seduta alla mia scrivania ricevetti una chiamata di Ferro.
"Ho saputo che l'hanno rilasciato... mi dispiace."
"Già", ripresi dopo una breve pausa. "Come mai mi hai chiamato?"
"L'altra sera mi sono fatto prendere dalla notizia rivelatasi poi un flop. State ancora seguendo il caso di Luisa?"
"Sì, stiamo seguendo la traccia della prostituzione."
"Beh, non so quanto c'entri, ma il cadavere di Luisa ha riportato residui di detriti."
Aggrottai la fronte. "Che genere di detriti?"
"Di quelli che in genere si trovano nelle fogne. "
"Nelle fogne?", domandai perplessa.
"Precisamente."
Restai in silenzio a pensare a cosa potesse riferirsi, ma non riuscii a collegarlo con niente.
"Ehi, stai sempre là?", mi domandò.
"Sì, ci sono. Nient'altro?"
"Nient'altro."
"D'accordo, ti ringrazio."
Riattaccai e decisi di tornare in piazza Castello.
Tra il via vai della gente, piantonai in lungo e in largo l'area delimitata dai nastri gialli, pensando che qualcosa ci fosse sfuggito. Qualcosa mi era sfuggito, ed io avevo tutta l'intenzione di scoprire cosa.
Ripassai mentalmente tutti gli indizi che avevamo trovato, fino a che guardai l'asfalto e ricordai che non era stato trovato abbastanza sangue sul luogo del ritrovamento. Ferro aveva detto che chiunque avesse ucciso Luisa, le aveva perforato la pelle in profondità, che i tagli che le aveva riscontrato erano molto profondi.
"Già... il luogo del ritrovamento", dissi fra me e me. "Perché Luisa non è stata uccisa qua, in questa piazza. C'era troppo poco sangue per le perforazioni che ha ricevuto."
Fissai il posto. "È stata uccisa altrove e poi portata qua. Ma perché proprio qua?"
Mi guardai ancora intorno, ma non riuscii a rispondermi.
Sentivo che quell'indizio poteva essere importante, ma non ne capivo il motivo.
Le tempie mi bruciavano e si era fatto tardi. Decisi che a casa, dopo una doccia e la cena, avrei potuto riflettere meglio.
La mattina dopo, feci colazione e mi preparai. Ripensai alla sera prima, convinta che quella piazza fosse stata scelta dall'assassino per un motivo ben preciso.
Uscii sul pianerottolo diretta a lavoro, quando incontrai la mia vicina di casa.
"Cinzia!"
Mi voltai. "Buongiorno, come sta?"
"Non c'è male!"
Mara Coletti si era trasferita da un anno o poco più nell'appartamento davanti al mio. Aveva divorziato dal marito dopo ben vent'anni di matrimonio. Diceva sempre che a cinquant'anni non era facile ricominciare daccapo, ma ci provava.
"Dimmi un po'...", mi si avvicinò. "Ho notato della gente strana, stanotte, sotto al portone. Tu no?"
"No. Deve stare tranquilla, i ladri non ce l'hanno con lei."
"Sono zingari, sono rom. Quelli si vogliono fregare il mio oro."
Alzai gli occhi e mi spostai verso le scale. "Stia tranquilla, signora Mara, okay? Nessun rom cospira contro di lei."
"E se non sono rom, sono quei ragazzi tatuati, quei tossici!"
"Non tutti i tatuati sono tossici, sa? E viceversa!", le risposi di rimando.
Fra me e me commentai: "Proprio la vicina razzista mi doveva capitare..."
"Quei tossici pieni di tatuaggi, figli di Satana!", gridò ancora creando eco nel palazzo.
Scossi il capo e risi. Stavo per fare l'ultimo gradino, quando mi bloccai e divenni pensierosa.
In quel momento, molti pezzi del puzzle si incastrarono. Guardai in su la rampa delle scale e la risalii velocemente.
"Signora Mara!", gridai. "Mara!"
Arrivai al mio piano, e quindi anche al suo, e la vidi sulla soglia della porta.
"Aspetti un attimo!", le dissi.
"Che c'è? Li ha già trovati, ha già trovato i rom?"
Scossi appena il capo. "No, non ho trovato i rom."
Arricciò il mento, e le rughe della fronte apparvero vistose. "E allora perché corre così?"
"Mi ripeta che cos'ha detto prima", le ordinai.
Dopo aver parlato con Ferro ed essermi accertata di quello che pensavo, raggiunsi la mia squadra in commissariato.
"Ieri abbiamo indirizzato le indagini per l'omicidio di Luisa sulla pista della prostituzione, ma ci sbagliavamo", dissi appendendo al muro la foto del cadavere della donna.
"Cosa ti ha fatto cambiare idea da un giorno all'altro?"
"Stamattina la mia vicina di casa ha detto qualcosa che mi ha illuminato."
"Chi, Mara Coletti?", mi domandò Lentini.
"Sembra strano, ma è così."
Intervenne Lorusso. "Spiegaci."
"Ho ripensato alle parole di Ferro quando mi ha detto che aveva trovato delle macchie d'inchiostro sul corpo di Luisa. Mi sono fatta mandare l'autopsia completa di foto."
"E cosa hai scoperto?"
"Che unendo i punti", completai tracciando delle linee con un pennarello sulla foto. "Viene fuori una stella al contrario: il pentacolo."
Terminata, mi scostai per mostrare loro la mia tesi.
Lorusso, Lentini e Clensi mi fissarono.
"Luisa non è stata la vittima di qualche magnaccia", ripresi io. "Era la vittima prescelta per un sacrificio delle sette sataniche."
"Mio Dio...", commentò il vicequestore.
Mi mossi per la stanza e recuperai la lavagna con la cartina della città. La indicai. "Il cadavere di Luisa è stato ritrovato in piazza Castello."
Spiegai loro che ero tornata là la sera precedente, e che il sangue trovato quella mattina attorno al suo cadavere non era sufficiente per i tagli che le avevano inflitto. Dissi loro anche del perché pensavo che piazza Castello fosse stata scelta come luogo del ritrovamento.
"Sì, ma che significa?", mi chiese Lentini.
"Non la sai la storia?"
"Parli della tradizione esoterica di Torino?", chiese Lorusso.
Io annuii.
"Se ci pensate, la piazza viene considerata il cuore nero della città a partire da diverse tradizioni", spiegai. "I romani la consideravano infausta perché sorgendo ad occidente vi tramontava il sole, ospitò una vasta necropoli, e fu sede del patibolo. Inoltre, dalla sua aiuola centrale considerata la porta dell'inferno, si accede alla sala di comando del sistema di fogna nera della città."
"Io non credo a queste cose", affermò Lentini.
Lo fissai. "Non importa. Quello che conta è che gli assassini di questi efferati omicidi, lo pensino."
"Quindi credi che abbiamo a che fare con le sette sataniche?", domandò il vicequestore.
"Sì, io credo di sì. Poteva essere considerata un'ipotesi finché ci fermavamo a piazza Castello, ma adesso, col pentacolo e tutto il resto, no. Ferro ha anche detto che c'erano residui di detriti fognari sul corpo di Laura: non possono essere coincidenze."
"Se non erro però era stato chiarito che il pentacolo non è un simbolo oscuro", intervenne Clensi.
"Infatti è così", feci una pausa. "Ho letto che a differenza di quella che è stata per secoli la credenza popolare, il significato originale in passato del pentacolo non era negativo, o correlato alla figura di satana. Ma come tutti i simboli pagani, con lo sviluppo della religione cattolica viene trasformato in simbolo demoniaco e legato alle forze oscure. Da qui i satanisti presero il simbolo e lo girarono con la punta rivolta in basso, cioè verso satana, in segno di protesta alla religione cristiana e a Cristo stesso."
"È un bel guaio... se le cose stanno davvero così, dove andiamo a pescarli? Potrebbero avere sede ovunque."
Pensai ad una persona e lo ringraziai silenziosamente. Era stato bravo a spiegarmi che il migliore nascondiglio è quello che sta sotto gli occhi di tutti.
"Io un'idea ce l'avrei", dissi solo.
Il vicequestore e i miei partner si fissarono, quindi mi fissarono senza capire.
Appena una ventina di minuti dopo, noi quattro e i rinforzi parcheggiamo le auto nei pressi di Piazza Castello.
Pochi istanti dopo ci vennero in contro, il geometra del comune e la squadra di addetti alle fognature della città.
Lorusso e quello che immaginai fosse il capo squadra si strinsero la mano. Poi parlò.
"Dottore, è sicuro di quello che fate?"
"Non esattamente, ma dobbiamo", risposi io al posto di Lorusso, allacciandomi il giubetto antiproiettile.
L'uomo mi fissò. "È molto improbabile che troviate qualcuno laggiù. Anzi, azzarderei a dire che è praticamente impossibile."
"Noi non possiamo escludere niente."
L'uomo annuì. "Come volete voi."
Prese così a mostrarci la cartina del sistema di fognatura. "Allora, vi faremo entrare dalla parte nord della piazza. Dalla griglia laggiù."
Mi guardai intorno e notai la concentrazione di persone sulla piazza.
"Ma non moriremo dalla puzza là sotto?", domandò Lentini.
"Le deiezioni in decomposizione possono formare gas velenosi ed esplosivi, ma per prevenire tutto questo le tubature devono essere sufficientemente ventilate. È per questo che vengono collocati dei serbatoi chiusi con una grata di ferro. Ad ogni modo, non passerete dove si trovano le acque."
Lorusso prese la parola. "Ora sarà meglio andare!"
"D'accordo."
Lo stesso uomo che ci aveva spiegato a grandi linee come funzionava l'impianto fognario, ci condusse all'entrata.
"Da qua in poi, proseguiamo da soli."
"Siete sicuri, dottore?"
"Assolutamente. Se quello che pensiamo è corretto, c'è gente molto pericolosa là sotto. Ci terremmo in contatto via radio con voi e con la polizia."
Quello annuì. "In bocca al lupo."
Controllammo le armi, sistemammo il colpo in canna e annuimmo.
"Siamo dentro", annunciò Lorusso all'ispettore di polizia sopra le nostre teste, in superficie.
"Bene. Proseguite con cautela."
Dopo un po', decidemmo di dividerci.
Quel posto laggiù, sembrava un labirinto. Mi chiesi se Luisa fosse stata tratta in inganno là sotto o se invece l'avessero portata con la forza.
"Dottore, chiami altri agenti. Non riusciremo mai a perlustrare tutta la zona noi quattro soli", suggerì Lentini.
"No, non c'è tempo. Sono qua da qualche parte, dobbiamo sbrigarci", dissi.
"Cinzia, è troppo pericoloso. Non riusciremo a coprire le uscite se dovessimo trovarceli davanti."
"Okay. Però mentre lei chiama, io vado avanti. Qualcun'altra potrebbe essere in pericolo."
"Vengo con te", disse Clensi.
Io annuii, e rivolgendomi a Lorusso, dissi: "Noi proviamo ad andare sempre dritti e a girare in fondo a sinistra. Ci teniamo in contatto via radio."
"Però aspettate i rinforzi."
Ci incamminammo e dopo un buon tratto in silenzio, il sovrintendente parlò.
"Come mai te ne intendi tanto di... sette sataniche?"
"Ho avuto a che fare con loro, in passato."
Mi fissò perplesso. "Scherzi, vero?"
"No."
Andai avanti, ma mi bloccai subito dopo. "Hai sentito?"
Restammo in attesa e ricomparve. Erano grida.
"Cos'è stato?", mi domandò.
Gli feci segno di fare silenzio per cercare di capire da dove provenissero. "Di qua."
Percorremmo ancora dritto seguendo una striscia di sangue secca.
"L'hanno uccisa qua e trascinata fuori. Dev'essere il sangue di Luisa."
Ci bloccammo quando dinanzi a noi si presentò una porta; una luce fioca sbucava dalla fessura.
Ci sistemammo ai lati della porta. "Al tre, entriamo."
"Non sarebbe meglio aspettare i rinforzi?"
"Al tre."
Spalancammo la porta e intimammo a chiunque fosse là dentro, di alzare le mani.
Dopo aver preso visione della situazione, un unico uomo incappucciato si voltò verso di noi con incredibile calma. In una mano impugnava un grosso coltello dalla lama insanguinata, e nell'altra teneva dai capelli lunghi, una testa umana mozzata.
La tunica dell'uomo era colma di sangue. Sembrava di essere al macello.
Gli puntammo le armi contro.
"Alza le mani, subito!" gli ordinai gridando.
"Non prendo ordini da te."
"Alza le mani, ho detto!"
Lui però restò impassibile. I suoi occhi neri mi fissarono dai buchi del cappuccio.
"Non farcelo ripetere di nuovo, se no giuro che t'ammazzo!", intervenne Clensi avvicinandosi.
"Ammazzate me, ma non la nostra causa."
"Mi accontenterò, per ora."
Poi in quel momento, un lago di sangue si compose intorno ai suoi piedi.
"Ma che cazzo...", commentò Clensi.
La pelle sotto gli abiti mi si accapponò.
"Il sacrificio è stato compiuto...", annusò l'aria. "Una vergine è sempre una vergine. Lui le adora."
"Come adorava Luisa?", chiesi.
"Ah. Era così pura... una ragazza così indifesa non dovrebbe andare in giro di notte, da sola."
"E così l'hai trascinata qua sotto."
"È stato un bel sacrificio: i miei fratelli, tutto quel sangue, un rito perfetto..."
Gli occhi mi divennero lucidi dalla rabbia, e mi tremò la voce quando parlai nuovamente.
"Beh. Sai che c'è?", gli domandai. "Che non era poi così tutto perfetto! Il tuo... Dio sarà molto arrabbiato con te, perché a quanto pare Luisa non era così pura quanto credevate!"
"Impossibile."
"Forse non l'hai controllata abbastanza. Magari quando eri impegnato con i tuoi sacrifici di merda, non hai notato che Luisa faceva la prostituta, di tanto in tanto."
"Stai mentendo!", urlò.
Restai a fissarlo. Poi udii dei passi e delle voci che riconobbi in quelle dei miei colleghi.
"Siamo di qua, in fondo!", gridai senza distogliere lo sguardo dall'uomo.
Ritornai a fissarlo. "Ti conviene arrenderti."
"Mai."
"Hai perso."
A quel punto, rise. "Siamo in tanti, lo sai? Molti di più di quelli che immagini."
"Potreste essere anche tutto un esercito. Prometto che farò di tutto per fermarvi."
"Non puoi fermarci."
"Dici?", proseguii riferendomi a Clensi. "Vai in contro a Lorusso e Lentini. Io lo tengo sotto tiro."
"Io diffondo il male, io sono il male, e te ne accorgerai presto anche tu."
In quel momento alzò il coltello e lo indirizzò verso Clensi.
Presi la mira e feci fuoco due volte. L'uomo cadde a terra, e la testa della giovane rotolò per terra.
"Stai bene?", domandai al mio collega.
Lui annuì.
Andai in contro all'uomo e lo fissai dall'alto. Rinfoderai l'arma, lo girai prono e gli conficcai un ginocchio nella schiena. Poi gli afferrai i polsi.
"Col cazzo che ti facevo il favore di ucciderti", gli dissi mentre lo ammanettavo.
L'uomo si lamentò ed io premetti maggiormente sulla ferita alla spalla e al ginocchio. "T'ho fatto male, quanto mi dispiace."
Lo girai bruscamente e gli sfilai il cappuccio. "Eccolo il coraggioso satanista."
Tra l'evidente dolore, si mise a ridere.
"Sono contenta che lo trovi spiritoso, perché ti assicuro che sei nei guai grossi."
"Pensi di essere tanto furba? Faccio parte di una setta e mi trovi qua da solo...", rise nuovamente. "Siamo molto più furbi di quanto credi."
Lo afferrai dal colletto della tunica. "Siete solo marci, ecco cosa siete."
"Noi fratelli siamo legati da un patto di sangue che neanche la morte può spezzare, noi ci copriamo a vicenda", disse come spiritato.
In quel momento arrivarono Lorusso, Lentini e i rinforzi.
"Talmente legati che i tuoi cosiddetti fratelli si sono precipitati a salvarti, eh?", lo alzai di peso e lo spinsi barcollante tra le braccia di due agenti. "I medici ti cureranno i graffi, e poi tu e il giudice passerete tanto tempo insieme."
"Vedrai, te ne accorgerai!", gridò ancora con una calma lucida che faceva quasi impressione.
"Sai?", proseguii. "Avete scelto il posto adatto per nascondervi... potete stare solo nelle fogne."
Gli agenti lo portarono via, ed io lasciai cadere le spalle tese.
Lorusso si precipitò. "Maledizione, Cinzia! Dovevate attendere i rinforzi! Non avevamo la situazione sotto controllo, poteva uccidervi!"
"Sei una pazza. Le idee peggiori le hai sempre tu", aggiunse Lentini.
"Lo prendo come un complimento", dissi.
"Anche io sto bene, grazie", commentò Clensi avvicinandosi.
Lorusso parlò. "Il coraggio non basta, siete stati due incoscienti."
"È stata colpa mia, sono io che ho insistito per entrare dopo che ho sentito le grida... e non è servito comunque."
"Non è stata colpa tua."
Io non dissi altro.
"Non vorrei sembrare indelicato, ma... è vero che Fermi ha avuto a che fare con le sette sataniche?"
Lentini e Lorusso mi fissarono. Mi uscì un mezzo sorriso e mi allontanai.
"No, perché, vi spiego. Prima mi ha detto che...", continuò lui.
Feci per uscire fuori da quel posto mentre la ragazza uccisa e decapitata veniva messa in un sacco di plastica e portata via.
Un uomo sui trent'anni, pensai. Un viso come tanti quando gli avevo sfilato il cappuccio. Poteva essere il lattaio, il postino, il vicino di casa.
Era qualcosa che non aveva niente a che vedere con la pelle, con le razze, come sosteneva Mara, la mia vicina di casa.
Stava tutto nella testa.
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