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Metti una sera bevendo Fink Brau
Il caldo si era fatto insopportabile e il ventilatore lo avevo dovuto spingere al massimo. Di aria il Padre Eterno non ne voleva proprio fare arrivare quella sera. Me ne stavo ad ascoltare i Creedence Clearwater Revival mentre suonavano "I put a spell on you". Gran pezzo che aveva momentaneamente tolto la scena a Wes Montgomery, la mia prima scelta per quella caldissima serata afosa di metà agosto. Mi andava così: seduto sul mio divano ad ascoltare musica bevendo birra da discount. Avevo una borsa frigor che mi tenevo vicino, piena di birre (da discount). Di alzarmi non ne avevo proprio bisogno. Ero un piccolo genio in casa. Non solo: le birre avevano tutte l'apertura a strappo, quindi non serviva il cavatappi. L'inconveniente dietro l'angolo però è sempre bastardo, e arriva a rovinarti anche una magica serata come quella. Alla terza birretta da 33, ne presi una quarta. Prima feci partire allo stereo Wes Montgomery (il telecomando fa miracoli) poi presi appunto la birretta. Sempre da 33 cl ma di marca diversa dalle precedenti. Era la mitica (si fa per dire) Fink Brau, tedesca. Ottimo, se non fosse che quegli stronzi l'apertura a strappo non ce l'avevano. Dovevo pigliare per forza il cavatappi, essendo il mio genio non ancora così sviluppato da permettermi di aprire il tappo con l'accendino. Mai imparato, e prima o poi la paghi! Mi alzai e andai in cucina. Niente. Rovistai un po' e poi ricordai. Il cavatappi, l'unico in casa, lo avevo lasciato molti piani sotto di me (stavo al secondo piano). Quel pomeriggio mio zio era venuto a trovarmi e gli avevo fatto assaggiare del vino che tenevo in cantina. Lasciando lì il cavatappi. Ora, un altro modo per aprire la birretta non lo conoscevo, ed esperimenti non mi andavano. Quindi ecco il genio che apre la porta del suo appartamento al secondo piano e se ne va verso la buia cantina per un cavatappi. Genio sto cazzo!! Feci le scale e arrivai al piano terra. Ancora una rampa di scale verso il fondo e si arriva alle cantine. Mentre cercavo nella tasca dei miei pantaloni corti le chiavi per aprire la porta della piccola cantina (un box in mezzo a tutti gli altri) dalla porta di ingresso del condominio vidi fuori un tizio. Mi fermai di scatto e lo osservai. Era all'interno dello stabile, forse aveva scavalcato il cancello di ingresso, e me lo vedevo al di là della porta (chiusa) che dall'esterno faceva entrare al piano terra. Lo fissai e mi pareva fuori di sé. Si sbracciava e appena mi vide corse verso la porta. Io feci istintivamente due passi indietro e lui sbracciandosi al di là della porta a vetro e mi disse qualcosa. Non capii e non me ne fregava un cazzo. Birretta e Wes Montgomery erano meglio di sto pazzo. Tirai dritto verso le cantine scendendo le scale quando sentii scattare la porta dietro di me. Qualche stronzo l'aveva aperta dal suo appartamento. Quando mi rigirai, ero a metà delle scale, all'inizio della rampa eccolo là il tizio. E puntava verso di me. Tre birrette non erano sufficienti a darmi un po' di calma, e mi cagavo addosso dalla paura.
- Che c'è? - gli urlai cercando di fare il duro.
- Non si preoccupi - mi balbettò.
- Cristo! - urlai io appena lo vidi meglio alla luce che filtrava da fuori.
Aveva la camicia sporca di rosso, e pure le mani. O faceva il pizzaiolo o
- Ho ammazzato una troia! Aiutami.
Innanzitutto aveva smesso di darmi del lei (ma questo non era poi così rilevante, no?) e cercai di capire. La sua faccia era disperata e tragica come non ne avevo mai viste. Mi faceva pena, e l'avrebbe fatta anche ad Hitler. L'unica cosa era che quelle macchie di sangue (ormai era ufficiale fosse sangue) mi rendevano maledettamente agitato da quel tizio.
- Rimanga a distanza o mi metto ad urlare - gli feci io in uno slancio di coraggio da vero cagasotto.
Il tizio si fermò qualche gradino sopra di me.
- Che cosa ha detto? - gli feci.
- Ho ammazzato una troia.
- Che significa?
In quella circostanza la domanda era passabile.
- Ho ammazzato una troia.
Rimasi in silenzio qualche secondo cercando di fare mente locale.
- Va bene, hai commesso un omicidio? - lo dissi alla tenente Colombo. Mancava solo l'occhio sguercio e il soprabito.
- Si, si. Ho ammazzato una troia.
Cominciava a passarmi lo shock e a starmi sulle palle quel tizio.
- Spiegati meglio. Hai ucciso tua moglie?
Chissà perché pensai alla "moglie". Lui aveva detto "troia". Boh!
- No, sono separato.
E che cazzo me ne frega! Ero a metà scala verso le cantine, mezzo al buio e mezzo alla luce dei lampioni esterni. Wes Montgomery suonava qualche piano più sopra al fresco del mio ventilatore, e io stavo parlando senza senso con un tizio sporco di sangue. La serata stava prendendo una piega sbagliata.
- Allora chi hai ammazzato? Voglio dire, chi è la troia? - precisai subito per fare arrivare meglio il concetto all'imbecille.
- Una troia! Una puttana!
Chiaro. La moglie non c'entrava.
- Dove?
- A casa mia, in via Giorgetti. Qua dietro.
Sapevo dove era la via, stava dietro la mia. Era proprio idiota sto assassino.
- E ora che facciamo? - gli chiesi io. Il "noi" però uscì fuori casualmente.
- Ti prego aiutami. Non voglio andare in prigione - e si mise a piangere.
La paura si sciolse tutta e rimase solo una considerazione: avevo di fronte un coglione! Tale impressione capovolse subito la situazione. Di fronte ad un coglione si è più rilassati, si parte sempre in vantaggio rispetto a lui.
- Sai aprire una birra con l'accendino? - gli feci.
Il tizio si asciugò le lacrime poi rispose di sì con la testa. Perfetto, non dovevo andare in cantina. Salimmo al mio piano ed entrammo in casa. Wes Montgomery stava suonando "Twisted blues".
- Per prima cosa apri un paio di birre - gli dissi appena entrato passandogli l'accendino.
Il tizio era tutto impaurito (ora lo era lui?!) e cominciò a guardarsi in giro a vuoto.
- Hey! - gli urlai - Apri 'ste birre.
Finalmente ritornò tra i vivi e prese l'accendino.
Mi sedetti sul divano e accesi una sigaretta che avevo arrotolato prima. Feci una lunga boccata, mi tenni un po' il fumo in bocca e poi lo sparai fuori creando una bella nuvoletta grigiastra. Poi cominciai a ragionare.
- Dunque, riassumendo tu hai ammazzato una puttana e sei nella merda. Non mi sembra difficile da capire. Dico bene?
Il tizio si era seduto su una sedia e annuiva solamente, a testa bassa.
- Il corpo della poveretta sta a casa tua. Ora, spiegami brevemente come hai fatto.
- Ma mi aiuterai?
- Spiegami soltanto come hai fatto. Il resto viene dopo.
Altra boccata di sigaretta. Abbassai il volume a Wes Montgomery.
- L'ho portata a casa circa un'ora fa.
- Quanto? - lo interruppi incuriosito.
- Cosa? - mi fece il tizio con aria stralunata.
- Quanto è costata?
Il tizio rimase perplesso poi rispose.
- Cinquanta.
- Anche dietro?
- Scusa ma che c'entra?
- Mi interessa. Non sono mai stato con una puttana. Quindi?
- Cosa?
Ci capivamo poco io e Mister Assassino.
- Davanti e dietro più bocca. Cinquanta euro, giusto?
Il tizio si mise le mani tra i capelli e si agitò.
- No, no. Dietro non era nei cinquanta. Per quello chiedeva di più, però scusami - si mise a singhiozzare.
- Dammi una mano - aggiunse prima di scoppiare in lacrime.
Io rimasi ad osservarlo in silenzio fumando.
- Va bene, calmati. Ti aiuterò - non credevo neanche a quello che avevo appena detto.
- Però tu devi rispondere alle mie domande - aggiunsi.
Mi appoggiai la bottiglietta di birra ghiacciata sul collo per strapparmi dalla morsa dell'afa infernale di quella sera. Il tizio riceveva appena un po' dell'aria del ventilatore, e stava grondando.
- Dunque, prima che tu mi dica come l'hai ammazzata ti chiedo: per farlo anche dietro quanto chiedeva in più?
- Non lo so, non l'ho mai fatto - rispose asciugandosi la fronte con la manica della camicia ancora sporca di sangue, che ora si era rappresso.
- Non ti piace farlo nel popò? Senza popò cinquanta mi pare tanto. Non mi intendo e non conosco i prezziari, però mi pare tanto senza il popò.
- Cristo!
Il tizio scattò in piedi dalla sedia e si diresse verso la porta.
- Fermo! - urlai.
Stranamente si fermò.
- Volevo solo fare due chiacchere, fa parte del piano - non sapevo quel che dicevo.
- Siediti e raccontami.
Mentre il tizio si stava risedendo, squillò il campanello.
Andai ad aprire e mi trovai di fronte il rompicoglioni dello stabile: Luigi Finazzi, un vecchio di settant'anni e passa che metteva il naso su tutte le minime cazzate che i condomini facevano. Se decidevi di mettere un vaso sul balcone, sicuro al cento per cento che il giorno dopo Finazzi ti avrebbe detto: "ho visto che ha messo quel bel vaso, sta proprio bene". Un modo solamente per farti capire che controllava tutto. Per meglio fare andare le cose qualche stronzo lo aveva fatto pure amministratore di condominio, o una cosa simile (non me ne fregava niente di quel che succedeva in quel condomonio). Insomma, era un ficcanaso che ora aveva pure una certa qualifica per farlo.
- Buonasera - mi fece.
- 'Sera signor Finazzi. Che succede? - risposi con un plateale finto sorriso.
- Mi scusi, ma poco fa ho visto che parlava con una persona. Giù al piano terra sulle scale. Mi sembrava molto scosso, sia lei che il suo amico. Poi prima ho sentito urlare nel suo appartamento, insomma...
"Insomma la solita finta gentilezza di chi vuole scassare la minchia", pensai. Quindi aveva aperto lui la porta. Figurarsi se tra tutti quelli del palazzo non poteva che essere stato lui, che poi abitava pure sul mio piano.
- Non si preoccupi. Tutto bene, il mio amico ha solo bevuto un po' e sta da me a dormire. Non può mica tornare in macchina a casa, no?
- Certo, certo. Fa benissimo - rispose il vecchiaccio maledetto.
- Buonanotte, allora. Mi scusi ma mi preoccupo sempre. Poi lei è mio vicino e come dire se non ci si aiuta...
- Buonanotte - gli dissi solamente prima di chiudere la porta.
- Chi era? - mi domandò l'Assassino in un bagno di lacrime e sudore.
- Niente, non ti preoccupare. Calmati, bevi una birra e raccontami tutto.
L'Assassino tiro giù quasi in un unico sorso la birretta da 33 che gli avevo passato e cominciò a raccontare che cosa aveva combinato.
- Come detto l'ho portata a casa circa un'ora fa. Di solito faccio così nelle serate quando mi sento solo, mi capisci...
E si mise a guardare intorno a lui.
"Brutto stronzo puttaniere assassino! Cosa fa? Mi pigliava in qualche modo per il culo?". Lasciai perdere quel momento e gli dissi di andare avanti. Sottolineando che sapevo cosa volesse dire la vecchia storia della solitudine.
- Insomma, piglio la macchina e vado in cerca di compagnia. Stasera ero particolarmente stressato. Ho ricominciato da pochi giorni il lavoro dopo le ferie e non gira per niente. Comunque non sto qua ad assillarti troppo. Posso?
Mi chiese indicando un'altra birretta.
- Prego.
"E bravo stronzo. Facciamo una festa con le mie birre?!" pensai. Poi gli dissi, scocciato, di continuare.
- Ero dunque tesissimo. Ceno, faccio altre cose poi esco diretto a cercare compagnia. Carico su questa donna. Un visino fantastico.
Si interruppe e ricominciò a singhiozzare.
- Dai, fatti coraggio. Sei nella merda fino al collo. Fatti aiutare, non servono i pianti. Piuttosto ho una domanda da farti.
- Dimmi - rispose tirando su col naso e asciugandosi le lacrime col palmo della mano. Che scena orribile.
- Tette? Cosa portava?
Non rispose ed abbassò la testa.
- Senti - gli feci con durezza - devo sapere tutto. Tu devi rispondere alle mie domande e basta.
- Abbondanti. Almeno una quarta.
- Ti piacciono le tettone, eh?
- Che cazzo c'entra?! - disse alzando leggermente la sua voce roca da pianto.
- Non fare il gradasso - risposi. - Continua piuttosto.
Fece un sospiro e continuò.
- Era bella, se è quello che vuoi sapere...
- Pelo folto? - lo interruppi.
Non rispose e continuò il racconto.
- La porto a casa mia. Vivo solo e faccio sempre così. Non sono uno squallido.
Lo guardai facendogli capire che non ero d'accordo. Lui non se ne preoccupò e continuò.
- Cominciamo a giocare un po'. Le cose normali, non sono uno strano.
Confermai lo sguardo di disapprovazione precedente riguardo al concetto che lui fosse "normale".
- Poi lei me lo prende in bocca ed è bravissima. Dopo un po' non so che mi prende, mi sale in testa come un fuoco. Di piacere però. Non mi era mai successo. Sento addosso un oblio, un calore alla testa mai provato. Era come se stessi impazzendo. Le prendo la testa tra le mani e comincio a spingere... spingere... spingere... Non sentivo neanche che probabilmente lei voleva che smettessi. Ero come un fascio di eccitazione unico e continuavo a spingere fino a che non ne avevo più. Allora mi fermai.
Si asciugò il sudore sulla fronte. Quasi gocciolava.
Io spensi la sigaretta nel posacenere e aspettai che continuasse. Dopo l'ultimo sorso che seccò la birra, proseguì.
- Ritornai piano piano in me. Mi sembra rimasi immobile per qualche minuto. Il cuore batteva a mille e appunto credo mi ci volle qualche minuto per riprendermi. Quando mi sento ritornare un po' in me, mi accorgo che ho ancora tra le mani la testa della ragazza. Poi noto una chiazza grossa sulle coperte. All'inizio pensai fosse roba mia, poi mi accorsi che la ragazza era come immobile. La coricai di lato e... in pochi secondi capii quello che avevo davanti.
Altre lacrime.
- Aveva gli occhi sbarrati e la sua espressione era bloccata, diciamo. E poi vidi che quello sul letto era vomito. L'avevo soffocata. Cristo, come ho fatto!
E riattaccò a singhiozzare. Mi accesi un'altra sigaretta e pensai a come affrontare la situazione. Perché DOVEVO affrontarla. Finazzi ci aveva visto e mi convinsi che poteva aver visto talmente bene il tizio da riconoscerlo in un secondo momento. Se avesse visto il giorno dopo la foto sul giornale di mister Uccellone scoprendo che era un assassino, cosa poteva pensare riguardo al fatto che ore prima proprio quel tizio era nel mio appartamento? Mi misi a pensare a come aiutare nel migliore dei modi l'assassino mentre aprivo la mia ultima Fink Brau.
Per prima cosa lo feci ripulire dal sangue. Gli prestai una mia camicia e uscimmo. Era mezzanotte passata e non incrociammo nessuno. Arrivammo alla mia macchina nei garage al piano terra ed eravamo pronti (io sicuramente, mister Uccellone invece non si voleva dare una calmata).
- Rilassati e andrà tutto bene. Ora arriviamo a casa tua, ragioniamo sul da farsi e facciam sparire il corpo.
Presi degli stracci che tenevo per pulire la macchina e li misi nel baule. Era una Ford familiare, poteva essere benissimo un carro funebre. Per la lunghezza, intendo.
- Scusami - mi rispose con un tono sempre peggio.
Mi faceva proprio pena, ma continuava a starmi sulle palle. Era quel suo modo triste di fare le cose.
- Devi far sparire un cadavere, Cristo! Serve forza e sangue freddo. Tirali fuori e non piangere come uno stronzo!
Non sapevo cosa stavo dicendo né tantomeno mi capacitavo delle mie azioni. Semplicemente mi sentivo come fossi un'altra persona. Parlavo e mi sentivo lontano. La birra non c'entrava. Almeno credo.
- Va bene, va bene - fece tirando su col naso.
Lo ignorai e feci partire la macchina. Arrivammo quasi subito nella zona dove abitava il Piagnina. Riuscii a parcheggiare praticamente sotto casa sua. Era un palazzo come il mio, ma lui stava al primo piano. Per prima cosa la ritenni una bella notizia. Ma stavo improvvisando e non sapevo dove sarei andato a parare.
All'ingresso incrociammo una coppia. Stavano limonando ben bene, e il ragazzo stava facendo di tutto per non terminare la serata. Fosse stato per lui avrebbe cominciato lì l'amplesso. Lo capivo e tifavo per lui.
Ci ignorarono e salimmo per le scale verso l'appartamento di Uccellone. Stranamente sembrava più calmo, e la cosa invece che farmi piacere mi stranì.
Davanti alla porta si mise a cercare le chiavi. Io lo fissavo e già sapevo che se non le avesse trovate l'avrei piantato lì. Alla fine che stavo facendo? Stavo aiutando un tizio che aveva una prostituta morta in casa. Ero un criminale. Da quel giorno mi sarei dovuto guardare allo specchio in un altro modo, sempre che fosse andato tutto bene e nessuno ci avrebbe scoperto. Ma poi: stava andando tutto bene? Nel frattempo i miei pensieri furono ghiacciati all'istante. Le chiavi apparvero ed entrammo.
La casa mi accolse subito inondandomi di una tristezza infinita. Non me ne frega niente di arredamento, colori, o discorsi del genere. Intendo che dava l'impressione di vecchio. Una piccola luce illuminava l'ingresso e sembrava più un lumicino da loculo. Il buio regnava sovrano e c'era puzza di chiuso. Come quell'odore che c'è negli armadi che, dopo la bella stagione, vengono aperti per riprendersi i vestiti invernali. Odore nauseante e di sconfitta.
- Dov'è? - gli chiesi.
Senza dire una parola mi fece cenno di seguirlo e andammo nella stanza da letto. Insieme al bagno e all'ingresso con l'odore di sconfitta, completava la casa.
La porta era chiusa. L'aprii io. La stanza era in ordine, e la prima cosa che vidi era la piccola televisione sulla destra. Girai lo sguardo verso sinistra e vidi il letto. Era disfatto e le coperte erano appallottolate. Lui si diresse sul letto e disfò le lenzuola. Apparve la donna. L'immagine che vidi era di una normalità che non mi aspettavo. Era nuda, raggomitolata su se stessa con il viso leggermente inclinato verso destra. Sembrava tutto normale, come se stesse dormendo. Quando mi avvicinai notai il viso e vidi la prima cosa innaturale: aveva la bocca spalancata e lo sguardo stralunato. Era una bellissima ragazza, molto giovane.
Tirai un sospiro e cercai di essere freddo e distaccato da quella stanza. Da tutto quell'appartamento e se possibile dal mondo intero.
- Rimettile tutte le coperte addosso, come prima. Io penso ad un modo per portarla giù. La mettiamo in macchina ed è fatta. Bisogna trovare il modo per farcela arrivare.
Cominciai a pensare e giravo per la triste casa. Entrai in bagno poco prima di sentire il tizio che mi diceva qualcosa.
Aperta la porta rimasi sulla soglia come mummificato. Il bagno era pieno di corpi. Tutte donne. Due erano ammassate nella vasca da bagno. Una era china sulla tazza del cesso, che teneva senza vita abbracciata. L'ultima era stesa a terra a pochi centimetri da me.
- Che cazzo significa? - riuscii a dire e la voce mi uscì debole e roca.
- Stavo per dirtelo, amico.
Il tizio non era più lui. Non era più il povero coglione che avevo conosciuto. La sua espressione cambiò ed assomigliava più ad una iena, a quello che sta per venderti un aspirapolvere scadente per 600 euro, al meccanico che ti ridà la macchina scassata più di prima e ti sta indicando dove c'è da andare a pagare, al poliziotto che sta per toglierti la patente dopo una birra media, al politico che ti dice di votare per lui...
- Stai calmo! Ora devi mantenere la sicurezza - mi disse appoggiandomi assurdamente una mano sulla spalla.
In quello stesso momento sentii bagnarmi la faccia. Alzai lo sguardo e notai che stava piovendo in casa. Un vento freddo si impossessò delle stanze e la porta della camera da letto si richiuse sbattuta dalla corrente. Pioveva sempre più forte e per tutta la casa si misero a vorticare convulsamente foglie d'albero, come d'autunno. Avvolsero letteralmente l'appartamento, mentre io sempre più bagnato osservavo il tizio, che non sapevo più chi fosse. Ero ormai fradicio e mi misi ad urlare. Un urlo rabbioso che cacciai fuori fino a che mi sentii la gola bruciare, grattare. A quel punto presi aria e urlai ancora più forte, in mezzo alla pioggia. Avevo la faccia che grondava d'acqua, e quasi non vedevo più. Ma urlavo solo, sempre più forte, bestemmiando, sempre più forte, mentre con gli occhi semi chiusi dall'acqua che mi arrivava in faccia notai la iena davanti a me avvicinarsi ghignando con un bastone in mano.
Mi alzai scosso dal mio letto. Mia madre mi stava toccando la spalla ripentendomi se andava tutto bene. Avevo il computer portatile di fronte a me che mandava i titoli di coda di un film, e vicino una Fink Brau da 33 vuota.
Mi ripresi e le dissi che andava tutto bene. Scesi in cucina e cercai una birra. Erano finite, nonostante le tenessi in frigor in numero ridotto, per non farle bere a mio padre. Mi preparai per uscire a comprarne un paio dal giapponese. Ripetei ai miei che andava tutto bene. Erano poco più delle dieci di un venerdì sera. Abitavo in un palazzo, presi l'ascensore e arrivai al piano terra. Mentre aprivo la porta dello stabile per buttarmi in quella calda serata di agosto verso il giapponese, vidi che un uomo si agitava e correva verso di me.
- Non si preoccupi - mi balbettò visibilmente scosso.
Notai delle macchie sulla sua camicia quando mi sentii dire:
- Ho ammazzato una troia! Aiutami.
Dopo due ore sarei morto.
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