Da bambino aspettavo la domenica per andare al mare a Ostia con tutta la famiglia. Non accadeva spesso di andare tutti poiché mio padre lavorava anche la domenica, faceva il cuoco. Ad agosto però prendeva le ferie e ogni volta era un'occasione speciale, una specie d'avventura.
Capitava poi che s'unissero a noi anche i parenti acquisiti: la famiglia del fidanzato di mia sorella o altri parenti giunti dalla Francia.
La partenza era all'alba per evitare la fila mostruosa e la canicola, ma la fila iniziava già sotto casa e s'otteneva solo di dormir di meno.
Automobili colme di vettovaglie e famiglie d'esseri umani stipati nelle seicento o in altre utilitarie senza aria condizionata incolonnate e roventi.
Mio padre aveva la Cortina che era grande e ci si stava in otto. Col tavolino pieghevole sul tetto e il caldo, a passo d'uomo sulla Colombo. Il portabagagli colmo della sussistenza e il gigantesco cocomero, comprato a Porta Metronia, sulle gambe di mia madre.
S'arrivava sempre col sole a picco e la cabina era distante kilometri dal bagnasciuga. Arrivarci era un'impresa poiché la spiaggia era un tizzone rovente
con un tappeto umano da evitare (o calpestare se le gambe erano veloci) per andare in acqua a farci il bagno.
Il cocomero invece sotto la sabbia si manteneva fresco al riparo sotto l'ombrellone.
La pasta con le melanzane era sempre scotta e le fettine panate preparate la sera prima le mangiavamo con le mani: pangrattato e sabbia sotto i denti.
Mio padre con la sigaretta sempre all'angolo della bocca, pure s'ero pischello, m'offriva sempre un goccio di vino d'olevano romano, quello rosso frizzante e dolce mentre, coi grandi, chiamava in terra l'intero elenco telefonico dei santi giocando a briscola e tressette.
Quel vino che egli stesso comperava a damigiane e che io aiutavo ad imbottigliarlo nella cantina di casa nostra.
Mia madre indaffarata apparecchiava caffé dal thermos senza essersi nemmeno un poco riposata e continuava a mettere ordine proprio come fosse casa sua.
Noi - pischelli al sole - friggevamo dopo aver mangiato, aspettando di finire la digestione che non finiva mai e poterci quindi rifare il bagno verso le sei.
Alla sera il rientro era una processione con tanto di penitenza e di dolore su facce da calvario fosforescenti di rossore.