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Il Capitano e l'arte della guerra
Il Capitano si alzò di buon umore. Sbocconcellò con grande piacere una fetta di strudel di mele ancora caldo, che il suo attendente era andato a prendere di buon'ora al villaggio vicino al fronte, sorseggiò con soddisfazione crescente la fumante tazza di caffè arabico che, sempre per opera del suo impareggiabile attendente, gli era stata posta a tempo debito sopra il tavolo da campo, su cui erano distese le carte militari. Badando a non lasciar cadere goccia dello scuro liquido sulle preziose mappe, il Capitano sorseggiava, esaminava e meditava. Erano diversi giorni che il fronte era statico. Le due compagnie si fronteggiavano, ma nessuna delle due parti prendeva iniziative. Ciò lo turbava: si aspettava da un momento all'altro una sollecitazione all'azione da parte degli Alti Comandi ed era sua intenzione prevenirla. Si fece portare il suo potente cannocchiale e si avviò a passo deciso verso la torretta di osservazione. Piazzò lo strumento sull'apposito sostegno, estrasse dal taschino della giubba un immacolato fazzoletto e con esso si stropicciò l'occhio destro, quindi pulì accuratamente l'oculare e si accinse all'osservazione. Grandissima fu la sua meraviglia e il suo sconcerto nel constatare, dopo alcuni minuti di attento e scrupoloso esame, che le linee del nemico apparivano completamente deserte. Chiese all'attendente di osservare a sua volta, per essere certo di non aver preso un abbaglio: questi confermò che da quell'altra parte non si vedeva alcuno. Interpellò la sentinella che rispose di aver notato il fatto e che lo avrebbe riferito all'ufficiale di servizio non appena questi si fosse presentato. In effetti l'ufficiale arrivò in quel preciso momento, giusto in tempo per attirare su di sé le ire del Capitano, il cui buon umore mattutino era definitivamente svanito. Terminata la dura rampogna, il Capitano si ritirò nel suo quartiere per raccogliere le idee. L'assenza del nemico sulla linea del fronte lo sconcertava. Nella sua non lunga ma dignitosa carriera militare non gli era mai capitato nulla di simile. Vi ragionò sopra per alcuni minuti, quindi prese una decisione. Fece chiamare l'ufficiale di servizio, che si presentò immediatamente e gli rese un saluto impeccabile, memore della lavata di capo precedentemente subita. "Mandi una pattuglia di tre uomini in avanscoperta e mi ragguagli al più presto!" gli ordinò il Capitano. Mentre l'ufficiale si allontanava per adempiere a quanto richiestogli, egli meditava se avvertire o meno gli Alti Comandi. Decise che era prematuro farlo adesso: meglio attendere il ritorno della pattuglia.
Il buonumore del risveglio oramai era svanito del tutto e il Capitano cominciava ad avvertire un montante nervosismo, per cui decise di congedare l'attendente per rimanere solo con i suoi pensieri, almeno fino al ritorno degli osservatori. Prese dal ripiano sopra la sua branda un porta-ritratto, lo depose sul tavolo e vi si sedette davanti. Osservare la sua bella famiglia gli dava sempre un senso di appagamento. In piedi, nel giardino di una villetta, erano ritratti la moglie e i due figli. Il maggiore vestiva la divisa di cadetto dell'Accademia Militare che frequentava da due anni; la sorella era ancora una bambina, ma già si poteva indovinare che sarebbe divenuta una graziosa fanciulla. Il Capitano riponeva grandi speranze nel figlio, che d'altronde rispondeva in modo egregio alle aspettative paterne. Figlio di un modesto impiegato dell'Amministrazione statale, nonostante il suo impegno e la sua buona predisposizione, egli non aveva potuto raggiungere gli alti gradi della carriera, anzi, era stato impiegato per molti anni presso gli uffici del Ministero della Guerra. Solo la carenza di ufficiali al fronte aveva convinto i suoi superiori ad affidargli un comando sul campo. Eppure riteneva di avere una preparazione bellica pari, se non superiore, a quella di molti suoi coetanei che erano pervenuti agli alti gradi della carriera. Conosceva alla perfezioni tutti i manuali e i regolamenti militari e le sue letture preferite riguardavano opere fondamentali come "L'arte della guerra" del grande Sunzi e il trattato "Della guerra" di Carl von Clausewitz. Specialmente il generale cinese era il suo autore preferito, di cui spesso citava le massime.
Con un sospiro il Capitano ripose il porta-ritratto. Era parecchio tempo che non rivedeva la famiglia, anche se lo scambio di lettere avveniva regolarmente. Quel maledetto avamposto era lontano dalla Capitale e le vie di comunicazione disagevoli. Si chiese se valesse la pena combattere così a lungo per un lembo di terra tra le montagne, buono solo per le capre e le cornacchie. Scacciò subito il molesto pensiero: gli ordini non si discutono e il supremo interesse della Patria va comunque difeso, anche se non ne comprendiamo le ragioni. Scosse il capo come per liberare la mente dalle sue cogitazioni, poi guardò l'orologio. Perbacco, era trascorsa un'ora abbondante da quando la pattuglia era partita! Uscì a passo vivace dalla tenda e chiamò l'attendente. Il bravo giovane accorse subito. "Qui immediatamente l'ufficiale di servizio!" ordinò. Questi giunse poco dopo, ancora trafelato per la corsa. Mentre l'ufficiale si irrigidiva nel saluto, il Capitano gli chiese impazientemente: "È rientrata la pattuglia, ci sono notizie?"
"Signornò, signor capitano"
"Sia più chiaro: la pattuglia non è ancora rientrata o non ha portato notizie?"
"La pattuglia non è ancora rientrata, signore."
"Avrà mandato gli elementi più scalcinati e pelandroni, suppongo."
"Niente affatto, signore. Ho mandato un sergente anziano e due ottimi soldati."
Il Capitano brontolò qualcosa che né l'ufficiale né l'attendente riuscirono a comprendere, si afferrò il mento con la mano sinistra, mentre con la destra accarezzava la fondina della pistola che portava alla cintola.
"Attenda ancora mezz'ora, poi mandi un'altra pattuglia. Raccomandi loro di essere molto cauti e circospetti. Questa faccenda non mi dice niente di buono."
"Agli ordini, signore!"
Mentre l'ufficiale si allontanava, il Capitano prese a riflettere su come il generale Sunzi avrebbe affrontato la situazione. Ripassò mentalmente il suo trattato, ma non trovò nulla che si confacesse al caso presente. Il nemico apparentemente era scomparso e la pattuglia di ricognizione non era più ritornata: tutto questo gli faceva presagire una grande trappola, in cui non aveva nessuna intenzione di cadere. In quel momento si sentì addosso tutto il peso di essere al vertice della catena di comando.
Nel frattempo era scoccata l'ora del rancio. Per fortuna del battaglione il capo cuoco era del mestiere e riusciva a combinare dei pasti decenti, pur tra mille difficoltà. Tuttavia il Capitano assaggiò poco e niente di quel che l'attendente gli pose davanti. Allontanò da sé il vassoio quasi intatto e prese a percorrere nervosamente lo spazio della sua tenda. Poi indossò la giubba e si avviò alla torretta di osservazione. L'attendente, che era seduto fuori dalla tenda cercando di terminare il suo rancio, vistolo uscire lo seguì precipitosamente, recando il cannocchiale e finendo di masticare l'ultimo boccone.
"Niente di nuovo, sentinella?"
"Niente di nuovo, signore."
"Hai visto la pattuglia di stamattina?"
"L'ho seguita fino ai reticolati, poi sono scomparsi in un avvallamento. Poco fa ho visto l'altra pattuglia avanzare verso le linee nemiche, ma ora non si vedono più."
"Sentito colpi di arma da fuoco?"
"No signore, nessun colpo."
Il Capitano si pentì di quest'ultima domanda: se ci fossero stati spari li avrebbe uditi egli stesso. Si rese conto di doversi controllare maggiormente: la truppa era molto sensibile a questi sintomi di nervosismo.
"Osservazione costante con il massimo impegno." raccomandò alla sentinella mentre si allontanava.
Non rientrò nel suo quartiere, preferì recarsi lungo la linea del fronte dove erano attestate le sue truppe. Una lunga serie di trincee e camminamenti era stata scavata nel corso del tempo, per cui percorrere il fronte era relativamente sicuro. Incontrò un sergente maggiore, con lui sin dal primo giorno del suo comando, che lo salutò con una certa familiarità. Ma il Capitano sembrò non farci caso: conosceva quell'uomo che sapeva essere una persona assennata e competente e che godeva per di più di un notevole ascendente tra la truppa.
"Che succede, Capitano, quegli altri sono scappati come conigli?"
"Vorrei saperlo anch'io... ma le pattuglie in avanscoperta non sono ancora rientrate."
"La cosa sa di bruciato, signore."
"È quel che temo. Ma prima aspettiamo di sentire quel che ci diranno gli esploratori."
"Temo che aspetteremo invano, signore."
"Perché dici così... sai qualcosa?"
"È solo una voce che circola tra i soldati... niente di confermato. Sembra che dalle cucine, che come sapete sono all'estremità della linea, qualcuno abbia visto gli uomini della prima pattuglia che fuggivano in direzione del bosco."
Il viso del Capitano fu pervaso da una vampata di rossore: "I miei uomini disertano e non mi si dice niente!"
"Si calmi, signor Capitano. È solo una voce che circola tra la truppa. Succede sempre così quando una pattuglia ritarda il rientro. Poi che affidamento si può dare a quel che dice uno sguattero di cucina?"
Il sergente maggiore si rendeva conto di essersi spinto troppo oltre con le indiscrezioni e cercava di riparare, ma il Capitano non lo intendeva più: aveva voltato le spalle e stava rientrando a grandi passi nel suo quartiere. A dire il vero anch'egli aveva, tra le tante ipotesi, pensato ad un episodio di diserzione. Lo aveva tuttavia scartato, un po' perché avrebbe ferito il suo orgoglio professionale, un po' perché da quella zona di guerra era difficile filarsela senza essere notati.
Era ormai chiaro che anche la seconda pattuglia inviata in avanscoperta non sarebbe rientrata: il buio incombeva e il Capitano sentiva come impellente il dover prendere una decisione. E sentiva di doverla prendere da solo perché, a ragione o a torto, non nutriva eccessiva fiducia negli ufficiali a lui sottoposti. Tuttavia, per salvare la forma, decise comunque di sentire i loro pareri: chissà, forse si sbagliava nel giudicarli e qualcuno poteva proporre qualcosa di ragionevole.
Ma la riunione non portò alcuna chiarezza, gli ufficiali si mostrarono incerti sul da farsi e desiderosi di non esporsi assumendo delle posizioni decise. Perciò il Capitano, alquanto seccato da tutti quei giri di parole, dopo aver pazientato a lungo si erse in piedi e, con tutto l'aspetto marziale di cui era capace, annunciò loro che l'indomani la compagnia avrebbe marciato in completo assetto da battaglia verso le linee nemiche. Mentre gli ufficiali correvano ad organizzare le truppe per la sortita, il Capitano risedette di colpo sulla sua sedia, appoggiò i gomiti sul tavolo e si prese la testa tra le mani. Ristette così per un po' di tempo, ad occhi chiusi, meditando su ciò che si era appena compiuto. Quella decisione poteva costargli la carriera e forse anche qualcosa di più, ma poteva anche guadagnargli notevoli meriti presso gli Alti Comandi. Inutile rimuginare ancora su di essa: "alea iacta est!" si disse, sempre per rimanere in tema di grandi condottieri. Dopo una parca cena, fece un accurato giro d'ispezione per controllare i preparativi per l'indomani, quindi si gettò in branda per cercare un poco di riposo dopo quella giornata alquanto stressante.
Si era sul finire dell'estate e all'alba una leggera nebbiolina ovattava la valle. Il Capitano aveva dormito poco e male: al risveglio aveva trangugiato una tazza di caffè riscaldato e addentato un boccone di biscotto un poco stantio. Si era concesso una sigaretta, seduto al tavolo delle carte, con gli occhi fissi sulle postazioni del nemico. La sua mente era pervasa da un unico pensiero: "Che fine aveva fatto il nemico?" Nascondere una compagnia nei boschi circostanti senza farsi notare era praticamente impossibile; arretrare le proprie linee era strategicamente assurdo. Infatti, una volta che i suoi avessero preso possesso delle attuali postazioni, si sarebbero trovati in vantaggio di quota.
E, come certificava Sunzi, ciò avrebbe significato sconfitta certa. Non poteva credere che il comandante avversario fosse così dissennato. Tuttavia un tarlo continuava ostinatamente a rodergli dentro: che cosa era capitato alle due pattuglie? Perché non erano rientrate? L'ingresso dell'attendente interruppe la concatenazione dei suoi pensieri.
"Signor Capitano, la truppa è schierata e pronta all'attacco: attendono solo il suo ordine."
Uscito dalla tenda, contemplò con compiacimento i suoi soldati e sentì dentro un moto di fierezza per essere il comandante di quella compagnia scelta. Fece chiamare a sé il tenente anziano e gli ordinò di mandare avanti due gruppi di guastatori per aprire un varco nei reticolati.
"Dica loro di tornare indietro non appena aperto il varco. Non voglio che procedano oltre da soli."
Il sergente maggiore con cui aveva parlato iersera si trovava quasi al centro dello schieramento. Il Capitano gli si avvicinò, senza però scambiare alcuna parola, ma solo un cenno di saluto. D'altronde non era soltanto il Capitano ad aver poca voglia di parlare, anche i soldati se ne stavano muti, lo sguardo fisso in avanti. L'attesa sembrò non finire mai, poi finalmente i guastatori rientrarono nei ranghi. Comunicarono di aver potuto agire indisturbati, senza che dalle linee nemiche fosse pervenuto alcun segnale di presenza umana. La notizia, di per sé positiva, non arrecò alcun sollievo alle perplessità che albergavano nella mente del Capitano, che tuttavia, vinta ogni titubanza, risalì la trincea con agilità e diede l'ordine di avanzare con un ampio gesto del braccio. La tuta mimetica, l'elmetto, l'arma che imbracciava lo facevano sentire partecipe, anzi primo attore di un evento che avrebbe potuto cambiare le sorti della guerra e farlo balzare agli onori della storia. Dimentico del travaglio della giornata precedente e di ogni titubanza, egli avanzava alla testa delle sue truppe, ventre a terra, lo sguardo fisso in avanti. Finalmente si era in azione, dopo mesi durante i quali ci si era rintanati sotto terra come le talpe! Anche se l'avanzata si svolgeva in un irreale silenzio, il Capitano assaporava comunque il gusto acre del suo primo assalto. Si giunse ai reticolati, nella terra di nessuno tra le due postazioni. Qui, nonostante il buon lavoro fatto dai guastatori, si dovette rallentare l'avanzata. Passato oltre, il Capitano si fermò in attesa del transito di tutta la compagnia. Lo affiancarono il sergente maggiore e l'attendente. Essendosi alzata la nebbia, dalla loro posizione le linee del nemico si scorgevano nitidamente. L'attendente le indicò col braccio:
"Guardate quanti corvi laggiù! Si muovono tranquilli... vuol dire che non c'è più nessuno a disturbarli."
"Meglio così!" bofonchiò il Capitano, seccato dall'ingerenza dell'attendente che aveva interrotto il corso dei suoi pensieri.
"Non mi piacciono i corvi, portano disgrazia, sono uccelli maledetti da Dio!" se ne uscì fuori, di botto, il sergente maggiore.
Alcuni soldati, sopraggiunti nel frattempo, udita la frase del sergente, annuirono borbottando.
"Non diciamo idiozie, sono discorsi da donnette paurose, non da soldati! Avanti, seguitemi!"
Il Capitano non aveva gradito affatto l'intervento del sergente, ma non voleva dimostrare al momento di prenderlo troppo sul serio. Terminata l'azione in corso, avrebbe poi assunto gli opportuni provvedimenti.
Guadarono senza problemi un torrentello che scendeva dai monti, scarso d'acqua data la stagione. Erano ormai molto vicini alle postazioni nemiche e i famigerati corvi, al loro sopraggiungere, si alzarono in volo gracchiando, come a voler protestare per l'ingerenza umana nel loro territorio.
Il Capitano con un balzo scese nella trincea più avanzata, mentre altri soldati seguivano il suo esempio. Ben presto l'intera compagnia si trovò a percorrere le trincee e i camminamenti di quelle che erano state le postazioni nemiche, ormai deserte. All'improvviso si udì un urlo:
"Venite... qui c'è qualcosa! ... un morto!"
Disordinatamente i soldati, individuata la provenienza del richiamo, accorsero per vedere di che cosa si trattava, nonostante gli sforzi degli ufficiali che cercava di richiamarli indietro. Il Capitano dovette fendere a fatica la calca per poter giungere sotto una tettoia di tronchi d'abete dove giaceva, con il busto addossato alla scarpata, il cadavere di un uomo, parzialmente nascosto da una coperta militare.
"Scoprilo!" ordinò all'attendente.
Questi, piuttosto riluttante, si avvicinò con eccessiva cautela al cadavere, senza però toccarlo.
"Non morde mica!" lo apostrofò sprezzante il Capitano e si avvicinò lui stesso al morto, afferrò un lembo della coperta e la tirò via. Ora il cadavere si poteva vedere meglio: si trattava di un giovane uomo in divisa militare, evidentemente un soldato nemico.
"Guardate la faccia del morto... è blu! È stato il morbo blu ad ucciderlo... ecco perché sono scappati tutti! Si salvi chi può!"
Qualcuno aveva gridato quelle parole, che passarono di bocca in bocca, mentre l'agitazione cresceva e si gonfiava come l'onda di un mare in tempesta.
"Il contagio, il contagio, scappiamo!" Spintonandosi e urlando improperi, i soldati corsero fuori dalle trincee, sparpagliandosi in ogni dove, incuranti della direzione, ma cercando di allontanarsi il più rapidamente possibile dal morto. Anche gli ufficiali, dopo qualche vano tentativo di trattenerli, alla fine li seguirono.
Come allucinato, il Capitano restava immobile, davanti alla salma. Il volto del soldato morto era impressionante: la pelle era bluastra, gli occhi sbarrati e quasi fuori dalle orbite, la bocca spalancata invasa da una bava biancastra. Ora che il cadavere era stato scoperto, sciami di mosconi volteggiavano attorno ai resti. Si scosse quando sentì una mano posarglisi sulla spalla.
"Il morbo blu non perdona, il contagio è praticamente immediato."
Era il sergente maggiore, rimastogli accanto.
"Ne parlavano i vecchi, erano anni che non ricompariva. È una brutta faccenda!"
"E tu, perché non sei scappato come gli altri?"
"Adesso vado anch'io... e anche lei, Capitano, se ne vada da qui. Non c'è più niente da fare, il morbo blu non perdona." Gettò a terra l'arma che imbracciava. "Per quello non servono le armi!"
Il Capitano non si voltò se non dopo alcuni secondi: il sergente era scomparso, chissà per dove?
Lentamente ripercorse le trincee, fino all'ultimo lembo delle linee. Si trovò davanti ad una radura cespugliosa, che lo separava da un bosco di larici. Non aveva assolutamente alcuna idea su cosa fare. Sentiva risuonare nella sua mente soltanto una parola, ripetuta ossessivamente: sconfitta, sconfitta, sconfitta...! Poi gli apparve come in un sogno quel ritratto che teneva vicino al letto: la sua bella famiglia. Come se avesse preso slancio da quella visione, si mise a correre attraverso i bassi cespugli, verso il bosco, quasi a volervi cercare protezione. Cadde più volte a terra, incespicando nelle radici e nei sassi, strappò la tuta mimetica, si escoriò la faccia e le mani, ma finalmente si ritrovò al riparo delle alte piante, in un'ombra muscosa e odorosa di resina. Si fermò e trasse un respiro profondo: si rendeva conto che, se il contagio l'aveva preso, non c'era scampo; tuttavia quel luogo gli dava la sensazione di un protettivo grembo materno. Pensò al figlio, augurandogli miglior sorte di quella che aveva avuto lui. E pianse, dapprima silenziosamente, poi con dolorosi singulti che gli squassarono il petto. Non gli importava più niente di essere un soldato, e i soldati non piangono... era solo un pover'uomo abbandonato a sé stesso, sconfitto e condannato a morire in modo atroce.
"Signor Capitano, mi dispiace disturbarla proprio in questo momento... di commozione, ma la dichiaro mio prigioniero. Devo chiederle di consegnarmi la sua arma e seguirmi al Comando."
Il giovane ufficiale dell'esercito nemico che aveva parlato, avanzava verso di lui con il braccio teso in avanti e la faccia compunta di chi segue una prassi regolamentare.
Il Capitano dapprima parve non aver capito ciò che gli era stato detto, poi si riscosse e lentamente slacciò il cinturone con la fondina della pistola, che cadde a terra ai suoi piedi. Il tenente fece un cenno ad un soldato dei suoi, che nel frattempo avevano circondato il prigioniero, che raccolse l'arma da terra. Il Capitano guardò l'ufficiale nemico e sembrò che sulle sue labbra aleggiasse un vago sorriso:
"Io sono un morto che cammina... non si fanno prigionieri i morti, signor tenente."
Il Capitano tese entrambe le braccia in avanti, con le palme delle mani in alto:
"Le vede queste macchie bluastre sulle mie mani... il morbo blu sta cominciando ad agire. Consiglio lei e i suoi uomini di allontanarsi da me quanto prima, se volete avere qualche probabilità di evitare il contagio."
"Non ce ne sarà bisogno, signore. La porterò al nostro Comando, dove riceverà le cure opportune."
"Ma non ci sono cure per il morbo blu, che io sappia!"
"È vero, al momento non ci sono rimedi contro il morbo blu. Di quello si muore e basta. Io parlavo delle escoriazioni sul suo volto e sulle sue mani."
Il Capitano si guardò le mani sporche di sangue: "Queste sono sciocchezze!" poi, quasi urlando "Ma la vuol capire che io ho contratto il morbo blu, o vuol continuare a giocarsi la pelle standomi vicino?"
"E dove lo avrebbe contratto, questo famigerato morbo blu?"
Il Capitano non rispose subito: gli sembrava, e forse non aveva tutti i torti, che la domanda del tenente volesse quasi irriderlo. Indicò in direzione delle postazioni:
"Là c'è uno dei vostri colpito dal morbo, che voi avete abbandonato in una trincea, fuggendovene ben lontano. O forse non se lo ricorda più?"
"Ah, quello! Lo conoscevo bene, era nel mio plotone. Trattava sempre male le nostre bestie da soma e un mulo si è vendicato, sfondandogli il torace con un calcio."
"Ma se aveva il volto tumefatto, bluastro, la bava alla bocca...?"
"Quello è stato veramente un colpo da maestro. Ho un soldato che da civile faceva il truccatore teatrale. Una messinscena perfetta, con il tocco finale del succo di mirtillo in faccia!" gli indicò le mani "Anche lei, come vede, cadendo tra i cespugli di mirtillo di quella radura, si è macchiato di blu. Questa è la loro stagione, ce ne sono dappertutto."
Nella mente del Capitano stava passando uno strano pensiero: neanche al grande Sunzi sarebbe balenata l'idea di usare i mirtilli per sconfiggere una compagnia nemica.
E pensare che a lui i mirtilli non piacevano nemmeno!
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