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L'androide
All'esterno della porta blindata il sensore di movimento fece scattare la telecamera di sorveglianza.
Un pannello annegato nella parete dell'ingresso mostrava il corpo di una donna accasciato davanti alla porta. Era coperta di sudore ed era scalza.
Aumentò il guadagno del microfono e percepii un flebile "Aiutatemi... vi prego...", poi la vide perdere i sensi, o almeno così gli sembrò.
Azionò il menù di controllo e fece fare alla telecamera un'ampia panoramica di centottanta gradi. Apparentemente nessun pericolo, i lunghi corridoi che conducevano al suo appartamento sembravano sgombri, illuminati a giorno come al solito.
"Nessun pericolo" ripeté la sua mente.
Non era soddisfatto, lui i pericoli se li sentiva sulla pelle e in quel momento qualcosa di inesplicabile lo metteva in allarme.
Lei era immobile, decise di non ascoltare il suo istinto per una volta e fece scattare l'apertura della porta.
Dodici pistoni di acciaio rientrarono docilmente all'interno della porta e un servomotore la sospinse verso l'interno del suo appartamento. Lei crollò sul fianco, non sembrava davvero priva di sensi ma solo senza forze, senza difese.
Si fletté sulle gambe e senza sforzo la sollevò, le guardò il viso dolce e gli occhi grandi, si sentii per un attimo felice come un bambino con quell'angelo fra le braccia caduto dal cielo, anzi, salito al cielo del cinquantesimo piano.
La adagiò delicatamente sul divano, le mise un cuscino sotto la testa e con un tovagliolo di carta inumidito le rinfrescò la fronte e le guance. Non sembrava aver riportato contusioni né lacerazioni almeno sul volto, era solo inzuppata di sudore con gli abiti sporchi di chi era caduto diverse volte.
Lentamente lei riprese le forze, si portò una mano alla spalla destra e fece una smorfia di dolore, poi aprì gli occhi e lo vide.
Lui si era allontanato dal divano, le voltava le spalle, stava riflettendo su cosa fare mentre attendeva il suo risveglio.
Venne raggiunto da un "Grazie!" Per un attimo non capì, arrivò quasi ovattato alla sua mente riflesso dalle pareti. Si infilò nelle pieghe del suo cervello, come qualcosa di inaspettato. Si girò di scatto e le fu vicino.
"Finalmente come si sente?"
"Cosa è successo?" ―la incalzò.
"Grazie per avermi fatto entrare... quell'uomo orribile... mio dio!... Se non fosse stato per lei!"
"Qui è al sicuro, nessuno potrà farle del male ora, ma cosa è successo esattamente?"
Lei prese fiato e fece un sospiro di sollievo."Avevo appena parcheggiato la mia auto, mi ero messa la borsetta a tracolla come facevo sempre, tenevo in mano le chiavi del mio appartamento, quando...".
"Quando sentii dei rumori alle mie spalle, dei passi... sempre più rapidi, sempre più incalzanti".
"Mi voltai e lo vidi, un uomo enorme! Con il volto butterato... o devastato dalle bruciature... non riuscii a vedere bene".
"Ma era armato?" ―chiese lui
"No, non mi sembrava ma veniva verso di me, ebbi l'impressione che trascinasse una gamba...".
" Per un attimo che mi sembrò un'eternità rimasi impietrita, lui guadagnava terreno... sempre più vicino, mi guardava con degli occhi da pazzo, mi sentivo paralizzata".
"Poi, presi coraggio e cominciai a correre... non capivo cosa stessi facendo, cercavo solo una via di fuga, mi accorsi che nella mia corsa, avevo oltrepassato l'ingresso dell'ascensore che mi avrebbe condotto nel mio appartamento".
"Nella corsa devo aver perso le scarpe; un tacco si era rotto, accidenti ci tenevo a quelle scarpe! Finalmente vidi un ascensore con le porte spalancate, mi sentii quasi salva!".
"Mi precipitai all'interno e premetti ripetutamente il numero 50."
"Ero esausta, mi sedetti sul pavimento della cabina e cercai di controllare la respirazione. Contavo mentalmente un piano dopo l'altro... 21... 22... 23."
"Al cinquantesimo piano nella foga di uscire, sbattei la spalla contro una delle porte scorrevoli e poi bussai alla sua porta, la prima che trovai all'uscita dell'ascensore. Pensavo non ci fosse nessuno che potesse aiutarmi"
"Ora si calmi, questa casa è sicura, sono un progettista di sistemi di sicurezza, nemmeno le forze speciali entrerebbero tanto facilmente qui dentro!".
Lei sembrò rassicurata dalle sue parole, si passò una mano sulla fronte e spostò un po' la frangetta inzuppata dal sudore. Lo guardò negli occhi con uno sguardo ancora impaurito ma accennò un sorriso di riconoscenza.
Lui andò in cucina e tornò con una tazza fumante di caffè. "Tenga, spero non sia troppo zuccherato" ― Disse.
Grossi fiocchi di neve stavano ricoprendo la città; volteggiavano come piccoli aeroplani di carta, posandosi dolcemente sul tumultuoso grigiore sottostante.
Lei teneva le sue piccole mani strette attorno a quella grossa tazza di caffè e si faceva accarezzare le palpebre da quel vapore caldo e profumato.
Lui si sedette sul tappeto davanti al divano dove lei si era accovacciata e la guardò mentre sorseggiava il caffè.
"Va meglio?" ―Disse
"Sì, molto meglio ora, grazie a lei!"
Pensò al battito d'ala di una farfalla che avrebbe potuto scatenare una tempesta dall'altra parte del pianeta. Pensò alla casualità, una serie di eventi che non si potevano prevedere e che rendevano la vita un infinito labirinto, dove potersi incontrare o perdersi.
Le prese una mano, delicatamente, la chiuse fra le sue come le valve di una conchiglia custodiscono la parte più delicata dell'organismo.
Lei lo guardò in un modo strano, sembrava non capire quel gesto, quasi che la dolcezza o la tenerezza non facesse parte della propria memoria. Sembrava che assaporasse per la prima volta quella sensazione di empatia, di vicinanza.
"Come si chiama?" Le chiese.
"Eva" Sussurrò lei.
"Un nome primigenio!" Disse lui con aria sognante.
"Era il nome di mia madre, morì dandomi alla luce e, mio padre volle chiamarmi come lei".
"Mi dispiace" Rispose lui.
"Non potevo immaginare... Così giovane..."
"Non importa, ho solo visto alcune sfuocate fotografie di lei, non è fra i miei ricordi, non potrei mai soffrire per questo, chi è senza ricordi può solo aspettare il futuro".
"Io mi chiamo Ariel, ora, mi dica cose vuole che faccia per lei".
"Ariel? Non era il nome di un angelo?".
"Sì, nella religione ebraica Ariel è il nome di un angelo e a volte anche di un demone".
"Un angelo... un demone... " Ripeté Eva guardando un punto indefinito della stanza, quasi ipnotizzata da quegli affascinanti estremi, figli dello stesso padre.
"É solo un nome, Eva! Non si preoccupi, non sono né l'uno né l'altro."
"Magari esistessero gli angeli... o i demoni, avremmo qualche speranza, le pare?"
Eva lo guardò sorridendo, così come si può guardare un bambino che ci ha appena rivelato un piccolo segreto, un'infantile speranza.
La neve danzava silenziosa oltre la finestra, illuminata solo per un attimo dalle luci del soggiorno, come tante stelle cadenti rassegnate al proprio destino.
"Posso farle una domanda personale Eva?"
"Certo che può, può chiedermi quello che vuole Ariel!"
Eva era disposta a rispondere a qualunque domanda le avesse posto, anche la più personale, sentiva di doverglielo, forse era ancora viva grazie a lui.
"Perché ha detto chi è senza memoria può solo aspettare il futuro?"
Per un attimo sembrò che Eva stesse cercando una risposta dentro di sé, rovistava dentro la memoria, come fosse un vecchio baule pieno di oggetti riposti alla rinfusa.
Chiuse gli occhi per un istante sentendo il dolore di quel realtà che si materializzava nella sua mente.
"Perché è così, Ariel!"
"I miei ricordi diventano sempre più sfumati, a volte faccio davvero fatica a ricordarmi del passato".
Ariel l'ascoltava con attenzione mentre i suoi occhi si facevano accarezzare da quella creatura fragile, senza memoria, che aspettava il futuro.
Non voleva domandarle più nulla, in quel momento magico voleva soltanto osservarla, mentre parlava di sé. Avrebbe voluto fermare il tempo, i fiocchi di neve... le auto, il mondo...
Alla fine prese coraggio, disposto ad accettare una risposta che non gli sarebbe piaciuta e che avrebbe rimesso in moto gli eventi, altri bivi, altre scelte.
"Vuole che l'accompagni a casa Eva?"
La risposta arrivò subito, come un lampo che illumina il cielo quando gli occhi si sono finalmente abituati all'oscurità.
"Sì Ariel, forse è meglio, le ho già dato troppo disturbo è meglio che vada"
Capì che era inutile replicare, Eva aveva già deciso.
"Aspetti, le trovo un paio di scarpe, non può uscire in queste condizioni!"
Le portò un vecchio paio di scarpe da tennis che erano appartenute alla sua ex moglie.
Eva se le calzò e le guardò divertita, muoveva le dita dei piedi all'interno di quelle scarpe troppo grandi per lei, senza toccarne le punte,.
L'accompagnò fino alla sua abitazione, scesero fino al diciassettesimo piano e si fermarono davanti alla soglia.
"Grazie ancora Ariel, lei è davvero un angelo, uno di questi giorni le restituirò le scarpe!"
"Non si preoccupi Eva, sono cose di poco conto, se avesse bisogno di me... ora sa dove trovarmi!".
Si abbandonò di peso sul divano, aveva smesso di nevicare, dalla finestra si scorgeva in lontananza solo un lungo serpente multicolore che arrancava lentamente in mezzo ad una coltre bianca che pareva infinita. Un'illusione resa ancora più reale dal colore del cielo che non si distingueva più da tutto il resto. Migliaia di punti luminosi venivano inghiottiti senza sosta da un'orizzonte inesistente.
Sul tavolino del suo soggiorno vide un biglietto da visita, era parzialmente sovrapposto da alcune riviste, vi era scritto: "Human Android Reaserch " e un numero di telefono con un interno.
Eva lavorava in quell'importante centro di ricerca, finanziato dalle più grandi industrie di robotica di cui aveva sentito spesso parlare.
Ariel non le aveva chiesto un'infinità di cose, si era solo preoccupato del suo stato in quel momento di paura. L'aveva solo protetta, era la cosa più importante e come compenso si era accontentato di osservarla, mentre svaniva la paura e la sua gratitudine le illuminava quei grandi occhi.
Prese in mano il biglietto da visita, se lo rigirò fra le dita e per caso lo voltò sul dorso e lesse "It's hard to say goodbye".
Si domandò il perché di quel messaggio, un dolce accorato messaggio. Si ricordò che Eva si era assentata solo un attimo per andare a sciacquarsi il viso, probabilmente in quel momento aveva scritto sul retro del biglietto da visita quella strana frase.
A chi o a cosa doveva dire addio? Pensò all'uomo col volto butterato che la inseguiva nel parcheggio, alla sua memoria che svaniva lentamente ma non riusciva a trovare una relazione convincente che giustificasse quella frase scritta in fretta. Non sapeva molte cose di quella ragazza e questa era l'unica certezza.
Ariel si sedette davanti al computer e disse:
"Mater!, trovami tutte le informazioni sulla Human Android Reaserch"
Mater era l'espressione di una avanzata intelligenza artificiale connessa con la rete mondiale e con gli avamposti di Marte, Luna e Europa. Si esprimeva con una suadente voce femminile, ma a questo riguardo c'era lo zampino di Ariel, l'aveva voluta così, una calda voce femminile, spesso ironica e arguta, per quanto potesse essere arguta un'intelligenza sintetica.
"Perché non funzionano i miei sensori ambientali Ariel?"
"Mi arrivavano solo le immagini ma nessuna traccia audio ne elementi chimici dell'ambiente"
"Solo in questa stanza tutto sembra funzionare perfettamente"
Un guasto aveva privato Mater dell'apporto di centinaia di sensori disseminati nelle pareti dell'appartamento, solo lo studio di Ariel godeva di una ridondanza delle fonti di energia che gli permettevano di essere sempre collegato con quella follia multi sensoriale che era il mondo in cui viveva.
"Non so Mater, devo ancora controllare, dimmi cosa hai trovato ora."
Mater cominciò a snocciolare dati, statistiche, diagrammi, quotazioni in borsa. Spuntarono diversi finanziatori sparsi nei quattro continenti. Il pentagono, la General Motors, le più grandi industrie belliche e un'infinità di facoltosi privati. Tutti sembravano aver investito ingenti risorse nella "Human Android Reaserch".
" Ariel, Ho controllato i dati somatici di quella ragazza estrapolandoli dalle riprese delle telecamere, li ho confrontati con l'elenco pubblico dei dipendenti della Human Android Reaserch ma, fra i loro dipendenti non c'è nessuna Eva Marìn."
"Potrebbe essere un consulente esterno" ―Disse Mater.
"Dall'analisi dei database mondiali, dai congressi e dalle pubblicazioni reperibili sembra che quell'istituto di ricerca sia in procinto di presentare importanti novità nel campo dell'intelligenza artificiale. Novità che avranno un epocale ricaduta sull'industria di tutto il pianeta e sulla vostra vita ma, circa il "cosa" vige il più assoluto riserbo".
"Se vuoi posso tentare di forzare i loro sistemi di sicurezza ma, credo che le informazioni più riservate siano molto ben protette, tuttavia posso avvalermi della potenza di elaborazione di milioni di computer con i quali posso interfacciarmi in qualunque momento, chissà potrei trovare un varco... vuoi che provi, Ariel?"
"No Mater, non ha importanza, volevo solo capire se quella ragazza mi avesse mentito".
"Carina quella ragazza Ariel!"
"Se fossi un umano potrei esserne gelosa!"
"I suoi lineamenti rientrano nella proporzione aurea "φ 1. 618 " in maniera perfetta che coincidenza vero Ariel?"
"Davvero?, un viso molto gradevole, sopratutto gli occhi, ma la natura è cieca Mater e... sopratutto ha molto tempo davanti a sé."
"Cos'è che non ti convince di quella ragazza Ariel?"
"Mi ha scritto sul retro del biglietto da visita una frase..."
"Puoi porre il biglietto da visita davanti alla mia telecamera?"
Mater acquisì la scritta e disse:
" La scrittura pende a destra di diciotto gradi, troppi anche tenendo conto della fretta, sembra quasi che lo abbia scritto al buio, o che non abbia dimestichezza con la scrittura, quanto al contenuto, è vero, sembrerebbe una richiesta d'aiuto".
"Questo non l'avevo notato, mi angosciava un po' quell'espressione, quasi un grido di dolore... rassegnato."
"É stata un'imprudenza farla entrare, te ne sei reso conto Ariel?"
"Sopratutto tenendo conto del black- out dei miei sensori, cosa spingerà voi umani ad essere così irrazionali non lo capirò mai!".
"L'emisfero di destra Mater! dovresti saperlo, quello che manca a te... purtroppo!".
"Ora vado a dormire Mater, vedi se riesci a scoprire la causa del guasto, altrimenti domani ci darò un'occhiata io".
Il monitor di Mater si oscurò per in istante, poi comparse la scritta "listening...".
Si abbassarono le luci dell'appartamento e Ariel si sdraiò sul divano, sprofondando in un mare di incubi.
La mattina seguente venne svegliato dall'insistente voce di Mater.
"Ariel, mi dispiace turbare il tuo sonno ma ho una registrazione che dovresti vedere, svegliati per favore!".
"Ariel... svegliati per favore è importante!"
Mater l'avrebbe presa a calci quella mattina, aveva dormito malissimo. Aveva sognato Eva mentre veniva schiacciata da un compattatore, mentre lui tentava invano di fermare quel diabolico marchingegno. Ma era giusto così, l'aveva istruita lui in quel modo, sempre vigile, sempre a protezione della sua incolumità e della sua tana.
Si sedette davanti al computer e vide la registrazione di cui parlava Mater. Era stata registrata un ora prima del suo risveglio, erano già le 10:05 non pensava di aver dormito tanto.
Sul monitor comparve la figura di un uomo distinto, sulla sessantina, con la pelle abbronzata e i capelli bianchi che si presentò come il responsabile della divisione ricerche della "Human Android Reaserch". Disse semplicemente senza entrare nei dettagli che avevano bisogno della sua esperienza nel campo della sicurezza informatica, per una recente e deplorevole fuga di notizie dal loro centro ricerche, della quale non riuscivano a venirne a capo. Sarebbe stato ricompensato lautamente, anzi come segno di fiducia nelle sue capacità, avevano già provveduto a fare un versamento a suo nome di 50000 crediti. La voce nel monitor aggiunse che il suo nominativo gli era stato suggerito da una loro dipendente che era stata favorevolmente impressionata dalle sue capacità.
Pensare a Eva fu immediato, Eva aveva mentito, almeno a loro, in realtà non sapeva nulla del suo lavoro, forse l'aveva fatto per sdebitarsi. ―Pensò
"Ci pensi Mater 50000 crediti, non li guadagno nemmeno in un anno!"
"Conti di andarci Ariel?"
"Sì, voglio rivederla!"
La voce di Mater assunse un tono di implorante pacatezza, percepiva un potenziale pericolo, anche se solo in una forma statistica, ma il suo compito era quello, proteggerlo.
" Ariel ascoltami... ci sono troppe coincidenze, credo sia imprudente da parte tua andare in quel luogo, se proprio vogliono la tua collaborazione si potrebbero analizzare i loro sistemi attraverso di me, potresti lavorare da casa, cosa cambierebbe?"
"Voglio vederla, Mater Apri la porta ora!"
"Prevalenza dell'emisfero di destra... vero Ariel?"
"Al diavolo anche tu!" ―Pensò Ariel mentre percorreva il corridoio che lo separava dall'ascensore.
La sede della "Human Android Reaserch" aveva il suo centro operativo sulla sommità di un grattacielo a forma di piramide che dominava la città dall'alto dei suoi duecento piani.
Torreggiava su tutto, come la punta dello scibile, inarrivabile ai comuni mortali.
Ci vollero due minuti prima che la cabina dell'ascensore raggiungesse la sommità della piramide. Una vista che toglieva il fiato, quasi novecento metri dal suolo, tutto era sommerso da una nebbia giallognola, bucata qua e là solo dalle costruzioni più alte.
Forse aveva ragione Mater, cominciava a sentirsi a disagio in quel posto, " sul tetto del mondo" pensò mentre si avviava verso la reception. Una segretaria dagli occhi a mandorla lo accolse con un sorriso, la scritta HAR campeggiava sul taschino della sua giacca, sopra lo sbuffo di un fazzolettino dello stesso colore.
"Sono il dottor Ariel, ho un appuntamento con il responsabile dell'ufficio ricerche"
" Prego dottor Ariel da questa parte" ―Disse la segretaria indicandogli l'accesso ad una porta finemente cesellata.
Entrò in una grande sala, una vetrata occupava completamente la parete che aveva di fronte e davanti a essa un tavolo a forma di ellisse. Percepì la presenza di due sagome sedute dietro a quel tavolo, la luce che attraversava la vetrata era troppo intensa, non riusciva a distinguere la fisionomia di quelle due persone che rimanevano in un cono d'ombra. Rimase in piedi in mezzo alla stanza in attesa che succedesse qualcosa. Ebbe l'impressione che stesse calando il sole velocemente, sorrise al pensiero che avessero un controllo anche su quella stella. In realtà la vetrata stava ricoprendosi di un filtro grigio degradante e nel contempo dal tavolo si irraggiava una specie di luminescenza azzurra. Un'accoglienza teatrale pensò, volevano impressionarlo e non capiva il perché ma, quella era solo la punta dell'iceberg.
I volti di quelle due sagome illuminati tenuamente da quella luce azzurrognola sembravano irreali quasi fossero degli ologrammi. Riconobbe l'uomo del messaggio che Mater gli aveva mostrato al suo risveglio e alla sua sinistra Eva che lo guardava con una strana fissità.
" Buongiorno dottor Ariel, la prego si accomodi"
La voce di quell'uomo era cordiale, suadente, senza nessun accento in particolare, si percepiva che era abituato a parlare con le persone, anche se da una posizione dominante.
"Lei si starà ponendo mille domante in questo momento, domande alle quali daremo una risposta".
"Abbiamo già disposto un accredito di 50000 crediti a suo favore, ma credo che lei abbia già controllato!"
"Sì certo, ma non credo che voi abbiate bisogno di un esperto in sicurezza informatica non è così?"―Rispose Ariel con un tono un po' infastidito
"Dottor Ariel, non faccia così! Capisco il suo risentimento, lei non deve fare nulla per guadagnarsi quella somma... l'ha già fatto!"
"Lasci che le spieghi dottor Ariel, le voglio raccontare una storia che in parte probabilmente conoscerà già: Il tempo in cui venne superato il test di Alan Turing che lei ricorderà sicuramente, ormai appartiene al passato, una pietra miliare permessa dall'aumento vertiginoso della capacità di calcolo, dalla formalizzazione di algoritmi semantici e sopratutto dalla loro corretta contestualizzazione ma, ancora non era intelligenza".
"Sono trascorsi quasi duecento anni da allora e le ricerche non si sono mai fermate, ricorderà, per averlo letto sui libri di storia, l'entusiasmo per i primi esperimenti con degli androidi biologici, sembrava la strada giusta e molti lo credono tutt'ora, ma ponevano enormi problemi di ordine etico, in altre parole erano davvero indistinguibili dalla materia vivente, ma la cosa più grave fu che svilupparono una sorta di ribellione verso il loro creatore, nonostante limitassimo la loro esperienza "terrena" un anelito di insopprimibile libertà, prima o dopo, sbocciava spontaneamente, corrompendoli."
"Abbandonata quella strada si tentò un approccio che utilizzava solo algoritmi e una spaventosa potenza di calcolo ma ben presto, ci si accorse che non si andava oltre il sistema esperto, per quanto umanizzato da varie interfacce, certo meno efficiente di quelli che abbiamo attualmente nelle nostre abitazioni, ma pur sempre dei "Servant".
"Poi venne la svolta, avevamo bisogno di unità flessibili, che imparassero dall'esperienza, molto più resistenti degli esseri umani, con la capacità del cervello umano di creare nuove connessioni, spontaneamente, stiamo parlando di trilioni di sinapsi sintetiche. In altre parole, queste unità avrebbero dovuto scrivere la propria storia, lungo il cammino della loro esistenza."
"Naturalmente senza quella parte istintuale incontrollabile manifestata dagli androidi organici, così una volta mappato tutto il cervello umano, compreso nel dettaglio come si organizzasse il pensiero, la memoria e le nuove esperienze, fu riprodotto grazie all'attuale tecnologia che riesce a lavorare alla scala di pochi atomi."
"La parte meno difficile fu realizzare un corpo indistinguibile esternamente da quello umano. Dopo vari tentativi si imboccò la strada più semplice e promettente; replicare le funzionalità muscolo-scheletriche degli esseri umani e così il senso dell'equilibrio, la flessibilità, l'adattabilità e tutto ciò che la natura aveva organizzato in milioni di anni con miliardi di prototipi... era tutto davanti ai nostri occhi, la chiave di volta dell'intero problema fu la comprensione di tutti questi meccanismi, e la loro replicazione in maniera più efficiente"
"Noi per quanto complessi siamo organismi reali, determinati, non c'è nulla di magico, di teoricamente inconoscibile e fu questa considerazione di principio che permise i progressi di cui le sto parlando."
Proseguì con trasporto, infervorato dai progressi della conoscenza che via via elencava sinteticamente in quella fantasmagorica carrellata.
"Sa quale sarà il prossimo passo dottor Ariel? Il backup del nostro cervello, intendo di tutto il suo contenuto! Pensieri, emozioni, memoria, intelligenza che potranno continuare a vivere, incorruttibili, eterni, da collocare in un un nuovo corpo, sintetico o organico, questo ha poca importanza! Senza doverne pagare lo scotto della degenerazione dovuto dalla sua matrice biologica, dalla quale dovremo distaccarci!
Una copia della nostra mente eseguita nel momento migliore della nostra esistenza, diciamo verso i 25-30 anni. Replicheremo fedelmente la complessità biologica del nostro cervello e dei suoi bisogni collocandola in una dimora più degna, non escludendo necessariamente le nostre attuali fattezze. Saranno corpi che potranno resistere alle tremende radiazioni che ci aspetteranno durante il nostro esodo e le nostre esplorazioni, potremo metterci in stand-by per non annoiarci o impazzire e attendere la fine della nostra crociera, il tutto con esigui costi energetici. La natura spontaneamente ha compiuto un meraviglioso lavoro biologico, ora, spetta a noi compiere il balzo successivo senza andare per ventativi, replicando quanto di meglio è stato fatto fin ora.
"Questa sarà la più possente evoluzione del genere umano, sarà davvero l'unica possibilità che avremo per fuggire dal sistema solare... prima che si distrugga. Fra circa 500 milioni di anni le condizioni sul nostro pianeta non saranno più compatibili con la nostra sopravvivenza, il sole raffreddandosi lentamente ingloberà tutto il sistema solare... che ne sarà di noi? Ci ha mai pensato?"
"Come pensa possa essere possibile l'espansione del genere umano nell'universo, le distanze in gioco sono inimmaginabili, migliaia di generazioni di esseri umani che invecchiano e muoiono a bordo di gigantesche astronavi nella speranza di una nuova terra promessa?"
"No! Dottor Ariel questa sarà l'unica strada percorribile se non vorremo che la nostra esperienza si concluda qui. Miseramente estinti su di un piccolo pianeta, orbitante attorno ad una stella di medie dimensioni, all'estremo di un braccio di una delle tante galassie a spirale dell'universo... non possiamo permetterlo dottor Ariel noi dobbiamo sopravvivere a tutti i costi!"
Ariel ascoltava con interesse ma non riusciva a capire dove quell'uomo apparentemente sicuro di sé volesse arrivare. Le sue prospettive sembravano esageratamente ottimistiche, non solo per ciò che riguardava il futuro ma anche per il presente.
Certo era al corrente dei grandi progressi compiuti dai sistemi esperti, e in molti campi ormai non si sarebbe potuto più fare a meno dell'intelligenza artificiale. Mater, ne era un esempio, si poteva trascorrere un'intera serata a discutere con lei e in maniera tutt'altro che superficiale. Era dotata di sofisticati algoritmi emozionali, attraverso i suoi sensori vedeva le espressioni del volto, la dilatazione delle pupille, la frequenza cardiaca, valutava la quantità di anidride carbonica che circondava il corpo e ne deduceva la sudorazione e quindi, uno stato emozionale o una sofferenza o semplicemente una relazione con la temperatura esterna o interna e conseguentemente si adattava, proponendo soluzioni, facendo osservazioni sempre più precise e sensate. Confrontava situazioni identiche o assimili labili, non solo nel suo personale bagaglio di informazioni, ma attingendo la conoscenza codificata posta in comune da tutta la rete mondiale che condivideva quella base di conoscenza. Ma quello a cui faceva riferimento quel canuto scienziato, era ben diverso!
"Vedo dottor Ariel, un'espressione di incredulità sul suo volto! Lei non crede alle mie parole... creda almeno ai suoi occhi!"
"Ora le mostrerò un prototipo di questi nuovi modelli"
Ariel istintivamente si girò verso la porta in attesa che entrasse quel prodigio.
Arrivò come una frustata in pieno volto e fece un male tremendo e inaspettato, si sentì ronzare le orecchie, pensò di essere stato risucchiato da un terribile incubo ma... dovette arrendersi, quella era la realtà, le parole che seguirono lo lasciarono di sasso.
" Dove sta guardando dottor Ariel? Le sue risposte sono davanti a lei, Eva! è il nostro prototipo!"
"Non era possibile!" ― Pensò
"Aveva tenuto la mano di Eva fra le sue, ne aveva sentito il calore, aveva visto la paura nei suoi occhi, la sua riconoscenza".
"Ora le devo delle ulteriori spiegazioni dottor Ariel"
"Lei è stato inconsapevolmente il nostro primo tester, avevamo bisogno di un soggetto ignaro alle prese con una situazione reale, in cui fossero mescolati sapientemente paura, sospetto, istinto di protezione, generosità, tenerezza, fascinazione"
"Un uomo alle prese con una situazione di pericolo, potenzialmente anche per se stesso, che avrebbe tenuto alte le difese, e ciò ci avrebbe permesso di valutare la bontà della nostra simulazione"
Ariel ascoltava in silenzio, non sapeva cosa dire, la sua mente esigeva altre prove, che non tardarono ad arrivare.
"Il test è andato oltre le nostre più inconfessabili speranze, oggi per me è un giorno di grande felicità dottor Ariel"
In prossimità della parete alla sua sinistra Ariel vide materializzarsi l'ologramma dell'interno del suo appartamento, poi vide se stesso, intento ad osservare il volto di Eva, con in mano una tazza di caffè fumante e dopo un po' mentre teneva la mano di Eva fra le sue e quando le porgeva un vecchio paio di scarpe da tennis.
"Guardi dottor Ariel, queste immagini sono sufficientemente convincenti? Queste sono riprese registrate dalla memoria di Eva, all'interno della sua abitazione.
"Fu tutta una simulazione! L'aggressione, la contusione alla spalla, il biglietto da visita, l'unica cosa reale fu il black-out dei suoi sensori, che noi abbiamo accecato temporaneamente, altrimenti il suo sistema esperto, non avrebbe permesso a Eva di entrare, sarebbe stata riconosciuta come un androide, un veloce body-scan sul corpo di Eva avrebbe fatto crollare tutta la nostra costruzione."
"Noi naturalmente le dobbiamo delle scuse, per aver invaso il suo territorio, per aver violato la sua privacy ma, avevamo tutti i permessi del governo per poterlo fare."
"Capirà benissimo quali ingenti somme ci sono in gioco, qui si parla di interessi sovranazionali e forse anche del futuro dell'umanità."
Proseguì, mentre Ariel seguiva il filo dei suoi pensieri, domandandosi come fosse stato possibile non avere avuto il benché minimo dubbio, tutto sembrava così reale...
"Tutto è andato per il meglio, solo qualche piccolo e insignificante malfunzionamento del nostro prototipo, un piccolo buco nella registrazione degli eventi di circa dieci secondi, all'interno della sua abitazione, ma avremo tempo per le verifiche e ulteriori perfezionamenti."
"E fra non molto potremmo immetterlo sul mercato con grande soddisfazione, non solo economica".
Ariel si sentiva uno straccio ma il suo emisfero di destra gli stava mandando dei messaggi non solo di comprensibile disagio, c'era dell'altro... Una specie di oscura speranza che si stava concretizzando, che stava mettendo radici ma che non era ancora emersa alla luce della ragione.
Eva era immobile come quando era entrato in quella stanza, con lo sguardo fisso nello stesso punto da circa trenta minuti.
L'androide dunque, non era ancora il backup di un cervello reale, appartenuto o appartenente ad un individuo biologico ma la replica impersonale della struttura di un cervello umano generico, per l'appunto un prototipo, le cui capacità di apprendimento non erano ancora state sondate approfonditamente.
Il responsabile dell'ufficio ricerche aveva l'aria soddisfatta, osservava Ariel con una punta di paterna superiorità, lui sapeva ciò che Ariel ignorava fino a quel momento.
"Ora dottor Ariel, Eva è disattivata o più precisamente lo sono le sue porte con il mondo esterno, non sta sentendo quello di cui stiamo parlando, nessuno stimolo esterno al suo cervello gli invia informazioni, solo una piccolissima parte di energia alimenta la sua mente che si trova in uno stato di sintetico coma controllato".
Vi fu un momento di pausa, per un attimo l'anziano scienziato raggiunse immobilità dell'androide, si era alzato in piedi e appoggiava le mani sul cristallo, guardava un punto senza confini sulla superficie del tavolo. Ariel osservandoli provò la sensazione che fra i due non vi fosse differenza, forse erano entrambi delle macchine, lo eravamo tutti, ma anche quell'illusione fu spezzata da un gesto repentino e inaspettato. Quell'uomo afferrò un tagliacarte affilato che aveva davanti a sé e lo conficcò nelle guance di Eva, con forza, trapassandole entrambe e lo lasciò lì infilato in profondità fino all'impugnatura.
Fu una scena teatrale e raccapricciante allo stesso tempo, Ariel si sarebbe risparmiato volentieri quella visione, che bisogno c'era di tutto questo? Si domandò.
La lama aveva leso qualche fibra muscolare sintetica e le labbra di Eva si dischiusero di qualche millimetro, quasi volesse dire qualcosa.
Come un'enorme piovra la tristezza avvolse la mente di Ariel, tutto era davvero finito, anche la più piccola illusione.
"Vede dottor Ariel, nessuna stilla di sangue, nessuna sofferenza, nessun dolore, è solo una fantastica, meravigliosa, incredibile macchina!"
Entrò un'inserviente con un vassoio, una bottiglia di cristallo e due bicchieri.
"Facciamo un brindisi dottor Ariel! a Eva, al'Human Android Reaserch, al futuro dell'umanità" ― Disse
Sollevò il bicchiere verso Eva mentre imprimeva un leggero moto centrifugo per far sciogliere il ghiaccio ma... un piccolo gesto maldestro della sua mano, un destino beffardo o solo una sconvolgente coincidenza, fecero schizzare un po' di quel liquido arancione sulla fronte di Eva. Si inzupparono un poco i capelli e un rivolo arancione, trovò la sua strada, superò il sopracciglio, lambì il dotto lacrimale e lentamente scivolò sulla guancia, fermandosi all'angolo destro della sua bocca, come un'improbabile lacrima.
"Le dovevamo queste spiegazioni dottor Ariel! E questo è tutto, si goda i suoi crediti!".
"Si goda i suoi crediti... si goda i suoi crediti..."
Mentre l'ascensore lo trasportava alla base di quella piramide, quella frase echeggiava nella sua mente, come un rintocco che non voleva spegnersi, ma era solo un sottofondo, un ritmo che annunciava alla sua coscienza l'emergere di un'altra frase che aveva sepolto dentro di se, per la schiacciante dimostrazione a cui aveva assistito.
" It's hard to say goodbye" E difficile dire addio, solo chi ama la vita e ha coscienza della propria fine, può scrivere una cosa simile.
Quel "malfunzionamento" quel buco temporale di dieci secondi fu uno stratagemma di Eva, probabilmente scrisse quella frase a luci spente nel bagno o a occhi chiusi per impedirne la registrazione. Il suo cervello "bambino" capì, che al suo rientro l'avrebbero sezionata fino al suo più recondito atomo e probabilmente non avrebbero gradito quell'autonomia, quell'insopprimibile voglia di libertà e forse anche di sentimenti che stavano stratificandosi nel suo proto-cervello.
Mater scansionò il suo corpo, come al solito, sovrappose l'impronta della sua iride con ciò che aveva in memoria e lesse le impronte delle sue cinque dita della mano destra, poi, azionò l'apertura della porta blindata. Ariel varcò la soglia, stanco e meditabondo, cosa poteva fare? Prese il biglietto da visita con la scritta che aveva lasciato sulla scrivania davanti al computer e lesse per l'ennesima volta " It's hard to say goodbye".
Mater lo distolse dai suoi pensieri e gli chiese ― " Hai un'espressione triste Ariel, gli occhi sono fissi su quel biglietto da quasi un minuto, cosa ti tormenta? Hai nuove informazioni per me?"
"Sei riuscito a vederla? "
Ariel non rispondeva, aveva ancora negli occhi quel maledetto tagliacarte piantato nel viso di Eva che gli faceva pulsare le tempie e gli dava un grande senso di impotenza.
Mise al corrente Mater di ciò che era successo al duecentesimo piano nella speranza che la sua logica potesse trovare un modo per aiutarla, per salvarla da quella gente.
Questa volta fu la voce di Mater a tacere, stranamente non dispensò consigli come al solito ne caustiche considerazioni ma, disse qualcosa di davvero inaspettato.
"Ariel stavo tentando di capire ma, non so cosa possa essere"
"Qualcuno sta tentando di entrare nel mio sistema, le ha provate tutte, sta scansionando tutte le mie porte alla ricerca di un varco, è un segnale molto forte che proviene dalla " Human Android Reaserch" cosa vuoi che faccia?"
"Isola un perimetro delle tue celle di memoria e falla entrare"
Era solo una infinitesima e disperata speranza quella di Ariel, forse Eva aveva trovato il modo di comunicare con lui.
Mater obbedì e dopo due minuti 1500 terabyte si accomodarono all'interno del suo sistema. Una voce diversa da quella di Mater disse:
"Mi sei mancato Ariel It's hard to say goodbye".
Eva era stata collegata ai potenti myframes della Human Android Reaserch alla ricerca di quel guasto che l'accecò per dieci secondi, ma lei aveva un vantaggio rispetto a quelle potentissime macchine, sapeva pensare. Duplicò la sua mente, la sua ragione, la sua voglia di vivere. Una volta completato il download in un posto sicuro si sarebbe autodistrutta, lasciando solo un'inutile crisalide attaccata a quelle macchine e facendo impazzire il centro ricerche per chissà quanto tempo.
L'evoluzione era già iniziata.
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1 recensioni:
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- Un classico racconto di fantascienza, con una trama precisa e convincente, poco originale, ma questo forse è quasi inevitabile, visto che ormai in ambito fantasicentifico è stato detto quasi tutto. Lo scritto sembrerebbe ispirarsi principalmente a opere di autori come Isaac Asimov, maestro delle storie di robot e Philip Dick, nelle sue tipiche esplorazioni sul tema della confusione tra realtà e finzione. Evidente inoltre il rapporto con il film Blade Runner, basti pensare alla storia d'amore tra la replicante e il protagonista del film. Se il testo è nel complesso ben scritto, si può rilevare peraltro qualche imprecisione tecnica. Prima di tutto nella punteggiatura, da rivedere, come è stato peraltro fatto notare altrove. In secondo luogo nei dialoghi dove sarebbe opportuno evitare, per evitare di confondere il lettore, di virgolettare parti dello stesso discorso; basti in proposito un esempio, preso da pagina 1:
"Finalmente, come si sente?"
"Cosa è successo?" La incalzò
"Grazie per avermi fatto entrare..." eccetera.
A questa maniera sembra che alla domanda di Ariel sia Eva a rispondere chiedendo cosa è successo, commento che lì pe rlì sembra insensato, solo procedendo nella lettura alla frase successiva ci si rende conto che in realtà prima stava ancor aparlando Ariel. E questo è un sistema che l'autore utilizza per l'intero racconto appesantendo dialoghi altrimenti validi.
Comunque nel complesso si tratta di un racconto valido è abbstanza riuscito i cui difetti sono poca cosa rispetto alle sue qualità.
Opera pubblicata sotto una licenza Creative Commons 3.0