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Il sogno di Icaro
Per Angelino l'estate era ormai lontano ricordo di lunghi pomeriggi trascorsi al sole a giocare nella piazza del paese, a lavorare nei campi o al pascolo con le capre. L'autunno aveva già dipinto dei suoi colori gialli, dorati e rossi tutti i boschi attorno al paesino del Cadore dove il ragazzo abitava con la sua famiglia. Tutte le mattine si alzava presto, doveva occuparsi degli animali domestici: alcune galline nel pollaio, una mucca e alcune capre nella stalla e assicurare loro il cibo per l'intera giornata. Poi senza troppo entusiasmo, prendeva la sacca di tela contenete i pochi quaderni, una mela oppure un grappolo d'uva, l'astuccio di legno, dove erano custoditi un'asticciola con due pennini di riserva, una matita, una gomma e un fa punte e si recava a scuola.
-Per fortuna c'è la ricreazione - pensava tra sé Angelino mentre camminava. Era proprio durante i minuti della pausa che i ragazzi, fra una corsa e l'altra, organizzavano fra loro le attività del pomeriggio. Le ragazze invece camminavano sottobraccio e avevano sempre qualcosa da raccontarsi sottovoce, in segreto, oppure saltellavano in modo strano, recitando conte o filastrocche; a volte, raramente, giocavano a palla.
-Strani esseri le ragazze- diceva fra sé e sé Angelino, che non riusciva proprio a comprendere come fosse possibile sprecare in quel modo i pochi preziosi minuti della pausa.
Era ormai novembre e, in previsione della festa di S. Nicolò, i ragazzi cominciavano a organizzarsi per raccogliere i bastoni che sarebbero serviti per accendere i falò. Secondo la tradizione infatti, la sera del 5 dicembre per la ricorrenza di S. Nicolò, venivano bruciati nelle piazze del paese cumuli di bastoni, quelli stessi piantati in primavera come sostegno alle piante di fagioli. Si trattava di paletti diritti, sottili, robusti e appuntiti che erano piantati nel terreno affinché le piantine di fagiolo potessero arrampicarsi e attorcigliarsi attorno al sostegno, crescendo così in verticale anziché propagarsi sul terreno con il rischio di essere infestati da insetti, divorati da animali, o marcire.
I ragazzi, muniti di torce di legno immerse nella pece, accese, percorrevano la strada che divideva il loro paese da un altro vicino, situato più in basso che distava circa un chilometro, per incontrare il santo e illuminargli la via. Nella leggenda S. Nicolò arrivava per portare doni ai bambini. Nessuno lo poteva realmente vedere, ma tutti i ragazzi in preda alla suggestione, in quell'occasione giuravano di averlo visto e perfino toccato... Raggiunto il paesino vicino tornavano indietro e appiccavano il fuoco alle cataste di bastoni in onore del santo. Preparare la catasta di "fasolere" richiedeva abilità nel disporle in modo tale che il fuoco non le consumi troppo rapidamente e i ragazzi vi dedicavano molta cura. Il falò veniva acceso sia nella piazzetta di quella parte del paese chiamata "di sopra" che nella piazzetta della parte inferiore. Era considerato di buon auspicio per la frazione di paese che lo aveva acceso, se il proprio falò era più grande, più bello e luminoso e durava di più nel tempo di quello acceso nell'altra piazzetta. Ne nasceva quindi una disputa, fra i due gruppi di ragazzi che abitavano rispettivamente nella parte sopra o sotto del paese, che iniziava fin da novembre, quando dopo le lezioni, andavano per i campi a procurarsi i famosi bastoni detti "fasolere"... Succedeva anche che le due fazioni rivali rubassero l'una all'altra i bastoni, perciò i ragazzi dovevano anche preoccuparsi di trovare un nascondiglio sicuro.
Era novembre e dunque tempo di darsi da fare!
Fu in questa circostanza che Luigino, chiamato bonariamente Nino, compagno di classe e di giochi di Angelino che come lui, abitava nella frazione "di sotto", seppe dare l'ennesima dimostrazione della sua creatività. Nino era un ragazzino lentigginoso, con i capelli rossi e la carnagione pallida, delicata e molto buono. Con il suo aspetto sognante dava l'impressione di essere sempre con la testa fra le nuvole; era anche piuttosto goffo, impacciato e maldestro nei movimenti. Per questo veniva spesso canzonato dai compagni e di questo anche i suoi genitori soffrivano molto. Egli spesso era ideatore e protagonista di gesti insoliti, come aprire la bocca perché un grillo gli entri in gola per poi farsi pagare 10 lire se la cosa riusciva bene, oppure per scommessa mettere le dita nei nidi delle vespe cercando di uscire indenne dall'esperienza... Qualche volta ci riusciva, altre volte invece, tornava a casa con gli occhi e le mani gonfie. Ebbene, in un tardo pomeriggio di novembre, i ragazzi della frazione "di sotto", dopo aver fatto incetta di bastoni, pensarono di accatastarli dentro una buca scavata proprio dietro alla casa di Nino. Poiché ormai era buio decisero di aspettare l'indomani per ricoprirli di terra e di salire la scala che portava al fienile per ammirare insieme, dall'alto il grande mucchio di "fasolere", immaginando già le fiamme del loro fuoco acceso in piazza innalzarsi verso il cielo.
Nino guardava e intanto sognava... In quel momento avrebbe tanto desiderato volare... All'improvviso afferrò un vecchio ombrello nero, impolverato che si trovava lì, appoggiato a una parete, lo aprì, si affacciò alla grande finestra che serviva per accasare il fieno... Senza esitazioni spiccò il volo, l'ombrello si rovesciò e, in men che non si dica, si sentirono un tonfo e delle urla di dolore: il ragazzo era finito sul mucchio delle "fasolere" e uno di quei bastoni appuntitigli si era conficcato nella sua natica sinistra, procurandogli una profonda ferita.
Nel giro di un minuto uscirono molte persone dalle case vicine per vedere cosa fosse accaduto... C'era il ragazzo che piangeva e sangue tutto attorno... Urlarono, chiamarono il medico... Nino fu portato immediatamente all'ospedale.
I compagni assistevano dall'alto increduli, incassando anche una sequela di aggettivi poco gentili nei loro confronti da parte della gente accorsa.
Arrivò la sera del 5 dicembre, furono accesi i falò e, a vincere la sfida fu la frazione "di sotto"... Quella dove abitavano Angelino e Nino.
Luigino guarì, ma non tornò al paese; i suoi genitori decisero di mandarlo a vivere con una zia, a Cesenatico. Per qualche tempo scrisse agli amici delle belle cartoline di saluti raffiguranti il mare, poi più nulla.
Dopo qualche tempo anche i genitori di Nino lasciarono il paese per recarsi a Milano, città dove la famiglia si ricompose. La loro casa in paese rimase vuota, abbandonata, sembrava triste. Vi trovarono rifugio pipistrelli e gatti randagi. Ogni volta che Angelino passava davanti ripensava alla scena e rivedeva Nino con l'ombrello rovesciato che, come novello Icaro, compiva il suo volo sopra alle "fasolere".
Trascorsero gli anni, si era già nel 1958, molti anziani del paese non c'erano più e parecchi giovani erano partiti per trovare lavoro all'estero. Angelino con la sua famiglia abitava da qualche anno in Alto Adige ma di tanto in tanto, insieme al padre, faceva ritorno al paese per dare un'occhiata alla casa, ai campi, per rivedere i parenti e per recarsi al cimitero a salutare i nonni...
Un bel giorno nell'unico negozio di alimentari situato in piazza, si sentì parlare del ritorno di Nino.
Infatti poco dopo iniziarono i lavori di ristrutturazione della vecchia casa e verso Natale giunse un camion carico di mobili. Qualche settimana più tardi parcheggiò proprio nel punto dove a suo tempo furono accatastate le "fasolere" una Fiat bianca, "Giardinetta" con a bordo Nino, ormai uomo e seduta al suo fianco una donna con i capelli castani, sul sedile posteriore c'era una carrozzina blù dove dormiva un bambino con la pelle chiara e i capelli rossi... Angelino era lì, vide l'amico di un tempo e gli corse incontro. Si abbracciarono con le lacrime agli occhi; immediatamente arrivarono anche altri amici che lo accolsero felici di rivederlo.
Tutto ricominciava lì dove erano le sue radici. Stava iniziando un nuovo capitolo della sua vita, con una compagna e con quel piccolo dai capelli rossi come i suoi...
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