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Il primo respiro del mattino

Giovane e ingenuo, affidai le mie speranze e la mia onestà di inesperto guerriero al nostro generale, soldato aduso a guerre e saccheggi, divoratore di giovani destini, oppio dei nostri cuori, mia ed altrui dannazione.
Io, Marco Lucio Decimo, maledico quell'uomo e tutta la sua stirpe, che possa girare in eterno intorno ai campi elisi senza che questi accolgano mai la sua ombra tra le loro mura.
Affamato di gloria e di ricchezza, lo avrei seguito in capo al mondo, anche oltre se mi avesse ordinato di farlo, sarei salpato solo con lui in cerca di Atlantide, superando le colonne di Eracle, pronto a combattere contro tutti i mostri che vivono nel mare Oceano.
Arrivammo alle porte della città mentre stava albeggiando, il primo respiro del mattino, come il generale chiamava quelle ore.
Arringò subito la truppa, per preparare gli uomini all'imminente battaglia.
- L'acre sapore della guerra, l'aria bollente dei bronzi infuocati, vi riempirà i
polmoni e vi condurrà alla vittoria, come sempre è stato e come sempre sarà.
Siete cento ma è come se foste diecimila. Guardate quegli uomini, sugli
spalti; ormai avranno saputo chi siete, e vi dico che essi stanno tremando.
Come tremano tutti coloro che incrociano le vostre strade. Voi siete i cento
lupi di Soros! -
Passò in rassegna le nostre file, chiedendo a ognuno di noi se era pronto a sacrificarsi per la vittoria, ottenendo sempre la medesima risposta - Per Soros e per Roma! -.
In breve tempo gli arieti e le testuggini riuscirono a praticare una vasta breccia alla base delle mura, e all'improvviso un profondo silenzio scese sulla città e sull'accampamento. Un altissimo grido si levò allora dalle nostre gole e ci mettemmo in marcia per raggiungere il varco, proteggendoci con gli scudi contro i pochi dardi lanciati dal nemico asserragliato sugli spalti e soggetto al tiro micidiale delle catapulte, delle baliste e degli scorpioni dei nostri artiglieri.
Non trovammo guerrieri dentro la città, solo donne, vecchi e bambini. Gli ultimi uomini stavano morendo sopra quella cinta muraria che avrebbe dovuto proteggerli, e che invece stava diventando la loro tomba. Entrai come una bestia affamata, ma di fronte ai quei poveri esseri, che mesi di fame e di privazioni avevano reso talmente deboli da non riuscire a rimanere in piedi, restai immobile a guardare i miei compagni farne strazio. Quando uscii invocai i lares familiares affinché vegliassero su di me, e mi inginocchiai a pregare. I miei compagni si facevano beffe della mia persona con motteggi e improperi, poi d'un tratto fecero silenzio. Il mio nome pronunciato ad alta voce m'informò che egli era lì, a pretendere il tributo di sangue che ognuno di noi sapeva di dover versare, se si macchiava della peggiore colpa che si potesse ascrivere ad un soldato, la codardia. Soros reclamava la mia vita. Alzai la testa e non vidi un uomo, ma uno dei mostri generato dalle remote profondità del Tartaro oscuro.

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1 commenti:

  • Fernando Piazza il 24/12/2011 10:53
    Perfetta ricostruzione storica di uno scorcio di vita militare in epoca imperiale, durante la sua fase di espansione e di conquista. Ottime le descrizioni dei legionari romani e del loro ambiente (sembra di essere sul campo di battaglia) ma soprattutto l'analisi dei sentimenti del soldato, disilluso e tradito, che prende coscienza dell'inganno, celato dietro una facile conquista a danno di vittime inermi e innocenti. Davvero una pagina di pregevole fattura, apprezzatissima e letta con grande piacere.

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