Corse a perdifiato lungo il viale, facendosi strada tra la folla, oltrepassando con prepotenza la routine della città.
Mancavano dieci minuti al colloquio.
Il posto non era più così lontano, ma arrivare con anticipo è sempre un buon segnale.
Almeno così pensava Carlo.
Dopo tanti curricula spediti, finalmente una risposta celere e sincera.
Eccolo, il semaforo.
Oramai era arrivato: dietro l'angolo il portone, poi secondo piano, terza porta sulla destra.
Le descrizioni di Angela, l'amica del cuore, erano sempre impeccabili.
La corsa folle di Carlo venne interrotta dal rosso del semaforo.
Riprese fiato.
Guardò l'ora. Si sistemò i capelli, ancorò con maggior sicurezza la borsa alla spalla sinistra e si perse ad osservare intorno a sé in attesa di poter attraversare.
Prese una mentina, la scartò, cercò un cestino per gettarne la carta. Ce n'era uno proprio sotto il semaforo.
Fu allora che la vide, fredda e silenziosa, quella piccola bottiglietta d'acqua blu.
Tutto si fece rapido, insolente. I pensieri si accavallarono senza possibilità di dar loro freno.
Carlo era di nuovo a quel pomeriggio d'inverno.
Avvertì la paura, le parole violente di lui, il fiato corto.
La bottiglietta blu lo aveva reso inerme nel corpo e nell'anima: immobile di fronte all'inevitabilità del suo ricordo.
Il litigio, poi quel gesto indelebile nella sua mente: la bottiglietta d'acqua blu scaraventata sul volto di Giorgio, una bottiglietta come quella nel cestino, anzi, proprio quella, sembrò pensare Carlo.
Il sangue dal naso, lo sguardo incredulo, le lacrime, infine l'addio.
Il semaforo divenne verde, Carlo voltò le spalle al suo futuro e tornò lentamente verso casa.