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Giulio e Saverio: o delle convergenze parallele
Saverio.
La lettera tanto attesa era arrivata.
Il mittente era scritto in rosso in alto a destra. Centro di studi Genetici. Via Dalmazio Birago 20, 73100 Lecce.
Saverio respirò profondamente e si appoggio sullo schienale della poltrona in pelle, nell'ufficio della Grandi Lavori Spa a Milano. Erano state tre settimane d'inferno, ma ora tutto si sarebbe chiuso. Avrebbe saputo la verità.
Per l'ennesima volta rivisse quella scena.
Stazione Porta Genova. Fermata della linea 2 del tram.
Una signora anziana sulla settantina vestita in modo elegante con una aria dolce ma decisa gli mise una mano sul braccio.
"Lei deve essere il figlio di Giulio Casavola. Io ho conosciuto suo padre".
Lo aveva fissato da quando era salito sul tram. Ed era scesa con lui.
"Guardi, si sbaglia. Io mi chiamo Saverio De Simone e il signor Casavola non so chi sia".
"È di Lecce, non è vero? Lei è tale a quale a lui, una goccia d'acqua.".
"È vero io sono nato a Lecce, ma mio padre si chiamava Luigi".
"Lei gli rassomiglia veramente tanto. Giulio è stato un amico di mio marito e per un certo tempo anche un mio caro amico. Se viene a casa mia le faccio vedere delle foto di quando aveva quarant'anni. Sembrano foto sue, a parte l'abbigliamento."
Dalla busta della spesa, prese lo scontrino, dalla borsa una penna; scrisse sul retro un numero di telefono e glielo porse.
"Mi chiami, così viene a casa mia e sarà d'accordo con me".
Arrivò il suo bus e fece per salire, ma prima lo salutò.
"L'aspetto, allora.".
Lesse la perplessità e lo smarrimento sul suo viso.
"Tu sei il figlio di Giulio, un uomo eccezionale". E, passata al tu, scomparve dietro le portiere dell'autobus.
Confuso, turbato, con il foglietto che gli bruciava in mano s'incamminò verso casa. Al primo cestino lo buttò via.
A casa fra i ragazzi, la cena e la partita di Champions non ci aveva pensato più. Ma una volta a letto, tutto gli ritornò in mente. Non ne aveva parlato con sua moglie. I rapporti fra lei e sua mamma erano sempre stati pessimi e non voleva dare la stura a commenti al vetriolo.
Avrebbe voluto invece far l'amore con lei, rimanere dolcemente abbracciati dopo, farsi ricoprire di baci e tenerezze prima. Ma lei, come capitava spesso negli ultimi tempi, non rispose con particolare entusiasmo alle sue avances. Lui aveva bisogno di passione, dolcezza e amore, non di una scopata veloce fatta giusto per timbrare il cartellino settimanale. Allora desistette e lei ne sembrò sollevata.
Nei giorni successivi uscì più presto dall'ufficio e passò un sacco di tempo andando su e giù sul 2 sperando di rivederla. Ma rimase solo una speranza.
Allora decise di andare a Lecce. Era la prima volta da quando i suoi non c'erano più. Il suo papà, o almeno quello che fino a pochi giorni prima aveva considerato tale, era morto 3 anni prima. Sua madre s'era andata poco prima dell'estate.
Giulio.
Appena sveglio scorse la busta con l'indirizzo del suo editore italiano ancora aperta sul comodino, la prese per l'ennesima volta in mano. Era da tanto che non scriveva nella sua lingua madre. L'editore italiano dei suoi romanzi gli aveva chiesto un racconto sull'Italia e lui aveva scritto una storia d'amore. Aveva raccontato dell'unica donna che aveva veramente amato, lui che si era sposato tre volte e aveva cinque figli. Per la prima volta nella sua carriera di scrittore non aveva inventato una storia, ma aveva raccontato la sua storia. Aveva scritto del miracolo di ritrovare dopo quarant'anni la donna per la quale era fuggito in Argentina per poi perderla di nuovo, questa volta per sempre.
Aveva firmato il racconto con il suo nome vero mentre il tutto il mondo era conosciuto come Pedro Delvida, autore di best sellers venduti in milioni di copie in Sud America e tradotti in 15 lingue, italiano compreso.
La busta non era ancora chiusa, ne approfittò per leggersi per un altra volta ancora il racconto, come sempre battuto con la sua Olivetti lettera 32 in duplice copia. Ne lesse solo alcuni brani, saltando da un pezzo all'altro senza una logica precisa.
Saverio
A Lecce avrebbe trovato le risposte che cercava. Avrebbe messo sotto sopra casa per vedere se trovava qualche indizio. Avrebbe cercato questo Casavola a costo di rovistare tutto il Salento.
A sua moglie inventò la scusa che doveva risolvere delle questioni aperte per la pratica di successione.
"Sarebbe il caso di venderla quella casa", gli disse lei.
"Col cazzo che la vendo, è la casa dove sono nato", pensò lui, ma non disse nulla.
Arrivato nella sua casa natale, l'aveva rivoltata tutta senza trovare granché di nuovo, solo un plico di lettere che suo padre aveva conservato in un cassetto. Erano di sua madre e si riferivano al periodo in cui suo padre era a Genova e lavorava come ingegnere nei cantieri navali. Sua madre aveva avuto un incarico d'insegnamento a Lecce e resisteva con tutte le sue forze all'idea di trasferirsi a Genova. Si percepiva un po' di tensione, ma niente di più. Lui sapeva come era finita: la mamma aveva vinto e suo padre alla fine si era trasferito a Lecce a fare l'insegnante anche lui.
"Cosa pensavi di trovare, stupido?", si era chiesto "Il diario segreto di tua mamma, chiuso con un nastrino rosa ben nascosto fra la sua biancheria?".
Finalmente si assopì, ma ebbe bisogno di farlo sul divano con la televisione accesa e dopo essersi fatto promessa solenne che il giorno dopo avrebbe telefonato a tutti i Casavola dell'elenco del telefono.
Si svegliò presto con qualche doloretto qui e lì: i cuscini del divano avevano perso quasi tutte le piume, come lui d'altra parte, pensò con sarcasmo.
Fece colazione, cappuccino e pasticciotto, in piazza Sant'Oronzo, in una splendida giornata di sole.
Amava l'ottobre leccese; ti poteva regalare delle giornate splendide, calde, accoglienti e con una luce intensa, più dolce e rotonda di quella estiva. Era come se il tempo ti strizzasse l'occhio facendoti sentire per le ultime volte quel caldo rassicurante che ti avrebbe nascosto poi fino alla primavera. Amava Lecce, nonostante tutto.
Tornò a casa e aspetto che fosse un orario da cristiani prima di iniziare il suo giro di telefonate. Su paginebianche. it trovò 10 Casavola. Parlò con tutti: ma nessuno era Giulio e nessuno sembrava conoscerlo.
Giulio
Torno a Lecce dopo più di quaranta anni. Tutto è diverso. C'è una città moderna che non conosco cresciuta caoticamente dopo che me n'ero andato. Ma anche il centro storico è tutta un'altra cosa. Le putee, le classiche osterie leccesi, e le botteghe artigiane sono sparite sostituite da locali animati da giovani e meno giovani condannati al divertimento perenne e da negozi per turisti. Le facciate delle chiese e dei palazzi sono pulite e restaurate, ma sembrano aver perso l'anima. Nelle case un po' cadenti del centro una volta abitavano i leccesi più veri, puttane comprese, ora nei palazzi ristrutturati ci sono i professionisti della Lecce bene.
Eppure..., eppure quel barocco leggero ed elegante ancora mi accarezza il cuore. Eppure, se chiudo gli occhi ancora sento l'odore della città dei miei vent'anni.
Riaprendo gli occhi la vedo. Sta camminando verso di me, mi guarda. Capisco che si sta chiedendo se sono proprio io. Io non mi sono chiesto se fosse lei, io l'ho subito riconosciuta.
Saverio
Poi gli venne in mente la Laura, Laura Bacile, una vecchia amica della mamma, forse la più cara. Si erano conosciute quando, entrambe giovani giovani, avevano iniziato ad insegnare.
Fu contenta di sentirlo e ancora di più che lui andasse a salutarla.
"Che belli quegli anni, Saverio. Iniziavamo a lavorare, a guadagnare, ad essere indipendenti. Ora sembra normale, ma allora per una donna a Lecce non era una cosa da poco".
"Io non avevo ancora conosciuto quello che sarebbe diventato mio marito e tua mamma era sposata ma Luigi era a Genova. C'era qualcuno che mi corteggiava e io accettavo qualche appuntamento ogni tanto e spesso mi portavo dietro Anna."
"Giulio me lo ricordo bene, era un uomo affascinante, misterioso ed elegante e quindi molto pericoloso. Allora usava essere ragazze serie - che sciocchezze! - e noi due lo eravamo"
"Ci vedemmo solo due volte tutti e tre insieme. Poi Giulio non si fece più vivo, almeno con me"
"Una volta che ero uscita da casa mia madre, vidi Anna e Giulio in un caffè dalle parti del Duomo".
"Non ti nego che fui colta da un attacco di gelosia. Anna è sempre stata più bella e attraente di me, aveva un fascino naturale e quella che oggi chiameremmo una sensualità istintiva. In più era intelligente e con una forte personalità. Questo metteva molti uomini in soggezione, ma non certo quelli come Casavola".
"Il giorno dopo gliene ne parlai. Mi disse che l'aveva incontrato per caso sul corso e lui l'aveva invita a prendersi un the. Nulla di più. Le credetti, come sempre."
"Si ricorda quando tutto questo successe? Che anno era?", le chiese.
"Fammi pensare. Era l'anno prima che io conoscessi Luciano, quindi doveva essere la primavera del 66".
Lui era nato nel febbraio del 1967.
Il suo turbamento dovette trasparire chiaramente sul suo viso, tanto che Laura gli carezzò dolcemente il braccio sinistro.
"Cosa vai a pensare, Saverio? Tu sei figlio di tuo padre che Dio l'abbia in gloria. Se tua mamma avesse avuto anche solo dei dubbi, sicuramente me ne avrebbe parlato. E io, al contrario di quella mezza pazza, non vedo nemmeno tutta questa somiglianza. O forse a pensarci bene erano Giulio e Luigi a somigliarsi un po', almeno fisicamente, perché per il resto e per tua fortuna, erano molto diversi."
"Ma cosa è successo poi a Casavola?"
"Non ti saprei dire, in verità. So che ad un certo punto emigrò in Sud America, mi pare. Qualcuno disse che era scappato per i troppi debiti. Io non seppi più nulla di lui".
Giulio
Mi aveva dato appuntamento in un bar del corso. Fino ad allora era stata attentissima a non farsi mai vedere in giro con me. Capii ben presto perché aveva scelto un locale pubblico.
"Giulio, finisce tutto qui. Luigi ha avuto la nomina all'Istituto Tecnico Industriale. Ha deciso di accettare di tornare a Lecce. Io sono sposata e Luigi è un brav'uomo e io gli voglio bene. È stato bello, molto bello, ma non ce la faccio più. Questa storia mi sta distruggendo, devo scegliere e ho scelto di rimanere con Luigi. È stato bello, forse troppo bello, ma non sarebbe dovuto mai succedere."
"Anna io ti amo, andiamocene via. Ho cugino a Buenos Aires, lì potremo ricominciare da capo. Nessuno conoscerà il nostro passato".
"Giulio non sempre siamo padroni del nostro destino. Forse se ti avessi conosciuto prima... Ma ora il mio posto è qui. Non pensare che mi spaventi il giudizio della gente, se lo volessi veramente affronterei tranquillamente lo scandalo e rimarrei qui a testa alta. Ma non è quello che voglio"
Saverio
Laura abitava in una bella villetta nel quartiere Castromediano nella periferia di Lecce. Per tornare a casa ci avrebbe messo almeno una mezz'oretta a piedi. Un po' di moto l'avrebbe forse aiutato a placare l'ansia che gli attanagliava lo stomaco.
Tante cose tornavano. Giulio Casavola e sua mamma si conoscevano e i tempi erano assolutamente compatibili con la sua nascita. Lui si chiamava Saverio, Giulio Arturo De Simone. La virgola aveva provvidenzialmente evitato che il secondo nome, Giulio, comparisse negli atti ufficiali. Ma, virgola o non virgola, il nome Giulio era lì, fra quello dei suoi nonni. Potevano essere solo delle coincidenze?
"Saverio, Saverio.."
Si volse e vide il faccione simpatico e cordiale di Elio che lo salutava dall'ingresso della sua farmacia. Avevano fatto tutte le scuole insieme: materna, elementare, media e liceo classico. Dopo si erano allontanati, avevano fatto l'università finalmente in posti differenti, e poi lui era andato a vivere a Milano, mentre Elio era tornato a Lecce per lavorare presso la farmacia del padre.
La sua farmacia era uno dei posti che non mancava di visitare tutte le volte che scendeva a Lecce. Un caffè e quattro chiacchiere con Elio erano un piacere di cui, se poteva, non faceva a meno.
"La sai un cosa buffa? Son contento.", disse Elio.
"No, non ti sto pigliando per il culo. Avevi un'aria terribile, sembravi distrutto. Quando ho sentito che mi dovevi dire una cosa importante, ero sicuro che avessi un grave problema di salute, tu o qualcuno dei tuoi. Questa, invece, è la migliore brutta notizia che mi potessi dare".
"Ma lo sai o no che io e tutti noi bambini di allora, ti invidiavamo il papà e dico quello vero non quello supposto biologico. Ti ricordi quando ci caricava in 6 nella macchina e ci portava al boschetto di san Cataldo, quando ci faceva giocare a ruba-bandiera o giocava con noi a palla-prigioniera? Nessuno di noi aveva un padre così"
"Hai avuto, per quel che so io, un ottimo padre. Cambierebbe qualcosa se scoprissi che non ti ha trasmesso i suoi geni?".
"Leggevo l'altro giorno che circa un figlio su dieci non è figlio del suo padre anagrafico. Sicché tutti noi abbiamo il 10% di possibilità di non essere figli di chi crediamo anche senza vecchie pazze che ci fermino per la strada. E allora, dico io... chi se ne frega".
"E poi pensa a tua mamma. Anche lei era una donna splendida e fino all'altro giorno tu eri il primo a pensare che fosse stata una buona moglie. Tuo padre le voleva un bene dell'anima. Anche se e sottolineo mille volte il se, perché io proprio non ci credo, avesse avuto un momento di sbandamento, cosa cambia per noi, per te? Tu non hai sbagliato mai?".
"Parole sagge, Elio, che credi che non me le sia dette? E non una sola volta. Ma io devo sapere la verità. Quello che mi sta distruggendo è proprio l'incertezza. Sapessi di essere figlio di questo Casavola molto probabilmente non cambierebbe nulla, forse smetterei anche di cercarlo e continuerei a pensare a Luigi come a mio padre. Ma sapere di non sapere mi far star male."
"Se è questo il problema, potresti fare un esame del DNA. Ho un amico che ha un laboratorio collegato con l'università. Non fanno test per i privati, ma per me farebbero un'eccezione. Ma come fai? Mica hai nulla di tuo padre, che per altro era, come te, figlio unico".
"Senti, ora devo tornare in farmacia. Vieni a cena da noi, stasera? Mariella ne sarebbe contenta"
"Ci sto; porto il dolce".
S'incamminò verso la casa sua pensando che non gli rimaneva altro che scendere a patti con la sensazione di inquietante incertezza. Il guaio è che non era la sola. Il lavoro l'aveva annoiato e stancato e l'ambiente diventava sempre più competitivo con tanti colleghi più giovani che non aspettavano altro che lui facesse un errore. Sua moglie, altra incognita. Era ormai evidente che si stavano allontanando. Parlavano poco e scopavano ancora meno e quasi sempre più per dovere che per piacere. I suoi figli, poi. E se fossero anche loro De Simone solo di nome? Se lui non era il figlio che credeva d'essere, forse non era nemmeno il padre che pensava. E poi ha già superato i quaranta e cominciava a sentirsi vecchio: il futuro gli sembrava un hard discount, scaffali tristi pieni di prodotti mediocri in scatoloni di cartone, mentre il passato si divertiva con lui al gioco delle tre carte. Carta vince, carta perde, papà Luigi, papà Saverio...
Giulio
Ci può essere una amore travolgente quando hai passato i sessanta? Questioni da rotocalco femminile, avrei pensato fino all'altro ieri.
A me, a noi è capitato. Ma era un ritorno di fiamma dei vent'anni e forse non conta. Quel che posso dire è che ho desiderato questa splendida sessantacinquenne con una forza e un impeto molto maggiore di quanto abbia mai desiderato le tante fans molto più giovani che mi si offrono spesso e volentieri. Ma è un ritorno di fiamma dei vent'anni e forse non fa testo.
Saverio
Il rasoio, si ricordò all'improvviso del rasoio. Quando Luigi morì, lui e sua mamma decisero di regalare tutti i suoi vestiti alla Caritas. Ma lui insistette perché le sue cose nel bagnetto che tutti chiamavano il bagno di papà, rimanessero così come erano. Tanto non lo usava quasi mai nessuno. In realtà aveva cominciato ad andarci lui, ogni tanto, quando era a Lecce, gli piaceva mettersi il dopo barba di Luigi. Il profumo di quel dopo barba, sempre lo stesso per tutta la vita, era il ricordo olfattivo di suo papà.
Giulio
Che lungo amore breve vi vengo a raccontare.
Una settimana che avevo aspettato quarant'anni. Poche notti e pochi giorni. Ma tanti progetti. Sarebbe venuta in Argentina, saremmo ritornati a Lecce, saremmo andati a Milano, avremmo fatto una crociera e girato il mondo. Magari ci saremmo sposati, chissà. Mi ha chiesto il tempo di parlarne al figlio, voleva farlo con calma anche perché le sembrava stesse attraversando un periodo difficile. Poi avremmo iniziato una vita insieme.
Così alla fine della settimana io partii per Londra per presentare la versione inglese del mio ultimo libro e lei si sarebbe sentita con il figlio e gli avrebbe parlato. Mi disse anche che finché non incontrava il figlio era meglio se noi non ci fossimo sentiti. Mi telefonò invece l'amico che mi ospitava a Lecce. Aveva saputo la notizia. La mia splendida rosa di maggio era sfiorita il primo giugno.
Che dolore tremendo non vi vengo a raccontare.
Saverio
Arrivò correndo a casa, aprì la vetrina del mobile a specchio e il rasoio Phillips era lì. Glielo aveva regalato lui un Natale passato, quando il vecchio Remington di Luigi mostrava abbondanti segni di decadimento. Aprì delicatamente la testina e lo trovò pieno di residui di rasatura.
"Peli da barba, ho dei peli da barba sono sufficienti per l'esame?", disse subito a Elio quando rispose al telefono.
"Penso di si, comunque, per sicurezza chiamo il laboratorio e ti dico.".
Erano sufficienti, gli disse. E finalmente passò una bella serata tranquilla con Elio, Mariella e i loro splendidi figli. Non c'è niente di meglio dello spettacolo di una famiglia in armonia, anche se non è la tua, per sollevare il tono dell'umore. Ecco perché nella pubblicità il testimonial più efficace è sempre una sunshine family.
Giulio
Ripose i fogli del racconto e iniziò a piangere. Gli era venuto in mente l'unico, piccolo, breve momento in cui vide uno sguardo di disappunto comparirle sul viso nella settimana d'oro che avevano passato a Lecce. Quando lei si accorse che si stava facendo la barba nel bagno piccolo.
"Perché stai usando quel rasoio? Era di Luigi. Saverio lo conserva come una reliquia."
Non aveva il suo, anche perché non aveva programmato di rimanere a casa di lei per la notte e stava usando un rasoio trovato girando nel bagno piccolo, mentre lei faceva la doccia in quello grande.
Non era stato un vero e proprio bisticcio, ma il viso imbronciato e dispiaciuto di lei che ancora oggi ricorda perfettamente, lo commosse immediatamente. Posò il rasoio e corse da lei. L'abbracciò teneramente chiedendole scusa, anche se non capiva bene di cosa, la baciò e mettendole le mani dentro l'accappatoio, questa volta non ebbe bisogno di un aiuto chimico per rendere concreto il suo desiderio di amarla.
Prese i fogli, si alzò, apri la cassaforte dove teneva le cose di valore e li mise lì. Sarebbero stato un tesoro solo suo. Più tardi avrebbe scritto un raccontino di maniera sull'Italia e l'avrebbe firmato con il nome d'arte. Questo era il suo più bel ricordo e, se l'avesse reso pubblico, l'avrebbe perso. Non intendeva dividerlo con nessuno.
Saverio
Pigiò il tasto e la macchina partì. In pochi secondi, la busta era scomparsa nella fenditura ridotta in mille striscioline piccolissime.
Aveva distrutto il risultato del test, senza leggerlo.
Chi se ne fotte, pensò.
E finalmente tornò a sorridere.
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