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La mia vita simile a quella di nessun altro
Che spettacolo alzarsi ogni mattina e sentire il profumo del caffè preparato dalla mamma con tanto amore, andare alla finestra e, con gli occhi ancora mezzo chiusi, vedere piazza di Santa Maria in Trastevere che pian pian si sveglia, con i mercanti che preparano i banchi della frutta, del pesce e dei vestiti sotto questo sole che, con quella luce che sbatte sui sanpietrini, illumina tutto.
" A Marcellì, viè a fa 'sta colazione. Daje un po' che 'sto caffè nun se beve da solo" urla la voce di mia madre che passando attraverso i muri giunge fino alle mie orecchie, con quel tono minaccioso che solo l'amore di una madre può creare.
E comunque, meglio non contraddirla quando si tratta di mangiare, così m'avvio verso la cucina.
Passata la porta eccotela là, bella come il sole! Dentro quelle quattro pareti è come un cavaliere sul campo di battaglia, ma le sue armi non sono spada e scudo, ma un mestolo e il coperchio di una pentola e non ha un'armatura sporca de sangue, ma 'na parannanza ricoperta di sugo.
"A mà, però è proprio vero che 'a matina c'ha l'oro 'n bocca, vè?" le dico con un sorriso a trentadue denti.
"Si, e pure quello mio ce l'avrebbe si tte decidessi a trovà un lavoro. Ce stà Ernesto, er giornalaro, che je serve un regazzetto pel pommeriggio. Vacce a fa' un giretto" mi risponde lei senza ironia.
"Ma che me voi vedè fa la fine de quer vecchio gufo e passà la vita dentro quella gabbia d'edicola? E poi ce lo sai, no, che l'omo nun è fatto pe lavorà, tant'è vero che se stanca!"
Dopo questa perla di saggezza, credo che mammina mia si stia incazzando... L'ho capito perchè ha iniziato a prendere l'impasto della pizza e, con la forza di un fabbro, s'è messa a impastare sul tavolo infarinato. Penso pure che tutta quella violenza sarebbe arrivata a me se non mi sbrigavo a uscire di casa.
Scendendo le scale mi rendo conto che mi dispiace che lei se la prenda così tanto per questo motivo, ma ora abbiamo la pensione della bonanima di papà per campare, e poi io non sono una persona esigente, quindi non mi servono molti soldi.
Per un attimo la mia coscienza ha preso l'aspetto di mia madre, tant'è che mi s'è messa a chiedere che cosa ho intenzione di fare per il futuro, quando i soldi di mio padre non ci saranno più e che prima o poi mi dovrò fare una famiglia, una macchina, comprarmi una casa...
Fortunatemente riesco a farla sparire e la risposta viene quasi automatica: "Mbè, 'sti cazzi, ce penseremo quanno sarà er momento".
Una volta per strada mi guardo intorno e vedo che la primavera è arrivata con tutta la sua bellezza... La si può vedere nelle ragazze con le gonnelline, un po' nelle persone con le magliette, pure le biciclette sono resuscitate dalle cantine dove sono state rinchiuse per tutto l'inverno. Più mi rendo conto di quant'è bella la vita e più mi continuo a chiedere perchè la gente si dà tanto da fare per trovare lavoro e non si ferma a godersela un pochetto. Tra me e me rifletto e penso : "Io nun sarò mai come 'sti poracci, a me me piace vive".
Per andare al baretto devo passare davanti all'edicola di Ernesto, così mi fermo a comprare il Corriere dello Sport.
Poi la gente dice che non leggo... invece io sono una persona informata, voglio proprio vedere chi mi sa raccontare tutta la storia della Roma meglio di me! Poi, domenica c'è la supersfida co' li gobbi.
"Buongiorno Ernestì, hai visto 'a maggica che squadra che sta' a prepara pe' a partita? Famme un po' vede che dicono li giornalisti và. 'Ndo 'sta er Coriere?"
"Tanto, potete pure vince 'sta partita, ma 'a Lazio 'st'anno nun se batte! Sta là sotto er giornale, vicino ar messaggero. A proposito, ho visto tu madre ieri, j'ho detto che c'ho bisogno de quarcuno che me tiene l'edicola al pommeriggio...",
Quanto me l'aspettavo questa frecciatina! Mi immagino pure il discorso che hanno fatto quei due alle mie spalle.
Mia madre gli avrà detto di convincermi e lui l'avrà rassicurata, dicendo che se sono così è solo una cosa di passaggio, che poi crescendo m'assumerò le mie responsabilità. Ma che vogliono questi da me!
"Ah, davero j'hai detto così? Ma perché, t'ha detto che conosce quarcuno che cerca lavoro?"
"Devi cresce Marcè, nun poi sempre campà sulle spalle de tu madre".
"Ma che m'hai preso pe' un Koala? Mica sto a cavacecio su mamma!" e dopo la mia bella risata, lo saluto e m'incammino verso il bar.
Sto davanti alla porta e ho una certa curiosità di sapere come è andata a finire a Giovannino con la tipa de ieri sera, almeno a lui spero bene! Quella mia m'ha attaccato un pippone con il fatto che lei cercava una storia vera, non solo di sesso, ma d'amore, come se a me, me ne fregasse qualche cosa... Per fortuna ho beccato mio cugino e sono riuscito a fuggire da tutte quelle paranoie.
A un certo punto, quando sto sulla soglia della porta del bar, mezzo dentro e mezzo fuori, giro la testa e vedo due uomini, ben vestiti, in giacca e cravatta che parlano di investimenti, di progetti, di costruire case. Mi verrebbe da dir loro di andarsi a costruire una vita invece di pensare ai mattoni. Poi, uno dei due tira fuori una foto, sicuramente gli sta facendo vedere la macchina nuova che s'è fatto e allora mi dico " Io nun sarò mai come 'sti poracci".
"A Marcè, ma che te sei messo in pausa?" la voce di Giovanni riesce a farmi uscire da quella dimensione in cui sono rimasto bloccato e torno nel mio mondo.
"A Don Giovanni de Centocelle, offrime 'sto caffè và, così me racconti pure si la serata tua è stata caliente o morente!" gli rispondo subito ridendo.
Così, mentre sorseggiamo un buon caffè, vengo a sapere che lui ha trovato una compagna di studio favolosa perché sono stati tutta la sera a parlare di università, e visto che tutti e due stanno per laurearsi in astrologia hanno deciso di preparare la tesi insieme.
"Bello mio, fattelo dì, a te lo studio t'ha proprio rammollito, invece de faje vede le stelle, je l'hai raccontate!" Mi è dispiaciuto offendere la sua intelligenza, ma questa frase gliel'ho dovuta dire, perché da un po' di tempo il mio amico non è più quello di una volta, quello con cui facevo baldoria fino all'alba o con cui passavo le giornate al parco. Adesso si è fissato con questa laurea e fa discorsi strani sulle ambizioni e sui sogni da realizzare.
Infatti, adesso se n'è andato perché deve finire un capitolo impegnativo di fisica, così mi ha detto, quindi io, alla faccia sua, vado a farmi un giretto per Trastevere.
Non credevo che gìà a maggio la città si riempisse così tanto di turisti.
I migliori sono i giapponesi, che fotografano tutto, pure le piante rampicanti sulle case! Mi fanno pensare che le loro città siano grigie, che non c'è niente di caratteristico, altrimenti non si spiegherebbe questo volere immortalare anche le cose più stupide... Del resto, per questi poveracci, vedere Roma con tutta la sua storia dev'essere come scoprire il paese delle meraviglie.
Mentre mi perdo a riflettere sugli orientali, all'improvviso mi prende un'altra volta come la sensazione che mia madre entri nella mia testa, solo che stavolta non mi fa domande sul futuro. Allora chiudo un attimo gli occhi e me la vedo di fronte che mi dice: "Marcellino mio, vedi, stai a pensà agli altri che se stupiscono a vedè la magnifica città nostra, ma tu che ce vivi da quanno sei nato, ne sai meno di loro, nun sai manco che Trilussa è un poeta... Per te è solo una piazza."
Dopo che mi dice questa frase, con una faccia di rimprovero e una voce severa, sembra che si penta perché cambia modo di guardarmi, e sulla sua faccia si stampa quell'espressione di quando da ragazzino mi metteva a letto, e continua dicendomi: "Comunque a mamma, io mò te saluto, papà tuo m'ha detto che devo annà con lui, perchè dove sta mò se sta bene, s'è fatto l'orticello e je serve 'na mano, però tu abbi cura di te e ricordati che mamma te vole tanto bene".
Sono passati vent'anni da quando mamma, quel pomeriggio, se n'è andata e sono cambiate tante cose. La mia vita per esempio. Ho comprato l'edicola di Ernesto, ho una moglie e un figlio, addirittura mi sono comprato una macchina e un televisore.
Non vedo l'ora di raccontare tutte queste cose a Giovannino che ieri è tornato dagli Stati Uniti, obbligandolo a venire a fare colazione con me al vecchio baretto.
"A What's America, je l'hai fatta a tornà a Roma!" nemmeno il tempo di finire la frase che già stiamo abbracciati con il cuore in gola, felici come due bambini che scartano i pacchi la mattina di Natale.
Talmente siamo contenti di rivederci, che la colazione ormai ce la siamo scordati perché s'è fatta ora di pranzo. Vola il tempo quando hai molto da raccontarti.
"Giovà, nun c' è manco bisogno che te lo dica che oggi vieni a pranzo da me, tanto non hai scelta, ma prima te devo fa vedè una cosa..." mentre parlo, tiro fuori dal giacchetto la foto di mio figlio e gliela mostro con tutta la fierezza che c'è in me, poi mi giro verso la porta del bar e vedo un
ragazzetto che ci guarda e fa un sorriso ironico. Nei suoi occhi si può leggere una frase che io ben conoscevo quando avevo la sua età ed è la seguente: "Io nun sarò mai come 'sti poracci".
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