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Unico
La vecchia biblioteca fu sempre un luogo tetro, tra i ripiani in legno intarsiato si dipanavano ampie vie incrociate l'una nell'altra, un labirinto sin dentro gli occhi dei vecchi librai che con passo lento coprivano le distanze, in apparenza, interminabili da un volume impolverato della bibbia a una recente opera prima di qualche promettente romanziere.
Posto sulla sommità di una collinetta al centro del paese l'antico edificio attirava l'attenzione dei visitatori, con la sua aria di vecchio sacerdote che lentamente riempie l'aria con i suoi sospiri faticosi.
La modernità crebbe tutto intorno, lupi affamati lottavano per un raggio di sole, palazzi di cristallo e cemento, veloce correva la vita lungo strade torride di caldo e nebbia, ma nei pressi della biblioteca parevano rallentare anche i battiti del cuore, i passi si facevano prudenti e il silenzio denso come il burro in novembre.
Marino venne assunto come custode quando aveva da poco compiuto cinquant'anni, a quell'età non sono molte le prospettive e un lavoro tranquillo con una buona paga gli era giunto come un insperato regalo della sorte.
Prima di allora non si era mai interessato di libri: né lo appassionava la letteratura né lo incuriosiva la filosofia, e aveva sempre trattato le scienze con quel timore riverenziale proprio degli ignoranti, ma la cosa non lo preoccupò, in fondo doveva solo controllare che non si facessero danni e dare una spolverata ogni tanto, compiti di tutto riposo.
Il primo giorno che prese servizio quasi non trovò l'ingresso, l'ultima volta che era entrato in biblioteca stava accompagnando sua figlia, allora frequentava le elementari, a cercare un libro per la scuola, da quanto si era separato dalla moglie poteva vedere la bambina non più di una volta al mese: spingendo l'imponente portone in noce la nostalgia lo prese allo stomaco.
Un uomo perlopiù sugli ottant'anni lo accolse, era l'ultimo rimasto di coloro che avevano gestito la biblioteca per mezzo secolo: gli spiegò brevemente le sue mansioni e scomparve tra gli scaffali un passettino dopo l'altro, quasi senza poggiare i piedi a terra.
Dovette passare un mese perché la noia spingesse Marino a trarre da uno dei volumi dallo scaffale, ne scelse uno fra tanti, forse lo colpì il titolo o forse soltanto la rilegatura di cuoio come no se ne vedono più molte, ma non appena la nuvola di polvere scaturita dalle pagine si fu posata iniziò la lettura.
Si trattava di un saggio storico sulla lotta per le investiture, non un argomento semplice con cui cominciare una carriera di lettore comune, e ciononostante egli si interessò davvero al tema, le battaglie, le astuzie di Gregorio VII e la strategie dell'imperatore Enrico.
Poi venne la filosofia a partire dalla repubblica di Platone: un uomo che sino ad allora aveva a malapena espresso il suo voto rimase affascinato dalle forza argomentativa del filosofo ateniese, e considerò con la più assoluta serietà le implicazioni del suo comunismo idealista ed elitario.
Attraversò la narrativa lasciandosi alle spalle i lunghi, esilaranti, periodi di Cervantes, sfiorando le raffinate perifrasi di wilde, per giungere ai folli miserabili di Dostoevskij, alle sfuggenti ironie dei modernisti.
Trascorse il tempo e Marino si trovò sempre più immerso nei suoi libri, gustava ogni singola ora del suo lavoro con tale dedizione che al momento di andare in pensione, il vecchio libraio lo propose per sostituirlo.
Solo dopo qualche anno però, iniziò a ronzargli in testa l'idea che avrebbe sconvolto la sua esistenza: nelle sue sterminate letture avvertiva la presenza di un unico filo conduttore, come se una poesia di Eliot, un romanzo di Celine o un trattato di Weber non fossero altro che pezzi di uno stesso quadro, come se tutti i libri fossero un unico libro.
Forse la solitudine che si respirava tra gli scaffali lo contaminò di un qualche fanatismo, forse sentiva di non avere altri obbiettivi nella vita, di fatto si propose un compito impossibile, decise di riunire tutte le opere che conosceva in un unico monumentale libro che potesse descrivere ogni cosa.
Le trascrizioni gli portavano via molto tempo, e non raramente gli capitò di addormentarsi mentre cercava un raccordo fra scritti apparentemente inconciliabili: il monte delle pagine, trascritte con la sua minuta grafia, cresceva, lento ma inesorabile, e se la strada avanti pareva infinita, lui non si scoraggiava, certo della bontà della sua idea.
Fuori dalla biblioteca la vita continuò alternando gli inverni e le primavere, Marino si distrasse per ammirare la neve, e si concesse di godere del sole di giugno comodamente seduto nel piccolo giardino della sua casa, ma tornò sempre a quel suo lavoro, che ormai aveva il sapore della missione.
Ormai vecchio aveva finito per ricordare i suoi predecessori, altri ora coprivano le mansioni pratiche mentre lui stava tutto il giorno chino sull'inesauribile manoscritto, ormai capace di occupare più d'una fra le stanze nascoste nel retro; ascoltava i sussurri ironici di chi aveva forse intuito qualcosa delle sue intenzioni, ma la sua determinazione rimase granitica: almeno sin quando le forze lo sorressero.
Venne il giorno in cui i suoi occhi, vennero coperti da un sottile velo grigio, il tremore delle sue mani si fece incontrollabile, venne il giorno in cui seppe di doversi riposare, e l'inquietudine lo assalì senza scampo: se ne stava fermo davanti alle pagine ingiallite, osservava un volume in cui aveva trovato la sintesi di un poeta francese e di un'economista tedesco e non poteva darsi pace.
Solo alla fine la vita gli concesse la luce per vedere la soluzione: l'obbiettivo che si era dato non era troppo ambizioso, ne il vaneggiamento di un pazzo, mancava solo di un passaggio: la sola via per ottenere quel mostro di mille idee, doveva accettare si esserne divorato.
Quando in biblioteca non lo videro giungere puntuale una mattina, si preoccuparono subito, mai qualcuno era arrivato prima di lui, quasi non l'avevano mai visto fuori da quelle mura.
Lo cercarono a casa, ma la trovarono pressoché abbandonata, come se da molto nessuno vi fosse entrato.
Il corpo di Marino venne ritrovato solo la sera, quando un giovane lettore lo scorse con orrore nella più lontana delle stanze della biblioteca, giaceva con la testa china sulla sua scrivania, ben nascosto dal suo amato manoscritto
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