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Al mio miglior errore
La notte odorava di sesso e fatalità. Aveva scelto il profumo adatto e si era agghindata a festa con tutte quelle stelle lontane e lucenti di desiderio. Entrambi camminavamo in silenzio verso nessun posto, evitando l'uno lo sguardo dell'altra. Parole non venivano dette, ma entrambi le percepivamo, trasportate dalla brezza estiva caratteristica di quelle nottate d'agosto senza nome. Ci ritrovammo sotto casa sua quasi per caso, come due turisti che dopo aver imboccato vicoli sconosciuti, scoprono di avere davanti il bar che cercavano. Guardai il portone di casa sua e poi lui. Mi domandai a chi dei due fosse venuta l'idea di guidare l'altro lì, ma la risposta era che ci seguivamo l un l'altra, ignari di dove i passi ci portavano. Ci guardammo sapendo benissimo che quella notte era già scritta. I suoi occhi verdi mi mostrarono il nostro primo incontro.
Era aprile ed io ero seduta sul marciapiede di un vicolo vuoto e senza identità. Lui passò proprio di lì con la birra in mano, mi guardò un attimo e come se ci conoscessimo da sempre, si sedette accanto a me e me ne offrì un sorso. Nei suoi occhi ritrovai me stessa e fu forse per non perdermi che passai sette anni della mia vita con lui. Io non lo amai mai, mentre lui amava abbastanza per entrambi. Non ci lasciammo nemmeno. Fu un tacito accordo: una sera di ottobre mi guardò con le lacrime agli occhi e capii che quell'amore sbagliato a lui faceva solo male. Molte notti avevo sperato fosse così cieco da non accorgersi che io in quel rapporto non avevo alcun ruolo emotivo, ma lui era perspicace e il mio volto era sempre stato un libro aperto. Quella sera feci le valige e me ne andai per strada, fra le foglie morte, trascinando un freddo ottobre via con me. Non mi girai nemmeno verso di lui, sapevo che mi osservava dalla finestra, guardando la donna che avrebbe dovuto odiare andarsene.
Così quella sera d'agosto, dopo un paio d'anni, ci eravamo ritrovati. Ci scambiammo un cenno di saluto e ci incamminammo insieme, per abitudine. Io lessi nei suoi passi un amore mai finito e sono certa che lui leggesse nei miei quel nulla che mi avvolgeva come una nebbia da tutta la vita.
Lui aprì il portone e mi fece cenno di passare per prima. Ricordavo bene il porfido che disegnava un sentiero verso la porta dell'appartamento e che per anni aveva accompagnato il rumore dei miei tacchi verso una vita che di me aveva solo la presenza fisica. I grilli cantavano ignari della tristezza che avrebbe avvolto l'uomo che in quel momento mi stava aprendo la porta di una casa che mia non era stata mai. Entrai e nella penombra notai che non era cambiato nulla. Sembrava ancora ottobre e ancora potevo rimediare, ma un ventilatore posto in un angolo mi ricordò che non avrei mai potuto rimediare e che da quel giorno d'aprile avevo cominciato a sbagliare. Mi girai verso di lui e trovai finalmente le sue labbra. Tremavano leggermente di desiderio ed io nostalgica mi proposi che l'avrei soddisfatto. Le sue mani mi slacciarono il top, mentre io a piccoli passi lo conducevo a suon di baci verso la stanza da letto. Lui si stese sopra di me, mentre io gli sbottonavo la camicia con un controllo che non avevo affatto. Lo desideravo come non avevo mai desiderato nulla nella mia vita. Lui mi leccò ovunque spogliandomi e assaporando la mia pelle come se fosse la prima volta. Gli tolsi velocemente i pochi indumenti che gli restavano e lo baciai in tutti i luoghi in cui le mie labbra potessero arrivare. Ero bagnata quanto non ero mai stata in vita mia. Mi avvicinai al comò, dove sapevo, teneva ancora i preservativi. Li trovai e mi accorsi che senza di me la sua vita non si era evoluta come pensavo, bensì fermata. Entrò dentro di me e un'ondata di emozioni mi salì dal ventre, esplodendo in un gemito di piacere che non avrebbe mai potuto eguagliarla.
Ci guardammo e con lo sguardo mi disse che mi amava. Aveva sempre avuto le parole negli occhi.
"Ti amo" gli dissi.
"Ti amo" rispose.
Entrambi sapevamo che non ci saremmo amati mai, perché amore era tale solo se ricambiato. Quelle bugie erano solo la voce di un desiderio che verità non aveva mai detto.
Ci lasciammo andare l'una nelle braccia dell'altro, sapendo entrambi che al primo raggio di sole mi sarei rivestita in silenzio e sarei uscita, mentre lui fintamente addormentato avrebbe udito i miei vestiti ricadere sulla mia pelle proprio come la sera prima erano ricaduti a terra.
Forse fu in quella notte che imparai ad amare, ma io che l'amore non l'avevo mai provato, non lo capii mai.
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1 recensioni:
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- Il pregio di questo racconto sta nel senso di decadenza, nell'ineluttabilità del mancato incontro di due vite. Qualcosa di non detto parla di differenze importanti e può rimandare al Buzzati di "Un amore", o anche al "professor Unrat" di Mann.
Un canovaccio breve ma con tutti i requ7isiti per ricavarne una sceneggiatura.