Il punto di partenza di questo intervento è collegato alla lunga fase che precede la scoperta
della evoluzione biologica. La nascita della biologia come scienza si può far risalire alla riproduzione naturalistica di scene di caccia o di animali presenti nelle grotte affrescate dall’uomo del paleolitico.
Inizieremo quindi a riflettere sulla biologia dagli inizi quando nasce come scienza e poi
cercheremo di vedere un po’ come la biologia in vario modo si è posta in dialogo, con la
filosofia e con la teologia, prima che nascessero le teorie sull’evoluzione. Quindi cosa c’era
prima delle teorie evoluzionistiche e come questi dati della biologia abbiano dialogato con la
filosofia e la teologia. Perché ci sono dei punti su cui secondo me si sono col tempo accumulate
delle sovrastrutture che invece è bene chiarire una volta per tutte. Questo è un po’ il tema del
nostro corso.
Per capire come e quando nasce la biologia bisogna rifarci ad uno dei concetti fondamentali e
peculiari della indagine biologica, cioè il concetto di specie, ancora oggi oggetto di discussioni,
controversie, critiche, ma anche di interessanti e affascinati scoperte.
Il concetto di specie è uno dei primi concetti proposti dall’indagine scientifica. Prima della seconda guerra mondiale, uno zoologo americano, in realtà tedesco ma che lavorava in America, Ernst Mayr, una delle figure più importanti della zoologia e della biologia del ventesimo secolo aveva lavorato a lungo in Nuova Guinea. Mayr passa alcune settimane sui monti Arfak, presso una tribù di cacciatori e raccoglitori, una tribù quindi che possedeva una cultura paleolitica, una cultura molto antica dunque, e si rende conto che essi individuano
e davano il nome a cento trentasei differenti specie di uccelli. Alla fine del suo lavoro Ernst
Mayr, ormai affermato zoologo di Harvard, una delle più prestigiose università degli Stati Uniti,
ne individua cento trenta sette.
La cultura del Paleolitico aveva già identificato 136 specie di uccelli su 137; in pratica i risultati
di questa cultura erano gli stessi di quelli del biologo di Harvard. Infatti ne confondevano
solamente due che consideravano come una unica specie.
Ecco perché mi permetto di dire che la biologia è la scienza più antica, perché in questa prima
fase che è la fase dell’osservazione della natura, c’era già molto chiaro un preciso concetto di
specie, riconducibile all’ osservazione che gli esseri viventi sono raggruppabili in entità ben
separate che possono essere individuate da caratteristiche morfologiche descrivibili in maniera
tale che le si può dare un nome.
In fondo nulla ci vieta di pensare che tutti gli uccelli potessero essere collocati in un continuum
morfologico che ad esempio avesse tutte le forme intermedie dal merlo all’aquila. In questo
caso non avremmo potuto parlare di specie perché non avremmo potuto individuare nessun
insieme di caratteristiche che permettessero di separare il continuum in gruppi ben definiti ed
ogni tentativo avrebbe portato a risultati differenti.
In fondo non c’era nessuna ragione per pensare che la natura non fosse organizzata in questo
modo. Ma l’esperienza suggeriva il contrario: l’acuto osservatore era in grado di distinguere
differenti entità che erano caratterizzate da aspetti morfologici diverso e costanti all’interno
del gruppo. La caratterizzazione era talmente stabile e precisa che, prendendo in
considerazione i gruppi distinti essi potevano essere individuati da nomi diversi, senza rischi di
errore. Questo è il primo concetto di specie: la scoperta che i viventi sono organizzati in entità
autonome e ben separate, individuabili da caratteristiche morfologiche ben precisa e alla quale
si può dare un nome Come scrive Mayr ci si trovava di fronte a reali discontinuità della natura.
L’accertamento della discontinuità dei viventi è scoperta scientificamente fondamentale e come
abbiamo visto risale almeno al paleolitico superiore.
In effetti ogni gruppo è individuabile con caratteristiche morfologiche ben precise, e questo
insieme di caratteristiche che sono costanti nei vari individui del gruppo sono tali che
permettono di individuare in maniera univoca e senza errori il gruppo stesso che quindi può
essere indicato con un nome ben preciso. Questo fatto aveva delle conseguenze pratiche
decisamente importanti. Il cacciatore può comunicare agli altri cacciatori di aver visto un
aquila, senza doverla ogni volta descrivere con tutte le sue caratteristiche, ma
pronunciandone semplicemente il nome. Il secondo cacciatore nella sua mente ricostruisce la
figura dell’aquila, quindi sa che è un animale pericoloso, al contrario se gli viene indicato un
tacchino sa che è un animale differente e che lo può cacciare perché è buono da mangiare.
Ma tutto questo è possibile perché la natura e in particolare i viventi sono organizzato in entità
discontinue. Quindi l’osservazione che gli esseri viventi sono raggruppabili in entità ben
definibili cui si può dare un nome, rappresenta il primo concetto di specie ed il primo successo
della biologia, intesa nel suo significato etimologico di bios e logos, cioè di indagine razionale
sulla vita ed i viventi.
Ma quanto ho detto, che cosa vi fa venire in mente? Il fatto che i viventi sono divisibili in
entità a cui si può dare un nome ci ricorda il libro della Genesi, in cui Dio presenta ad Adamo
gli animali ed Adamo gli da loro un nome specifico. . Questa è una riflessione che mi sta
particolarmente a cuore perché c’è chi afferma che questo versetto può avere una
interpretazione che autorizza l’ Uomo a considerarsi il padrone degli animali perché in fondo
avere la capacità di dare un nome è il segno del possesso: Dio mi consegna il vivente al quale
io sono autorizzato a dare un nome e quindi a possederlo.
A mio parere al contrario, questo brano ci mostra un primo modello di interazione fra la
scienza e fede. In fondo lo scrittore biblico utilizza nella sua opera di rivestire con il suo
linguaggio il messaggio teologico, utilizza il primo concetto di specie.
Io non voglio entrare in una indagine precisa del testo, perché sono uno zoologo e non un
biblista. ma se voi andate a vedere il dibattito odierno sul libro della Genesi c’è un forte
recupero specialmente in ambiente statunitense di quello del cosiddetto creazionismo
scientifico.
Il creazionismo scientifico afferma che il racconto biblico è un racconto storico, quindi che il
racconto corrisponde all’evento storico e che quindi ci devono essere degli scienziati che
devono essere messi in condizione di fare delle ricerche per dimostrare la correttezza del
racconto storico, In questo campo assistiamo ad un impegno finanziario perché vi sono
fondazioni che finanziano ricerche di questo tipo. Ad esempio una ricerca sulla resistenza degli
animali alle variazioni di salinità; uno si chiede cosa c’entra? Vogliono vedere quali sono gli
animali acquatici che sono sopravvissuti al diluvio universale e quali si sono estinti, perché il
diluvio universale dovrebbe aver portato una grande quantità di acqua dolce sul globo, e quindi
gli animali che resistevano meglio alle variazioni di salinità sono sopravvissuti e gli altri si sono
estinti. L’idea fondamentale dunque è che la Bibbia riporta il racconto storico e quindi
scientifico sulle origini del mondo.
Ovviamente spero che in questo ambiente culturale, questa impostazione faccia solo
sorridere. Semmai noi tendiamo di più verso la visione opposta che dice che la Bibbia è un
racconto con un valore teologico senza alcuna importanza dal punto di vista scientifico. Di fatto
lo scrittore biblico usa gli strumenti interpretativi che gli vengono dalla cultura del suo
tempo.
Quindi nonostante tutto è importante dal punto di vista scientifico, non perché ci dice la storia
della creazione, ma perché ci da informazioni sulla storia della scienza. E questo è un aspetto
importante. Da questo punto di vista possiamo fare atre scoperte affascinanti: se noi andiamo
a leggere la redazione più moderna del testo della Genesi, quella scritta durante o subito dopo
la attività babilonese quindi con un contatto con una cultura più avanzata dal punto di vista
scientifico, compare il termine specie associato all’idea della riproduzione quindi al termine
“seme”.
Le specie viventi vengono create secondo la propria specie, e i vegetali secondo il loro seme;
questo è un passo avanti dal punto di vista scientifico, perché in fondo questi primi biologi si
rendevano conto non soltanto del fatto che i viventi erano raggruppabili in entità ben definite,
ma che le caratteristiche venivano trasmesse nel tempo attraverso la riproduzione, attraverso
il seme. È affascinante che questo passaggio, della secondo redazione, avviene durante o
subito dopo la cattività babilonese, e non dimentichiamoci che la civiltà babilonese era
scientificamente più evoluta, è dunque affascinante che ci sia stata questa integrazione del
concetto di specie.
Nel tempo è questo il punto importante, la specie rimaneva stabile grazie ai meccanismi di
riproduzione, le caratteristiche che individuavano la specie passavano di generazione in
generazione grazie alla riproduzione, ma la specie rimaneva stabile. Ecco perché c’è questa
idea che Dio crea direttamente le specie, perché non c’era nessuna evidenza scientifica, e qui
uso il termine scienza nel suo significato moderno, perché quegli uomini erano dei grandi
scienziati, di una trasformazione nel tempo della specie: l’evidenza sperimentale che derivava
dall’osservazione della natura era quella della stabilità del vivente. Se volete potete pensare
che ciò che veniva tramandato oralmente, ed in seguito scritto, era fondamentalmente il fatto
che l’aquila aveva sempre le stesse caratteristiche, che corrispondevano a quelle ricordate
dagli antenati, ed in seguito con l’uso della scrittura scritte nei testi.
Quindi c’era l’idea della fissità della specie. Niente di strano che la bibbia quindi utilizzi questo
che è il concetto scientifico di specie della cultura o meglio delle culture del tempo. Vedete
bene come sia lo scrittore biblico che, per farsi comprendere, utilizza le conoscenze scientifiche
di quel tempo. Ma questa descrizione è riportata all’interno del messaggio teologico, che è un
progetto di cambiamento: di alleanza di salvezza, di redenzione, quindi che si realizza in un
percorso storico caratterizzato dal divenire. , all’interno di un discorso di storia. Quindi
abbiamo da una parte una visione di creazione diretta dei viventi, Il fissismo. Le specie sono
create direttamente da Dio, l’Universo esce ordinato dalle mani del creatore, ordinato,
ciascuna specie è al suo posto, e così viene consegnato all’uomo. A fianco di questa visione
statica c’è poi la storia: storia dell’alleanza della redenzione e della salvezza.
Paradossalmente questa apparente contraddizione sarà quello su cui discuteremo, perché la
visione evolutiva dell’Universo la risolve ma lascia aperti alcuni problemi, e su questi proprio
dibatteremo. Ma ovviamente la cosa non finisce qui; parallelamente a questa riflessione sul
testo biblico se ne sviluppa un’altra, la scienza va avanti, e si sviluppa un’altra grande epoca
che è quella della scienza classica. E qui direi, e poi cercherò di dimostrarvelo, la scienza
classica utilizza la teologia per i propri scopi, e questo lo si vede molto bene, quando le varie
scienze della natura greche, si pongono il problema degli strumenti con cui si può sviluppare
un’indagine della natura e con cui in particolare si possono affrontare dei problemi
fondamentali della biologia come quelli della forma e della funzione dei viventi, forma e
funzione che sono perfettamente adattati per la sopravvivenza dell’individuo e della specie.
C’è inoltre un problema di fondo che poi è il problema di fondo di tutta la scienza, ed è quello
che si chiede se l’universo sia razionalmente comprensibile e descrivibile, e se la sua
descrizione in termini razionali sia possibile e quindi l’impresa abbia un senso. Se il filosofo o
lo scienziato naturale intraprende questa avventura importantissima della mente umana, chi
garantisce il buon esito di tale avventura.
Così come i viventi potevano essere disposti in un continuo senza poter essere raggruppati in
entità definite, l’universo poteva essere il risultato di un grande caos, da cui non si potevano
estrapolare leggi precise che permettessero di conoscerlo.
Invece ci si rende conto che la matematica e la geometria danno delle indicazioni per
comprendere l’universo. Allora se vi ricordate, Platone sviluppa nel Timeo, l’idea del Demiurgo
che organizza il caos, e crea delle strutture ordinate nell’universo, strutture basate sulla
matematica e la geometria che possono essere individuate. Quindi in questo caso, parliamo del
Demiurgo, è un’entità esterna che ha organizzato la natura in modo che sia razionalmente
comprensibile, per cui l’impresa umana della comprensione della natura è possibile perché c’è
questa garanzia, il Demiurgo diventa il garante del lavoro della scienza. Ma ecco di nuovo i
problema della specie: per quanto vi siano caratteristiche costanti che permettano di definire
una specie, i singoli individui possono anche variare apprezzabilmente tra di loro. Forse uno
degli esempi più vistosi della variabilità della specie è quella del cane. Indubbiamente la
domesticazione e il lavoro compiuto dagli allevatori ha aumentato la variabilità della specie,
comunque oggi andiamo da forse di piccola taglia a forme d taglia molto grande quali ad
esempio il San Bernardo. C’è ampia diversità però ancora è possibile individuare caratteristiche
comuni che permettono sempre una separazione precisa rispetto ad un’altra specie. Allora
com’è che esiste una anche forte diversità, ma nello stesso tempo una unità di fondo? Platone
lo interpreta con la teoria dell’ eidos, la specie come archetipo è qualcosa che è nel mondo delle
idee, e quello che vediamo sono variazioni sul tema dovute alla incapacità della materia
imperfetta di adeguarsi alla perfezione del mondo delle idee. Ciò che mi interessa sottolineare
è che in questo ambito, l’ambito della filosofia classica, nasce la teologia naturale, che
percorrerà tutta la storia del pensiero occidentale cristiano fino alla seconda metà del
diciannovesimo secolo, nasce in questo ambito. Questo si vede molto bene sempre nella
biologia, che dovendosi confrontare con la necessità di spiegare gli adattamenti dei viventi,
ha bisogno di una teoria che garantisca la validità conoscitiva dell’impresa del biologo, che si
confronta con il concetto di adattamento. Con il termine di adattamento si intendono la
descrizione della struttura e delle funzioni di quelle parti dell’animale che hanno lo scopo di
farlo sopravvivere cioè permettere che svolga bene il suo compito nell’ambiente riuscendo e
riprodurre. Cioè a trasmettere le sue caratteristiche alle generazioni future. Tutto questo
ovviamente richiede una struttura delle forme e delle funzioni del vivente che devono essere
tutte finalizzate a questo scopo. Qui nasce la discussione sui fini in biologia e sono chiare le
influenze aristoteliche. Ecco i due fini del vivente: La sopravvivenza dell’individuo con
l’alimentazione e la sopravvivenza della specie con la riproduzione. Per fare questo ci volevano
strutture e funzioni dell’animale estremamente precise e raffinate nella loro organizzazione: Da
questo punto di vista l’idea che fosse stato il Demiurgo quindi un divino ordinatore ad
organizzare anche semplicemente l’arto del coleottero diverrà un’idea fondamentale, perché
rendeva possibile allo scienziato affrontare fino in fondo il problema dell’ adattamento e gli
permetteva di chiedersi, come è fatto e a che serve. Affascinante da questo punto di vista un
recente articolo di uno storico canadese, Hankinson, su Galeno il grande medico dell’età
classica e di come egli riuscì a risolvere il problema della proboscide dell’elefante. quale si
pone il problema sulla struttura della proboscide dell’elefante; si domanda che cosa sia, a che
cosa serva questa cosa così strana. L’osservazione diretta mostra che la proboscide, è un
organo prensile, e questo ben si adatta con la sua forma: forma e funzione quindi si
armonizzano. Ma perché all’estremità di questa appendice vi sono due fori? le nostre mani
che sono organi prensili non hanno questi fori. Galeno seziona la proboscide e vede che questi
fori sono collegati a dei canali che giungono alle fosse nasali, dunque sono narici. Ma perché
l’elefante ha le narici all’ estremità di questo organo prensile? Qui entra in gioco la prospettiva
di teologia naturale. Loscienziato deve dimostrare la perfezione della natura organizzata dal
Demiurgo. Galeno va a cercare i resoconti di alcuni viaggiatori che testimoniano di aver visto
gli elefanti guadare fiumi molto profondi tenendo in alto la proboscide. Ecco dunque la
spiegazione adattativa, la proboscide non è soltanto un organo prensile, ma è anche un
organo per la respirazione. Così la descrizione e la classificazione dello scienziato acquista
senso perché c’è questa visione di una teologia naturale alle spalle.
Il problema di fondo è, dunque, che lo scienziato deve avere una teoria alle spalle che gli
permette di porsi delle domande. In fondo, sempre nella filosofia classica c’era una proposta
alternativa che partiva da Empedocle e che viene splendidamente riportata nel De rerum
natura da questo punto di vista è splendido. La terra genera pari di viventi che poi si
incontrano in maniera casuale e si assemlano così come si incontrano. Ovviamente questa
teoria dell’assemblaggio causale di parti, oggi, può far pensare ad assonanze affascinanti con il
darwinismo. Di fatto si tratta solo d lontane assonanze, perché rispetto al darwinismo non c’è
la trasformazione nel tempo dei viventi, ma più semplicemente una teoria degli adattamenti. I
viventi non nascono per trasformazione da altri viventi, essi sono nati dalla terra che ha
prodotto, grazie alla sua forza vitale le singole parti: Queste si sono, poi, assemblate fra loro
in maniera casuale, quindi il risultato fu quello di vedere nascere un individuo con quattro
teste, ma senza gambe, e questo individuo è stato poi eliminato perché incapace di muoversi e
procacciarsi il cibo. C’era poi l’individuo con due braccia, due gambe, ma senza bocca, ed è
stato eliminato, perché pur potendo si muovere e procurarsi il cibo era incapace di nutrirsi a
causa dell’assenza della bocca. Di fatto sopravvivono solo quelli che hanno l’assemblaggio
giusto. La teoria alternativa dunque c’era già ma non funzionava dal punto di vista scientifico,
perché non permetteva di andare fino in fondo sul problema del significato degli adattamenti. .
Ecco perché paradossalmente Galeno che è un grande scienziato, non segue la visione di
Empedocle, perché la teoria di Empedocle, ad un certo punto, lo avrebbe costretto a fermarsi.
Le narici dell’elefante infatti si sarebbero trovate in cima alla proboscide per puro caso, senza
nessun particolare significato adattativo e, lì erano rimaste, non creando particolari problemi.
Andavano dunque solo descritte. Non c’era nessuna ragione teorica per domandarsi
ulteriormente il perché le narici erano lì. Cioè la teologia naturale in questa fase è veramente
lo strumento che permette tutta una serie di domande che altre teorie non permettevano. .
Quindi permetteva di descrivere e capire le ragioni funzionali degli adattamenti. In fondo per
spiegare l’adattamento dei viventi, così come per spiegare il moto dei pianeti, le grandi
scoperte della geometria e della astronomia classica era necessaria una teoria che affermasse
che l’universo fosse stato creato in maniera razionale.
È ancora affascinante che Galeno quando va a scrivere le ragioni per cui lo scienziato, il
medico, affronta l’impresa scientifica, pone al primo posto il puro piacere della scoperta. Ma
giàal secondo posto vi è la ragione teologia, cioè la necessità di dimostrare che l’universo è
stato creato da un Demiurgo provvidente e previdente. Se la ragione è la seconda, solo ultima
è la ragione pratica: apprendere l’ anatomia per insegnarla al chirurgo che dovendo
intervenire sul corpo umano, deve conoscerlo bene. Questa è una cosa affascinante perché
dimostra come fosse necessaria una teoria basata sulla teologia naturale per poter fare
scienza.
Quindi questa è l’idea di fondo: la nascita della teologia naturale, quindi di questa visione
apologetica della natura che dimostra in qualche modo la presenza di un’azione coordinatrice di
un’entità superiore, è innanzitutto una necessità della scienza.
Possiamo affermare che in qualche modo è la scienza che utilizza la teologia, per avere una
teoria che permetta di fare domande per allestire piste di indagine che portino a risposte. Di
fatto una teoria scientifica è tanto più utile quante più domande permette di fare, perché dà la
speranza di una risposta. Ricordiamo dunque ancora una volta che all’interno del progetto
casuale di Empedocle e di Lucrezio, Galeno si sarebbe fermato senza indagare ulteriormente le
ragioni della presenza delle narici all’estremità della proboscide. All’interno del programma di
teologia naturale Galeno va avanti, e spiega più a fondo la ragione adattativa della proboscide
dell’elefante.
Questa visione provvidenzialista della natura, quando s’incontra con la visione del Creatore
biblico, dà luogo ad una struttura così robusta, che sarà molto difficile da cambiare. Parlando
del dibattito sull’evoluzione, vedremo anche le ragioni dei fissisti e quindi le ragioni anche
scientifiche per cui non fu facile il cambiamento di paradigma. Ma ci renderemo poi conto che
essendo la Bibbia il racconto della storia della alleanza e della salvezza, con l’ evoluzione
questa storia si estende a tutto l’universo. Finalmente, grazie allo strumento dell’evoluzione, si
capisce fino in fondo il messaggio biblico e il progetto di Dio sull’intero universo.
Ma torniamo alla teologia naturale. Ho fatto l’esempio di Galeno perché era un biologo
sperimentale, quindi vicino alla mia disciplina, che smonta il vivente per vedere com’è fatto, e
per spiegare le ragioni della sua organizzazione.
Ma le dissezioni le faceva anche Aristotele che di fatto era un grandissimo biologo, che pone il
problema della finalità delle strutture dei viventi all’interno di una più ampia riflessione
sull’organizzazione degli oggetti complessi e del problema più generale dei fini. Questa visione
così ricca dal punto di vista scientifico, si incontra poi con la visione del Dio Creatore che viene
dalla bibbia, ed ecco che viene a costituire il paradigma fondamentale che regge la scienza
occidentale fino alla comparsa delle idee evoluzionistiche. Ma questo paradigma ha anche
tutta una serie di aspetti positivi che vorrei percorrere in questa seconda parte della lezione.
Siamo nella fase della biologia come scienza dell’osservazione della vita. In questa fase si
osserva si descrive, si fa dissezione: Quindi si osservano e si descrivono le caratteristiche dei
viventi; non sono esperto di biologia medioevale, ma quello che più mi ha affascinato è stato
leggere di Alberto Magno che facendo biologia sperimentale si poneva il problema dello
sviluppo del pulcino, e allora alleva uova e osserva le varie fasi dello sviluppo.
Questo per dire che la biologia come scienza nasce molto prima della biologia contemporanea
e quindi della biologia molecolare, esisteva già da molto tempo, prima che si iniziasse
l’osservazione e lo studio delle molecole. E la biologia nasce e si sviluppa come scienza
dell’osservazione della vita e al già al suo attivo il concetto di specie e una teoria degli
adattamenti. Ma a questo punto dobbiamo arrivare ad un passaggio importante: all’interno
dell’osservazione della vita salta fuori una cosa molto importante: il metodo sperimentale. Io
provengo dall’Università di Pisa quindi mi permetto di far riferimento a quel mio grande collega
che si chiamava Galileo Galilei.
Che novità apporta il metodo sperimentale all’interno di questa visione, che è sempre
all’interno di questa prima fase della biologia, cioè la biologia come scienza dell’osservazione
della vita? La novità sel metodo si basa su uno strumento intellettuale particolare che è
l’esperimento; in poche parole si isola un problema e lo si studia in una situazione artificiale e
quindi ben controllabile. Il problema che ci interessa viene tolto dal contesto naturale in cui è,
in maniera da ridurre al minimo i fattori di disturbo che possono interferire sulla sua
comprensione, viene ricostruito in laboratorio e osservato più volte nel suo svolgersi, in
maniera da poter essere descritto in maniera precisa. Una volta che l’abbiamo compreso
cerchiamo di trarne una legge universale. Quindi l’esperimento vuol dire studiare il problema in
maniera artificiale, per capirlo fino in fondo per poi trarre leggi universali, che permettano di
fare altri esperimenti.
Voi sapete tutto il grande lavoro di Galileo, ma io vorrei sempre affrontare il punto di vista
biologico, vediamo quindi come il metodo galileiano viene portato in biologia. Parliamo a
questo punto di Francesco Redi, e la confutazione della teoria della generazione spontanea.
Cosa era la teoria della generazione spontanea? Era la teoria che affermava che viventi
potesse nascere dalla materia non vivente, Se lasciate imputridire la carne, dalla carne
nascono vermi ; se lasciate del grano a macerare dal grano sembrano nascere i topi. Se
andate a leggere Virgilio nelle “Georgiche” c’è addirittura una ricetta per avere uno sciame
d’api; si appende ad un ramo una carcassa di vitello, la si lascia macerare e dalla bocca
usciranno le api. Quindi c’è l’idea molto importante che dalla materia non vivente possa
nascere la materia vivente. Ancora una volta possiamo evidenziare i rapporti con la riflessione
teologica: infatti dietro alla teoria della generazione spontanea vi un’idea teologica
importante: Dio è libero di suscitare la vita dalla nonvita
in qualsiasi momento. Quindi non è
asettico il problema, c’è un dibattito teologico importante alle spalle, che noi non seguiremo
perché ci porterebbe un po’ lontano, ma questo per dirvi che è sempre fortemente connesso il
discorso scientifico da quello teologico. Se posso aprire una parentesi, voglio farvi
un’affermazione forse troppo forte, ma di fatto qualunque indagine scientifica ha sempre alle
spalle una discussione su Dio, o in positivo o in negativo,. Si vuole mostrarne l’esistenza o
sottolinearne l’inutilità e quindi dimostrarne l’assenza.
Ma torniamo a Francesco Redi che invece decide di porsi la domanda se la materia non
vivente può generare viventi, dal punto di vista dell’esperimento. Voi sapete che Francesco
Redi faceva parte di quel gruppo di scienziati che, in Toscana, portò avanti il metodo
sperimentale e che si chiamò l’Accademia del Cimento. questo gruppo di scienziati che
lavorava si cimentava con l’esperimento. Vediamo come procede Francesco Reti. Intanto con
un’analisi della letteratura, ed un osservazione importante è quella presente nell’Iliade quando
Achille ordina di cacciare le mosche dal corpo di Patroclo altrimenti si sarebbe riempito di
vermi. Quindi vi era un rapporto, già noto, tra vermi e mosche. Quindi isola i vermi che
nascono dalla carne, e guarda cosa succede a questi vermi. Inizia quindi il lavora di
osservazione. Vede che i vermi si trasformano in bozzoli e poi dal bozzolo nascono le mosche
che guarda caso sono le stesse mosche che Reti vede girare intorno alla carne e deporvi le
uova. Ecco il punto, la domanda che si può porre: non possono essere le mosche che
depongono le uova nella carne da cui in seguito nascono i vermi? Come si può fare a
dimostrarlo? Redi prende diversi barattoli vi mette sul fondo della carne, ma alcuni sono aperti,
altri invece sono coperti da una garza. In quelli aperti la mosca può entrare e deporre le uova,
in quelli chiusi non può entrare perché è fermata dalla garza.
Quelli aperti dopo alcuni giorni si riempiono di vermi, in quelli chiusi la carne imputridisce, ma
non nascono vermi; Francesco Reti vede addirittura alcune mosche deporre le uova sulla
garza. Quindi la conseguenza di questi esperimenti è che affinché nascano i vermi occorre che
ci siano le uova, dunque i vermi non nascono dalla carne ormai morta per generazione
spontanea, ma nascono perché c’è la deposizione delle uova da parte delle mosche: Essi vivi,
nascono da uova deposte da altri vivi!
A me piace questo esperimento, perché è un bell’esperimento di biologia sperimentale, ma
soprattutto perché ci permette di capire una delle cose fondamentali della scienza e cioè che,
innanzitutto le rivoluzioni scientifiche sono rivoluzioni intellettuali, e solo dopo utilizzano gli
strumenti. Di solito si pensa alla scienza come se le sue conquiste fossero basate
sull’approntamento di sempre nuovi strumenti e poi con la elaborazione delle teorie. Di fatto
questa è una interpretazione almeno in parte sbagliata. Prima di tutto nasce la rivoluzione
intellettuale. Questo esperimento poteva averlo fatto benissimo Aristotele, non c’è niente di
tecnologicamente avanzato, sono dei barattoli con della garza, è il fatto concettuale che è
rivoluzionario. Isolo il problema e lo studio in maniera artificiale, perché in natura non ci sono
pezzi di carne separati dalla mosca attraverso una garza, ma questa forzatura delle condizioni
naturali permette di capire bene come funziona il sistema e quindi permette di rispondere alla
domanda che è alla base dell’esperimento stesso.
. Questa è la rivoluzione concettuale del metodo sperimentale. L’altra cosa importante è la
legge universale. Reti afferma che mai da quando il sommo Fattore pose la vita sulla terra, il
vivente è nato dal non vivente, ma sempre ogni vivente è nato dall’uovo o da un altro vivente.
Dunque da un semplice esperimento fatta in un giardino fiorentino, ne deriva una legge
universale assoluta: mai vivente è nato da un non vivente. Galileo riteneva che questi leggi
dovessero essere scritte nel linguaggio matematico, perché il Creatore utilizzò il linguaggio
matematico nel costruire le leggi che governano l’Universo. Ma. per la difficoltà di creare un
linguaggio formale in biologia, la legge generale viene scritta da Francesco Redi nel linguaggio
comune. M ala sua forza rimane intatta. La confutazione della teoria della generazione
spontanea ha dei risvolti interessanti dal punto di vista della storia della scienza, perché i
progressi della tecnica sembrano le affermazioni della teoria. Di solito si suppone invece che
avendo strumenti migliori si hanno maggiori possibilità di confermare la teoria più valida.
Con il microscopio si vede che dal fieno che marcisce dall’acqua, nascono tanti piccolissimi
animaletti, e questi animaletti sono nati sicuramente per generazione spontanea; l’idea era
sempre la stessa che riemerge grazie a quella grande conquista della tecnica che è il
microscopio.
L a prospettiva acquista di nuovo importanza perché come abbiamo già detto, uno dei
problemi del metodo sperimentale che cercava di scrivere delle leggi universali e assolute da
singoli esperimenti, sembrava in qualche modo mettere dei limiti riguardo all’onnipotenza di
Dio, un vecchio ma sempre attuale tema che è stato e sarà discusso tantissimo.
Quindi la scoperta di questi piccoli animaletti riapre la questione della generazione spontanea:
essi si sono formati per generazione spontanea. Sarà poi Spallanzani che perfezionando gli
esperimenti di Reti, potrà dimostrare che anche gli animaletti nati dagli infusi di fieno (i
cosiddetti Infusori) qui derivano da uova o da germi che si originano da viventi preesistenti.
Con il porgredire delle conoscenze scientifiche ecco che con lo sviluppo della chimica viene
espresso il dubbio che negli esperimenti di Spallanzani, nelle fiasche chiuse e sterilizzate col
calore, le tecniche di sterilizzazione avessero consumato ossigeno. E allora era la mancanza di
ossigeno che non permetteva la generazione spontanea, non la sterilizzazione che eliminava
uova e germi. La teoria della generazione spontana riacquistava forza, proprio grazie allo
sviluppo delle conoscenze nelle altre scienze. Ma vi è una parentesi curiosa che vale la pena di
aprire proprio perché stiamo riflettendo sui rapporti tra scienza teologia.. Cambia il quadro di
riferimento, cominciano a diffondersi le teorie evolutive che affermano che, al momento
dell’origine della vita, i primi viventi si dovevano essere organizzati per generazione
spontanea. Allora il fatto che non si riuscisse a dimostrare in maniera assoluta la teoria della
generazione spontanea, dava uno spazio all’azione diretta del Creatore, almeno al momento
dell’origine della vita?.
. I teologi sono favorevoli alla confutazione della teoria della generazione spontanea, per cui la vita può nascere solo attraverso un atto creatore di Dio, mentre gli evoluzionisti come Spencer, sono fortemente a favore della teoria della generazione
spontanea, così che, almeno all’inizio, si può affermare che la vita è nata dalla non vita. Non a
caso la confutazione della teoria verso la metà del diciannovesimo secolo, sarà opera di
Pasteur, che era un buon cattolico. La confutazione della teoria sembrava di fatto richiedere
che almeno in alcuni momenti fondamentali, la vita è stata generata da un intervento di Dio. MA torniamo al metodo sperimentale: si isola un problema si cerca di ricostruirlo in un
ambiente artificiale (esperimento) per capirlo in maniera approfondita e si trae una legge
generale che permette altri esperimenti. Questo metodo è dunque riduzionista: isola i singoli
problemi: smonta il vivente per studiarne approfonditamente il funzionamento delle varie parti,
nella speranza che, comprese le varie parti si possa comprendere poi anche il funzionamento
del tutto. Il metodo è anche meccanicista perché, in fondo era così che funzionava una
macchina, quindi il vivente viene paragonato ad una macchina che può essere smontata,
studiata nelle sue parti e poi riassemblata e riprendere a funzionare. Questo metodo
permetterà la grande biologia del Settecento e dell’Ottocento: la nascita della morfologia e
della fisiologia moderne. SE ; voglio studiare il funzionamento del cuore, isolo un cuore lo
metto in una soluzione fisiologica e vedo come variano i potenziali elettrici, vedo come variano
le sostanze che gli devo dargli per farlo funzionare. Rimane la riflessione sugli adattamenti,
che è ancora perfettamente all’interno del progetto di teologia naturale e che trova una sua
nuova spinta con la scoperta del microscopio: cioè la scoperta di una infinità di piccolissimi
animaletti che si vedono funzionare in maniera estremamente efficiente. Animali
completamente circondati da ciglia che si muovono nell’acqua con battito regolare e
sincronizzato, con un sistema talmente perfetto che solo Dio poteva averli creati in questo
modo. La scoperta dell’infinitamente piccolo nella vita è ancora un campo d’azione della
teologia naturale. Uno dei grandi biologi del diciassettesimo secolo, che comincia a studiare gli
aattaemtni con il microscopio, Jhon Ray, pubblica un libro che si intitola: la saggezza di Dio
manifestata dalle opere della creazione, che non è un libro di teologia ma di zoologia,: Egli
descrive gli adattamenti degli insetti ma nella descrizione della perfezione degli adattamenti
egli sottolinea la mano del Creatore.
Quindi continua a sopravvivere questa visione apologetica, che è ben comprensibile, dal
momento che c’è una ricchezza eccezionale di adattamenti che si poteva studiare grazie ad
uno strumento nuovo, il microscopio, e tutto era estremamente perfetto nella forma e nella
funzione. L’idea di Galeno risultava fondamentale anche per affrontare lo studio
dell’infinitamente piccolo, era quindi segno di una grande perfezione del creato. A questo
punto nasce un problema. Come vedremo si cominciano a trovare i fossili, si ci rendeva conto
che questi esseri viventi erano resti di animali che avevano vissuto in tempi precedenti e
talvolta non si riusciva a ritrovare il corrispondente vivente. Per la visione apologetica della
teologia però l’estinzione non era possibile, poiché Dio crea tutte le specie perfettamente
adattate, l’estinzione come risultato di un adattamento non efficiente, sarebbe il segno
dell’incapacità di creare perfettamente da parte di Dio. Se una sola specie si estinguesse,
affermerà Johon Ray, crollerebbe l’intera visione della teologia naturale.
A questo punto dobbiamo riflettere sui fossili e sull’opera di Nicolò Stenone. . Che cosa sono
queste strane pietre che assomigliano a parti di animali? Stenone era uno scienziato di origine
danese del XVII secolo che compie numerosi viaggi di studio in Europa e poi si ferma in
Toscana. Diventa uno scienziato tra i più importanti della corte del Granduca di Toscana, si
converte al cattolicesimo e poi lascerà la scienza attiva quando, fattosi prete, diverrà vescovo
e sarà mandato nel Nord Europa per seguire le piccole comunità cattoliche sopravvissute alla
riforma Il suo ultimo contributo scientifico è molto importante per la nostra riflessione. Egli
viene chiamato a fare la dissezione di uno squalo che era rimasto impigliato nelle reti di alcuni
pescatori livornesi, e dissezionando lo squalo si accorge che i denti del pesce sono
corrispondenti a delle pietre che lui aveva raccolto nelle colline dell’entroterra; quindi quelle
pietre sono resti di animali. L’importanza di Stesone, non è quella di aver capito l’origine
organica di quei resti che del resto era già stata compresa da altri autori, tra cui Leonardo da
Vinci, ma di essersi domandato come mai i resti dello squalo sono fuori posto, non sono su un
fondo marino ma su una collina. Allora Stesone abbozza una prima teoria dell’evoluzione del
paesaggio geologico. VI era dunque un braccio di mare con il nostro pescecane: il pesce
morendo è finito sul fondo, quindi i suoi resti erano effettivamente su un fondo marino.
L’erosione e la sedimentazione hanno colmato il braccio di mare, i sedimenti hanno coperto lo
scheletro, quando poi il mare è stato colmato dai sedimenti che si sono trasformati in roccia,
riempito, è ricominciata l’erosione che ha scavato e ha messo in evidenza i resti del pescecane
. Quindi un fenomeno di cambiamento del tempo dovuto ad erosione e sedimentazione
portava a far sì che il paesaggio naturale avesse una storia importante in cui la roccia si
sostituisce al mare, poi viene erosa e di nuovo ritorna il mare
Il punto chiave di Stenone è che dunque il tempo porta trasformazione nella natura: questa è
la grande novità di Stenone. Comincia nella scienza a farsi strada l’idea del tempo come
portatore di cambiamento irreversibile.
Il cambiamento nel tempo è la grande novità che comincia ad emergere. Stenone, come
abbiamo detto, lascerà quasi subito la scienza attiva, perché una volta convertito al
cattolicesimo verrà ordinato sacerdote, poi vescovo, ed andrà ad esercitare il suo episcopato
nel nord Europa, nelle zone luterane, dove essendo già scienziato famoso avrà una certa
libertà d’azione nel seguire le piccole comunità disperse di quei luoghi. Quando muore la salma
verrà portato a Firenze e sepolto in S. Lorenzo.
È interessante notare però che quando Stenone si pone il problema dei tempi necessari epr
quest’opera di cambiamento del paesaggio geologico, rimanda la testo biblico: ancora i
problema dei tempi è problema che compete alla teologia.
II
Ma l’ultimo grande risultato della scienza fissista è l’opera di classificazione dei viventi. Siamo
nel periodo in cui si cominciano a trarre le conclusioni scientifiche delle grandi scoperte
geografiche: con i grandi viaggi di esplorazione arrivano da ogni parte del mondo ai grandi
centri di ricerca europei, sempre nuovi animali, nuove piante, che vanno studiati.
Nascono gli orti botanici, e i primi musei di storia naturale per raccogliere il materiale e per
capire una qualche utilità si deve capire a cosa servono tutti questi nuovi esseri viventi. Ad un
certo punto i naturalisti non riescono più ad organizzare in un sistema di classificazioni
coerente tutta la grande diversità dei viventi. , non riesce più a comprendere. Tutti questi
nuovi esseri viventi sembrano far saltare tutte le visioni classificatorie che c’erano all’epoca.
La soluzione di questo problema deriva ancora dal quadro concettuale di riferimento della
teologia naturale. In effetti la teologia naturale, questo grande quadro di riferimento che
vedeva nella natura l’ azione ordinatrice di un’ entità creatrice che tutto aveva orientato al
bene e che era dunque garante della razionalità della creazione e della corretta organizzazione
dei viventi all’interno di un progetto provvidente e previdente, dava come risultato un disegno
comprensibile della forma e delle funzioni dei viventi, disegno che sembrava perdersi nelle
difficoltà che inquietavano il naturalista. D’altra parte la certezza di un ordine che come
abbiamo visto spingeva il naturalista a compiere il suo lavoro di descrizione e di catalogazione
Con l’esempio di Galeno abbiamo visto che la teologia naturale era divenuta uno strumento
fondamentale per la scienza occidentale. A questo punto la figura chiave per capire la
fondamentale importanza della teologia naturale anche nella scienza europea moderna è
Linneo. Carlo Linneo è un naturalista svedese, attivo nel diciottesimo secolo, che è il
responsabile della cosiddetta nomenclatura binomia per cui una specie viene indicata con un
nome doppio (ecco la ragione del termine binomia) il primo nome indica il genere ed il secondo
la specie. Se cerchiamo la nostra specie, sapete che noi uomini apparteniamo alla specie:
Homo sapiens. Questo modo di indicare una specie si chiama, appunto, nomenclatura binomia
perché non possiamo mai dire solamente sapiens perché isolato non significa niente,: il nome
che indica la specie deve esistere solo e sempre accompagnata dal genere; quindi Homo
sapiens ( col nome del genere sempre maiuscolo e, salvo non sia costruito su un nome proprio,
quello della specie sempre minuscolo. Ma nei testi più precisi non trovate: Homo sapiens ma
Homo sapiens L, dove questa L si riferisce a Linneo. In effetti, per evitare errori, quando si
definisce una specie occorre sempre mettere accanto il nome, o la sigla di chi l’ha descritta,
per sottolineare che si intendere usare il termine specifico Homo sapiens nel senso in cui l’ha
utilizzata chi l’ha descritta. Quindi la specie Homo sapiens è stata pe rla prima volta descritta,
all’interno del quadro tassonomico e sistematico moderno, da Carlo Linneo.
. Noi facciamo riferimento a Linneo perché questa organizzazione degli esseri viventi in precise
categorie tassonomiche la si deve a lui. Il fatto che noi suddividiamo i viventi in regni, i quali a
loro volta sono divisi in classi, che sono suddivise in ordini, che sono suddivisi in famiglie, le
quali a loro volta sono suddivise in generi, che sono suddivisi in specie; questa organizzazione
gerarchica che va dall’alto in basso, in cui nel regno ci sono una grande quantità di esseri
viventi all’interno di una definizione molto ampia e poi a mano a mano si passa a categorie
sistematica che hanno definizioni sempre più ristrette e che quindi accolgono un numero di
specie sempre più ridotto. sono classificati più dettagliatamente fino alla specie, è merito di
Linneo. Rapidamente se vogliamo classificare la specie Homo sapiens il risultato è quello che
segue:
REGNO: animale
PHYLUM: vertebrati
CLASSE: mammiferi
ORDINE : primati
FAMIGLIA: ominidi
GENERE: Homo
SPECIE: Homo sapiens
Questa organizzazione la dobbiamo a Linneo. È affascinante vedere le ragioni per cui Linneo
arriva a questa classificazione; si parte da questa operazione apparentemente impossibile:
riorganizzare tutta la struttura gerarchica degli esseri viventi. Siamo nella seconda metà del
Settecento; i continenti sono ormai stati scoperti, e sono più di due secoli che materiale da
tutto il mondo arriva in Europa, e viene studiato dal punto di vista scientifico, per definirlo;
devono essere comprese le somiglianze o le lontananze con le specie europee, ma bisogna
capire meglio le utilità le piante possono servire, o alcuni animali, per medicine, per
nutrimento, quindi ci sono grosse istituzioni, ad esempio gli orti botanici che nascono in questo
periodo. Ad un certo punto i naturalisti perdono la speranza di trovare uno schema comune che
organizzi tutti i viventi, tali e tante sono le varietà di esseri viventi disperse in tutto il mondo. È
interessante che Linneo fa la stessa cosa che aveva fatto Galeno in epoca classica, Linneo
s’imbarca in questa avventura di riorganizzare all’interno di uno schema gerarchico ben preciso
i viventi, per un motivo teologico. C’è un ordine nella natura che ha dato Dio, quindi è l’uomo
che non è capace di vedere questo ordine; lo scienziato dunque deve rimboccarsi le maniche e
ricostruire l’ordine gerarchico che Dio ha dato ai viventi. Qui Linneo ha un’idea geniale su come
ritrovare questo ordine: bisogna trovare delle caratteristiche morfologiche che permettono di
collegare i vari individui fra loro, le varie specie fra loro, i vari ordini fra loro, in entità
gerarchicamente organizzate. Trovare queste caratteristiche, ed il tipo di caratteristiche, ad
esempio le piante vengono collegate attraverso la struttura del fiore, la struttura di
riproduzione, l’embrione, etc.. cioè sono gli elementi chiave che permettono di organizzare la
vicinanze, le somiglianze e le differenze nei vegetali. Negli animali si cerca di vedere la
struttura dello scheletro, ed allora ecco gli animali con vertebre e animali privi di vertebre, i
modi con cui si riproducono, o si osserva quando ancora sono piccoli, ecco che si separano i
mammiferi da tutti gli altri, a poco a poco ne nasce una struttura, e guardate la linearità di
Linneo è che lui organizza questa struttura all’interno ancora di una visione fissista cioè del
fatto che tutte le specie sono state create ad una ad una da Dio, qui Linneo è chiarissimo:
tante sono le specie, quante ne ha contate all’inizio l’Essere supremo, quindi stabilità completa,
ma la sua divisione la utilizziamo ancora oggi che siamo completamente all’interno del
paradigma evolutivo; è talmente geniale nel trovare le caratteristiche morfologiche che
permettevano di costruire questa struttura gerarchica, che è cambiato completamente il
paradigma della scienza biologica ma utilizziamo ancora la classificazione di Linneo. Questa è
l’ultima grande conquista della biologia fissista. Anche la visione filosofica di Linneo è fissista,
infatti lui può affrontare questo problema perché alle spalle della struttura della natura c’è
l’attività ordinatrice di Dio. Dio organizza direttamente i viventi con la sua attività, dando
l’ordine della natura, non è un caso che il libro di Linneo si chiama “Il sistema naturale”. Quindi
vedete, il legame stretto che continua ad esserci fra scienza, teologia, e filosofia. Questa
grande conquista della scienza anche di oggi perché usiamo ancora oggi le categorie di Linneo,
magari non dividiamo gli esseri viventi solo in due regni: animale e vegetale, oggi i regni sono
cinque e forse anche di più, ma l’idea generale, il sistema all’interno del quale si articolano
queste categorie è sempre quello di Linneo. La costruzione linneiana è talmente ben fatta che
sopravvive a quel grande cambiamento id pradigma che in biologia è il passaggio dal fissismo
all’ evoluzione.
Infatti mentre Linneo compie la sua opera, le cose stanno cambiando. Ci si comincia a rendere
conto che i tempi della storia della terra sono molto più lunghi di quanto si poteva dedurre
dalla ricostruzione delle genealogie bibliche, si scoprono fossili di animali non più viventi e si
pone il problema dell’estinzione. Da alcuni autori come John Ray, che si muovevano ancora
all’interno del paradigma della teologia naturale, l’estinzione era stata totalmente rifiutata sulla
base dell’idea che, dal momento che Dio ha creato tutti i viventi perfettamente adattati,
l’estinzione sarebbe una rottura all’interno dell’opera perfetta di Dio, e una dimostrazione di un
suo fallimento progettuale. Gli animali che, in una certa località, si ritrovano solo come fossili,
non si sono estinti, ma si sono solo spostati in aree della terra non ancora esplorate dal
naturalista. Ma a poco a poco, si scoprono fossili di animali di tali dimensioni che non
potevano essere sconosciuti alla scienza se ancora viventi. Quindi si trattava di fossili di specie
estinte. Inoltre emerge sempre di più il dato che la specie non è un’entità stabile:
l’osservazione di animali che appartengono alla stessa specie, raccolti in zone diverse,
vediamo evidenti differenze, e quindi anche una variabilità à notevole da individuo a individuo.
Linneo se l’era cavata con una battuta affermando che la varietà all’interno della specie, non
interessava il naturalista : erano piccole varianti all’interno del grande disegno del creato.
Ma ecco il problema del tempo, come dicevamo. I tempi diventano sempre più ampi; ci si
rende conto ad esempio che la storia della terra può essere calcolata su presenti tempi di
raffreddamento della crosta terrestre.
Un naturalista francese: Buffon arriva a parlare di un’età della terra 80. 000 anni. Oggi per noi
questi 80. 000 anni sembrano pochissimi: oggi parliamo tranquillamente di 4 miliardi di anni.
Al contrario rappresentano un dato di grande cambiamento, un dato rivoluzionario, perché
sono fortemente vincolati alla storia della terra indagata dalla scienza non più ricostruita
basandoci sulle genealogie bibliche che permettevano di raggiungere solo sei
settemila anni.
Il tempo diviene oggetto di indagine scientifica, va indagato con gli strumenti della scienza,
almeno il tempo che caratterizza la storia della natura. Come si vede il punto fondamentale, è
che a poco a poco iniziano ad emergere i vari temi che saranno poi sintetizzati nella grande
teoria dell’evoluzione. Ma c’è ancora un punto importante: la variabilità dei viventi. La
variabilità geografica diventa un dato importante da tenere in considerazione che derivava
dall’osservazione della diversità tra individui chiaramente della stessa specie, ma raccolti in
aree geografiche diverse e talvolta lontana. C’era dunque l’estinzione, c’era la variabilità
geografica, c’erano tempi lunghi, dunque gli ingredienti c’erano tutti, che cosa manca? Io sono
sempre rimasto affascinato dal lavoro epistemologico di I. Lakathos che affema che per far
nascere una nuova teoria scientifica è necessaria una prospettiva metafisica, nel senso
letterale del termine, qualcosa che sta al di là dell’osservazione e dell’esperimento, che sta al
di là della fisica. Qual è l’idea che fa coagulare tutte queste nuove scoperte? È l’idea
illuministica del progresso. L’idea di un progresso che interessa l’umanità, quindi non più cicli,
corsi e ricorsi attraverso cui si ripassa, ma una prospettiva che apre al futuro, e quindi il senso
della storia come qualcosa che si muove verso un futuro sempre migliore. Questa idea fa da
innesto e per riorganizzare tutte le componenti derivate da esperimenti ed osservazioni. . Se
c’è il cambiamento nel tempo, e questo cambiamento si suggerisce che si vada da esseri più
semplici ad esseri più complessi, da esseri con scarse capacità celebrali ad esseri con maggiori
capacità celebrali fino all’uomo, tutti questi indizi si riorganizzano all’interno della prima teoria
dell’evoluzione: cioè il trasformismo lamarkiano. Allora ecco spiegata l’estinzione: di fatto si
tratta di specie che si trasformano in altre. Ecco spiegata la variabilità non soltanto geografica
ma anche nel tempo. Infatti il naturalista trova in zone diverse, specie o individui della stessa
specie con piccole variazioni, ma le variazioni che trova il paleontologo sono le stesse, dunque
la variabilità che vale nello spazio vale anche nel tempo. Ed essendo i tempi molto lunghi
all’interno dell’idea del progresso si va dagli animali più semplici a quelli più complessi, la
struttura gerarchica che Linneo dava alla natura come segno diretto della struttura voluta da
Dio, qui rimane ancora una struttura gerarchica, però diventa la struttura gerarchica dovuta a
questo continuo movimento della vita, che da viventi più semplici va verso quelli più
complessi.
Siamo tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento. Lamarck è una figura chiave perché
trasforma la storia naturale, nel senso di descrizione, di racconto della natura, in storia della
natura, il cambiamento nel tempo nei viventi, non più solo delle rocce, non più dei mari, ma
dei viventi. Questo è il vero ed unico cambiamento di paradigma che c’è nella storia della
biologia. A questo punto che cosa succede? Lamarck, è fondamentale per la storia della
scienza non solo perché è il primo a proporre il trasformismo, ma anche perché suggerisce dei
meccanismi che lo spieghino. meccanismi su cui si discuterà per molti anni, ed ancora si
discute oggi.
Lamark spiega l’evoluzione dei viventi attraverso l’uso ed il disuso degli organi, e con
l’ereditarietà dei caratteri acquisiti. Uso e disuso degli organi, è ben evidente che durante la
vita di un essere vivente, l’utilizzo o il non utilizzo di un organo lo fa cambiare. Un esempio
banale, se volete: il sollevatore di pesi ha una muscolatura che è molto diversa da quella
dell’impiegato, sono diversi gli organi che sono utilizzati. Quindi l’individuo non cambia per
casualità, può cambiare anche in relazione alle risposte che dà alle provocazioni dell’ambiente:
l’ambiente induce il singolo essere vivente a cambiare per rispondere alle variazioni
dell’ambiente. Come questo cambiamento può essere trasmesso, e diventare uno strumento di
cambiamento della specie nel tempo? Ecco che entra in gioco l’ereditarietà, il cambiamento
viene acquisito anche dalle generazioni successive. Il carattere acquisito dall’individuo viene
trasmesso ai figli.
Il sollevatore dei pesi avrà dei figli robusti. L’ereditarietà dei caratteri acquisiti era un dato
scontato per la scienza del tempo, quindi attraverso questi due strumenti si spiegava in tempi
lunghi il cambiamento della specie, all’interno di questa idea generale del progresso, che non
riguardava solo la storia, ma anche gli esseri viventi.
Guardate i meccanismi di Lamarck saranno attaccati in vario modo, anche se per l’ereditarietà
saranno ripresi anche da Darwin. Ma l’importanza di Lamarck per la storia della scienza è
l’idea della trasformazione nel tempo degli esseri viventi, e l’idea importantissima che la
trasformazione avviene in un rapporto dialettico fra ambiente e vivente. L’ambiente cambia,
spinge il vivente a cambiare per adattarsi, questo cambiamento viene trasmesso ai figli che
quindi nascono già adattati, ma è l’ambiente che continuamente spinge il vivente a cambiare
dunque il motore dell’evoluzione. Che dire dell’impatto sulla riflessione filosofica, e sugli aspetti
teologici per quel che riguarda la teoria di Lamark. Vi è un libro un zoologo francese della fine
dell’Ottocento, Quatrefages, che era anche un credente e nel testo spiega l’evoluzione. Ahimé
la seconda metà dell’Ottocento è un periodo di scontri molto duri, e nella seconda edizione di
questo libro, Quatrefages premette una introduzione su Lamarck come uomo di fede. Ma
attenzione Lamarck era illuminista, il dio di Lamarck non era il Dio della bibbia, era più il
Demiurgo platonico garante dei meccanismi, che mette in moto l’universo che poi si sviluppa
da solo perché dio si ritrae, è dunque il dio della ragione illuminista, solo garante della
razionalità dei meccanismi. L’evoluzione procede continuamente in questo rapporto
dialettico: quindi il meccanismo una volta messo in modo fa si che si inducano cambiamenti
dell’ambiente, che porta a cambiamenti nel vivente. Tutto quindi rientra ancora in questo
progetto che vede un programma che si svolge regolarmente, ma in maniera ormai autonoma.
Ma cosa succede dopo Lamarck? È una figura curiosa dal punto di vista personale. È un
nobile, ma è anche di idee rivoluzionarie quindi partecipa alla rivoluzione francese, ma poi
viene travolto dal periodo della restaurazione. Di fatto è fortemente in competizione con un
collega del Museo di Storia Naturale di Parigi, che è George Cuvier. Cuvier è un personaggio
della borghesia, dunque di una classe emergente, è luterano, quindi molto legato alla bibbia,
ed è soprattutto un fissisista. Probabilmente ci sono anche ragioni di incomprensione
personale. Lamark propone l’evoluzione, quindi Cuvier diviene l’ultimo rappresentante del
fissismo, anche se paradossalmente aveva in mano due strumenti per sviluppare l’idea
evoluzionistica.
Innanzitutto di tutto era un paleontologo, che scava nella regione di Parigi e si rende conto che
nella stessa regione, in tempi diversi, i sono sostituite flore e faune diverse; quindi tocca con
mano la successione nel tempo dei viventi; Ma come la spiega? Come spiega che prima ci
sono delle piante e degli animali, poi c’è una situazione in cui mancano fossili, e poi ci sono
altre piante e altri animali. Cuvier ricorre alla elaborazione della teoria delle grandi catastrofi.
C’è stata una grande catastrofe, che ha distrutto la fauna e la flora, e poi altri animali ed altre
piante, venendo da altre zone hanno ripopolato la regione desertificata: ecco perché nel tempo
c’è questa successione. Questa è una delle pagine più tristi della storia della biologia, perché
Cuvier aveva in mano gli strumenti adatti a far decollare la teoria di Lamarck, ma per antipatia
personale non lo farà, e bisognerà andare in Inghilterra ed aspettare Darwin perché questo
avvenga. Cuvier però era persona di grandi capacità intellettuali: per trovare una conferma
alla teoria delle catastrofi non va a leggere solo la Bibbia, ma anche i grandi testi di altre
religioni, e in tutti trova il riferimento ad un evento eccezionale, quindi dice vedete l’ultima
catastrofe è quella che è stata registrata da questi scrittori ed è nota come “diluvio universale”.
Vedete che c’è questo gioco dialettico, la scienza trova riferimento nella bibbia, la quale trova
un appoggio nella visione della scienza. L’altra cosa affascinante o disperante di Cuvier è che
egli è anche il fondatore dell’anatomia comparata cioè della scienza che compara gli organi
degli esseri viventi per cercare di capire se possono essere ricondotti ad un piano comune. Il
nostro arto anteriore è fatto di: omero, ulna, radio, tutti le varie ossa della mano, come l’arto
anteriore del coniglio, come l’arto anteriore dell’uccello, come l’arto anteriore del delfino.
Quindi derivano tutti da un piano comune, che però non è nella prospettiva di Cuvier il segno
della derivazione dalla struttura di un progenitore comune, bensì è il piano che esisteva nella
mente di Dio al momento della creazione
A questo punto, prima di parlare di Darwin, bisogna andare a vedere che sta succedendo in
Inghilterra Qui le idee di Lamarck vengono discusse e sono conosciute, e quindi comincia ad
essere discussa l’idea del trasformismo, tra l’altro un autore che diffonde l’ipotesi lamarckiane
è proprio il nonno di Darwin, Erasmus.
C’è una ragione precisa per questa diffusione che si ricollega alle relazioni fra scienza e società,
relazioni sempre importanti perché lo scienziato non vive separato dal resto del mondo, ci vive
ben immerso e spesso ne è fortemente condizionato.
L’Inghilterra sta vivendo lo scontro tra la visione statica della società basata sulla vecchia
aristocrazia terriera ancora appoggiata alla Chiesa di Inghilterra, ed invece una nuova
borghesia che sta emergendo, basata sullo sviluppo dell’industria. La famiglia di Darwin era
più vicina a questa seconda visione.
È lo scontro fra l’universo statico e l’universo dinamico. Quindi vedete che non è un caso che il
nonno di Darwin si occupasse di Lamarck, cioè di questo progetto di trasformazione continua
rispetto ad una descrizione statica della società, del mondo, dell’universo.
Darwin è attratto dagli studi medici, come il padre, va ad Edimburgo a studiare medicina, ma
fa ad Edimburgo tranne studiare medicina; i docenti, il pomeriggio danno a pagamento lezioni
su ciò che interessa agli studenti.
Darwin impressionato dalla vista del sangue segue molto di più del lezioni pomeridiane.
Segue le lezioni di geologia, di entomologia, di zoologia, cioè le lezioni naturalistiche.
Edimburgo, non è ne Cambridge, ne Oxford, le due grandi università strettamente legate alla
chiesa di Inghilterra, dove ancora si studiava la teologia naturale, e quindi era un ambiente
vivace intellettualmente in cui i docenti nel pomeriggio liberi dai programmi ufficiali
insegnavano anche Lamarck. Il padre però richiama Darwin rimproverandogli di non procedere
negli studi di medicina e gli suggerisce di di fare il prete: il pastore della chiesa d’Inghilterra.
Questo è interessante per capire l’ambiente inglese. È curiosa questo suggerimento paterno:
se ti piace fare il naturalista, vai a studiare per diventare prete, potrai ottenere una tranquilla
parrocchia dove hai tutta la calma che desideri e una buona rispettabilità sociale e ti dedichi
allo studio delle scienze della natura.
Darwin va a Cambridge, e dovendo studiare per diventare pastore della chiesa d’Inghilterra,
ha una preparazione teologica basata fondamentalmente sulle opere di William Paley,
ricordato ormai come uno degli ultimi grandi teologi della natura, ma che in realtà non era un
teologo naturale, ma un apologeta della visione statica che aveva portato la chiesa di
Inghilterra ad essere un punto di riferimento di un certo modo di gestire lo stato e la società.
In effetti se Dio aveva creato l’universo già completo compiuto ed ordinato e la perfezione dei
viventi ne era la prova migliore, questa organizzazione si rifletteva nella struttura gerarchica
della società che dunque non doveva essere cambiata.
Se indago la natura, la natura mi suggerisce l’idea di un ordine provvidente e previdente dato
al momento della creazione. Quindi è Dio che direttamente, come l’orologiaio ha organizzato i
meccanismi dell’orologio, ha organizzato il perfetto funzionamento della macchina della natura
e della società. Tanto è vero che l’azione dell’uomo può alterare solo in peggio ‘ordine voluto
da Dio e ne è prova il peccato originale
Quindi Darwin si forma a Cambridge ma può anche finalmente dedicarsi alla sua passione per
le scienze della natura e comincia ad essere conosciuto come naturalista. E qui ha la grande
occasione. L’impero spagnolo in America latina è ormai crollato, e l’ammiragliato britannico
manda alcune navi per mappare le coste dell’America latina. Era tradizione che in queste
spedizioni fosse imbarcato anche un naturalista, affinché potesse raccogliere animali e piante
da poter studiare. Parte una nave: la Beagle e viene offerto a Darwin di partecipare a questa
spedizione.
Questa nave percorre tutta la costa atlantica dell’America latina, arriva fino alle Falckland,
passa lo stretto doi Magellano, risale la costa pacifica dell’America latina e poi approda alle
isole Galapagos. Sono molto importanti i numerosi scali sulla costa atlantica, perché questo
permette a Darwin di toccare con mano la variabilità geografica. nelle grandi pianure trova
fossili recenti del Quaternario, e si rende conto che la variabilità geografica che è ben evidente
andando da Nord a Sud, è più o meno la stessa che lui riscontra nel tempo trovando fossili non
troppo distanti, net tempo, dalle forme viventi. Quindi lo studio della natura fa sì che l’idea
della fissità della specie con cui ero partito da Cambridge si sbricioli di fronte alle osservazioni
praticamente quotidiane della variabilità nel tempo e nello spazio. C’è un altro aspetto
importante: Darwin ha con sé un volume da poco uscito: i “ principi di geologia” di Charles
Lyell, che è il principale geologo inglese del tempo. Darwin ha bisogno di tutta una parte
specialistica che dia precise indicazioni al geologo per riconoscere gli strati e le rocce. Infatti,
recandosi in zone praticamente sconosciute ha bisogno di un manuale pratico. Di fatto però nel
volume c’è anche una parte teorica. La parte teorica si contrappone alla visione di Cuvier.
Cuvier parlava di catastrofi per spiegare i grandi cambiamenti della crosta terrestre. Lyell
risponde con l’attualismo. Non è vero che per spiegare i grandi cambiamenti c’è bisogno di
eventi catastrofici, ma bastano piccole cause che hanno agito per tempi lunghi. È una
affermazione importante: perché attualismo vuol dire che questi piccoli cambiamenti sono
quelli che ancora oggi cadono nel campo delle possibilità di osservazione dello studioso.
L’erosione sposta solo una piccola parte di terreno, ma in tempi molto lunghi, appiana una
montagna, e riempie un mare. L’emersione delle terre, che il geologo constata in termini di
millimetri, in tempi lunghi solleva un’intera catena di montagne. Ma il punto fondamentale è
che possono essere studiate perché anche se in quantità minime, avvengono sotto gli
strumenti di indagine dello scienziato. Quindi i grandi cambiamenti possono essere studiati
perché sono determinati dalle stesse cause che vedo oggi. Questo è uno dei punti chiave dei
meccanismi del programma di ricerca darwiniano: le trasformazioni dei viventi, anche le grandi
trasformazioni, quelle che rendono ragione ad esempio della differenza che intercorre fra una
balena ed una farfalla, devono essere avvenute per somma di piccole variazioni che si possono
studiare perché stanno agendo ancora oggi. Praticamente quando Darwin torna dal viaggio è
convinto della trasformazione delle specie, e dunque tenta di cercarne i meccanismi..
È interessante ricordare come una parte importante della sua indagine riguardi i fringuelli
delle Galapagos. Vedete la struttura generale delle vari specie è abbastanza simile: in fondo
sono tutti fringuelli,, ma c’è una grande quantità di variazioni che permettono di individuare
specie diverse. La più importante è quella che riguarda la forma del becco. Becchi diversi
significa capacità differente di procurarsi il cibo, quindi adattamenti a differenti situazioni.
Darwin si chiede come mai sul continente ha osservato una grande varietà di uccelli di tutti i
tipi e di tutti i colori, ma al contrario sulle Galapagos ha trovato solo fringuelli? Forse che Dio
aveva esaurito la sua fantasia, quando si è trattato di creare le specie delle Galapagos? È più
ragionevole pensare che queste isole abbastanza lontane dal continente siano state colonizzate
da un piccolo gruppo di fringuelli, che senza competitori ha occupato tutte le nicchie ecologiche
disponibili, adattandosi alle varie forme di cibo. che si è adattato all’ambiente.
Darwin raggiunge queste conclusioni, quando, ormai tornato in patria comincia a studiare il
materiale raccolto e a riflettere sul problema della variazione delle specie. Sposa una cugina,
Emma Wedgwood, imparentata con i fabbricanti di porcellane, e si può così ritirare ad
osservare e a studiare tutta la vita, senza nemmeno il disagio della cura di una parrocchia!
Ovviamente non diventerà mai pastore della chiesa di Inghilterra.
Ma occorre ancora indagare sui meccanismi e occorre un latro strumento che applichi alla
biologia l’ attualismo di Lyell. L’attualismo dice che l’erosione, la sedimentazione sono fattori
che portano dei cambiamenti, però in geologia, ma nella biologia dove poteva trovare degli
strumenti per capire ed elaborare una teoria coerente? Darwin si rivolge agli allevatori, che
allevatori, che sono coloro che operano sul vivente in maniera diretta per ottenere dei
cambiamenti. Darwin entra in contatto con molti di loro, per capire i loro metodi.
Ma occorre ancora uno strumento teorico che Darwin trova nell’opera di Thomas Robert
Malthus. Il punto di partenza dell’indagine di Malthus era la condizione drammatica dell’uomo.
Come mai nelle grandi città cominciano ad esserci poveri che campano a stento, che hanno
difficoltà a sopravvivere? Vi è una ragione “scintifica” di questa situazione cosi’ drammatica?
Maltus sviluppa una teoria nel suo “saggio sui principi della popolazione” che è un primo punto
di riferimento ai lavori di Darwin. L’idea di Malthus, è quella di capire innanzitutto come varia
nel tempo dal punto di vista numerico, una popolazione umana. La sua opera è di grande
interesse anche perché è anche uno dei primi tentativi dell’applicazione della matematica alla
sociologia; egli va a vedere i registri della anagrafe delle grandi città europee, o meglio i dati
dello sviluppo della popolazione basati sui registri della anagrafe, e che cosa trova? Trova un
punto interessante: nelle grandi città europee, le popolazioni sono stabili. Poi va a vedere la
stessa cosa nelle città inglesi del Nord America, e vede che lì invece la popolazione cresce
continuamente, non è statica; allora qual è la conclusione a cui arriva Malthus? Le popolazioni
del Nord America crescono continuamente, perché in pratica hanno a disposizione risorse
praticamente illimitate. Una popolazione se ha a disposizione tutte le risorse che vuole, cresce
secondo una proporzione geometrica; cioè rimane costante il rapporto tra ogni numero e
quello che lo precede. La crescita ad un certo punto comincia a salire rapidamente. Come mai
invece nelle popolazioni europee dove non ci sono risorse illimitate, la situazione è stabile?
Perché le risorse crescono, ma crescono secondo una progressione aritmetica, rimane costante
la differenza tra ogni numero e quello che lo precede. Quindi abbiamo una retta che ad un
certo punto fa si che la popolazione cresce più delle risorse. E a questo punto la popolazione
diventa stabile perché le risorse non bastano; le risorse sono meno delle potenzialità
demografiche di una popolazione. Quindi nascono molti figli ma non ci sono risorse per tutti.
L’idea di Malthus è quella di andare a vedere i dati sulle popolazioni reali, e nell’America i
bianchi si diffondono e crescono continuamente perché ci sono risorse a disposizione; per ora
le risorse sono più delle potenzialità demografiche quindi la crescita è alta. Ad un certo punto
le risorse non bastano; quindi da questo punto in poi c’è competizione, una vera e propria
lotta per la sopravvivenza, si combatte per arrivare alle risorse. Ecco il punto
drammaticamente importante: la lotta per la sopravvivenza; qualcuno arriva alle risorse,
qualcuno non ce la fa. Le conseguenze del malthusianesimo le conoscete: non è sensato
aiutare chi non ce la fa, perché in fondo è un perdente nella lotta per la sopravvivenza, quindi
è legge di natura che venga abbandonato a se stesso.
. Malthus descrive questa condizione con un termine terribile: misery, la miserabilità della
condizione umana. Ma è ancora la condizione umana che aveva alterato il piano di Dio, con il
suo peccato. Se voi andate a vedere un testo della apologetica cattolica, “Il genio del
cristianesimo” di R. de Chateaubriand, c’è proprio un esempio di questo genere: guardiamo la
tragedia della condizione umana, guardiamo la perfezione della natura e vediamo che la
condizione dell’uomo è drammatica a causa della sua colpa. La miserabilità della condizione
umana diviene la prova, potremmo dire sperimentale, del peccato originale.
Qui emerge il prolema di fondo del darwinismo e la sfida alla teologia: Darwin estende a tutta
la natura questa miserabilità: questo è il problema, qui c’è la difficoltà di fondo del darwinismo.
Noi indagheremo piste per capire come come risolverlo e se si può risolverlo. In fondo come
Galileo aveva unificato lo spazio, mostrando che le leggi della terra corruttibile valevano anche
per i cieli incorruttibili, così Darwin unifica il tempo mostrando che le leggi drammatiche che
vediamo oggi sono le leggi della natura, di tutta la natura. Questo è il problema, non esiste
una natura incorrotta prima del peccato e poi una corruzione che entra nel mondo come
conseguenza del peccato, ma una profonda unità di meccanismi.
Ecco dunque l’opera di Malthus, ecco l’attualismo, ecco i lavori degli allevatori. Darwin inizia a
riflettere, scrive a colleghi, apre volumi e volumi di appunti di questa sua grande opera sulle
origini delle specie. Mentre sta facendo questo grosso lavoro di sistemazione del materiale
raccolto e di riflessione, gli arriva una lettera dalla Malesiada A. R. Weallace, uno scienziato e
naturalista, abbastanza noto per i suoi lavori di biogeografia. Di fatto è oggi considerato il
fondatore di questa disciplina. La biogeografia è la scienza che cerca di individuare dal punto
di vista della fauna e della flora le grandi regioni del globo. Ancora oggi la linea ideale che
separa le faune dell’Asia da quelle dell’Australia si chiama linea di Wallace.
Wallace scrive di essere a conoscenza che anche Darwin sta lavorando ad un’opera
sull’evoluzione delle specie e sottopone un testo di poche pagine in cui organizza le sue
riflessioni sul problema pregandolo, se lo ritiene interessante, di aiutare a pubblicarlo.
Wallace è l’altra grande figura della teoria evolutiva basata sull’ipotesi della selezione naturale.
In effetti si dovrebbe chiamare teoria di Darwin
Wallace, perché di fatto ci giungono assieme
anche se in maniera indipendente. Ma Wallace era figlio di modestissimi genitori, per vivere
aveva fatto vari mestieri, fino a trovare la sua strada: faceva il procacciato di materiale per i
grandi Musei europei. Girava il mondo preparando collezioni, di solito di insetti che poi
vendeva ai musei. Questo gli permette di fare gli stessi percorsi di Darwin, e di toccare anche
lui con mano la variabilità della specie. Si ammala in Malesia di malaria, deve stare a letto,
legge Malthus e molto rapidamente, arriva alle stesse conclusioni a cui sta faticosamente
giungendo Darwin A questo punto scrive la lettera.
Wallace si rende rapidamente conto che non può competere con Darwin come posizione sociale
e accetterà di buon grado di essere ricordato come il secondo dopo Darwin, anche se, come
vedremo, c si discosterà da lui su un punto importante che riguarda proprio l’origini de
dell’Uomo.
Comunque, tornando alla lettera, Darwin propone una pubblicazione comune, Wallace
ovviamente è d’accordo, il fascicolo con i due lavori esce nel 1858, un anno dopo esce
“l’origine delle specie per mezzo della selezione naturale” di Darwin. È un libro a questo punto
talmente atteso che la prima edizione viene esaurita il giorno stesso che va in libreria.
A questo punto vediamo come è strutturata la teoria della selezione naturale. La teoria si
basa su tre fatti e due deduzioni. Primo fatto: i figli sono più numerosi dei genitori, questo
vale per tutte le specie in generale non solo per gli esseri umani. Secondo fatto: di generazione
in generazione gli individui di una specie rimangono costanti. Prima deduzione: se il numero
dei figli è sempre maggiore dei genitori, ma il numero degli individui di una specie rimane poi
costante, ecco Malthus: c’è una lotta per la sopravvivenza; alcuni sopravvivono ed altri no.
Come questa lotta per la sopravvivenza fa cambiare gli esseri viventi? Terzo fatto: anche
all’interno di una specie è ben visibile una variabilità ereditaria. Se c’è una variabilità ereditaria
e c’è una lotta per la sopravvivenza, di generazione in generazione la natura, intesa in senso
lato, sceglierà quegli individui che meglio si adattano ad una determinata situazione
ambientale. Per fare un esempio banale, ma chiaro, in un periodo di freddo, fra lupi a pelo
lungo e lupi a pelo corto, quelli a pelo corto avranno più difficoltà a sopravvivere, faranno
meno figli, quelli a pelo lungo staranno meglio, faranno più figli ed il carattere pelo lungo si
diffonderà.
L’ambiente sceglie di generazione in generazione gli individui che meglio si adattano. Ecco
dunque la seconda deduzione: la selezione naturale. Qui si vede bene come sia stato applicato
alla natura il modo di lavorare degli allevatori. In fondo l’allevatore se vuole avere pecore che
fanno tanta lana cerca di ottenere una razza a pelo lungo. Quindi incrocia un montone ed una
pecora a pelo lungo ed elimina quelle a pelo corto, e fa così ad ogni generazione. Alla fine
otterrà una razza che avrà solo pelo lungo. Nello stesso modo viene interpretata l’azione della
natura: ad ogni generazione favorisce la sopravvivenza di alcuni, e non di altri. La selezione
naturale viene ricostruita sulla base della selezione artificiale degli allevatori. Siccome questo
processo impiega tempi lunghi, ed in tempi lunghi anche l’ambiente cambia, ecco che la specie
cambia progressivamente nel tempo e poi si adatta. Ecco la selezione naturale come motore
fondamentale dei meccanismi evolutivi.
III
Avete appena visto, dalle lezioni di Jaun Staune che esistono anche meccanismi non
darwiniani dell’evoluzione che sono oggetto di discussione. Questo ci permette di ritornare su
un punto che mi sta particolarmente a cuore. Ormai non si discute più sull’evoluzione come
fatto storico ormai universalmente accettato. La discussione è spostata sulle teorie che
cercano di spiegare i meccanismi dell’evoluzione ed oggi a fianco delle teorie darwiniane si va
discutendo anche di altre teorie alcune delle quali sono state riassunte da Staune.
Da questo punto di vista anch’io sto lavorando sui meccanismi non darwiniani dell’ evoluzione,
non per un pregiudizio antidarwiniano, ma semplicemente perché la cosa più importante nel
nostro mestiere di ricercatori è indagare sulle teorie alternative e non su quelle consolidate.
D’altra parte si tratta comunque di teorie che non si sostituiscono ma che debbono coesistere,
nel senso che in alcuni casi va applicata la selezione naturale, in altri l’ autoorganizzazione e
cosi’ via. Quindi il darwinismo rimane una delle teorie portanti che abbiamo a disposizione per
discutere dei meccanismi evolutivi e dobbiamo farci i conti. In queste lezioni il darwinismo
avrà una parte importante, sia perché ancora oggi è la teoria accettata dalla maggior parte
degli evoluzionisti, sia perché pone problemi alla teologia che vanno discussi e non elusi.
Ed il problema di fondo è presto detto, anzi lo avevamo già accennato nella lezione
precedente: ci troviamo in fondo, di fronte a Darwin, come si erano trovati i filosofi del
seicento di fronte a Galileo. Di fatto Galileo unifica lo spazio dimostrando che le leggi della
fisica valgono per l’ambiente sublunare segnato dalla corruzione come per i cieli incorrotti.
Darwin unifica il tempo: le leggi dell’evoluzione che studiamo oggi, sono caratterizzanti tutta la
trasformazione nel tempo della vita, quindi non c’è una natura corrotta in cui è entrata la
morte la sofferenza e il dolore, dopo una rottura avvenuta a causa del peccato dell’uomo, ma
la storia della vita è unica, è avvenuta con una serie di meccanismi che studiamo oggi ma che
valgono anche per tutta quella parte della storia della vita che precede la comparsa dell’essere
pensante. Di questi meccanismi, che, come avete visto, sono abbastanza diversi e vari, il più
importante ancora oggi è quello della selezione naturale, proposto da Darwin. Per questo
occorre discuterne. Comunque cominceremo vedendone alcuni esempi, e poi inizieremo a
discutere sulle prospettive.
Il primo esempio è quello che riguarda il cambiamento di frequenza del colore del corpo in
una farfalla studiata nelle isole britanniche: la Biston betularia. Si tratta del più famoso
esempio di cambiamento collegato all’ azione della selezione naturale. Per quanto discusso e
soggetto a critiche, il nucleo centrale dei meccanismi è di fatto collegabile ancora oggi all’
azione della selezione naturale e c’e’ da tenere presente che chi ha un minimo di interesse per
la biologia conosce quest’esempio. Noi lo presentiamo in una descrizione che è quella più facile
da reperire nei testi di biologia, leggermente semplificata, ma ancora biologicamente corretta.
La farfalla che vive nel nord Europa, fu descritta come caratterizzata da due forme
distinguibili per la distribuzione del pigmento sul corpo e sulle ali. Una forma è chiara di fatto
praticamente bianca con alcune sottili macchiettature scure, l’altra è completamente scura,
praticamente nera. Su uno sfondo verde le due forme risaltano praticamente allo stesso modo
L’ aspetto più interessante è che nelle collezioni di naturalisti inglesi nell’inizio dell’ Ottocento,
la forma chiara è molto diffusa, mentre quella scura era estremamente rara, anche se era già
presente; questo è importante perchè nel meccanismo darwiniano la variabilità preesiste alla
variazione ambientale che sulla variabilità deve agire. Nel meccanismo darwiniano, dunque,
ricordatevi, la mutazione preesiste alla selezione.
Dopo alcuni anni, in alcune zone dell’Inghilterra, si tratta del triangolo industriale Birmingham,
Liverpool, Manchester, dove è avvenuta nella seconda metà dell’Ottocento la grande
rivoluzione industriale inglese, si passa ad una situazione completamente diversa. Se vediamo
una immagine che rappresenta la situazione, vediamo uno sfondo scuro in cui è più evidente
la farfalla chiara. Al contrario facciamo fatica a distinguere la farfalla scura che è ben
mimetizzata.
Di fatto lo sfondo è scuro perché il tronco degli alberi è coperto da polvere di carbone. In
effetti si tratta nel triangolo dove più si è concentrata l’attività delle industrie su cui si è basata
la rivoluzione industriale inglese; ed erano industrie che basavano la loro fonte di energia
sull’utilizzo del carbone fossile. Il risultato è che proprio nella seconda metà dell’Ottocento la
polvere di carbone aveva coperto intere foreste; a questo punto la farfalla chiara è più
evidente, la farfalla scura è meno evidente. Ma ciò che ci interessa è che in questa situazione
la farfalla chiara diventa più rara e quella scura più diffusa. Quindi c’è un cambiamento di
frequenza della forma scura rispetto alla forma chiara e questo cambiamento di frequenza lo si
è potuto studiare nel tempo. Vi ricordate quello che vi dicevo? L’importanza dello schema
darwiniano è che ad un certo punto permette di contare quanti individui ci sono di un certo
tipo, quanti di un altro e come nel tempo gli individui che portano un certo carattere possono
diffondersi a scapito dell’altro, questo è il punto chiave che ha permesso lo sviluppo del metodo
darwiniano.
Ed allora cosa succede in questo caso? Qui abbiamo una diffusione della forma scura che può
essere evidenziata letteralmente contando la differenza delle frequenze ed è una diffusione
rapida, avvenuta nell’arco di poche decine di anni. Come è avvenuta questa diffusione? Non
starò a ripercorrere tutti gli esperimenti, che del resto possono essere facilmente ritrovati in
ogni testo di biologia evolutiva, il punto importante è che si tratta del risultato di una serie di
osservazioni ed esperimenti. Innanzitutto occorre ricordare che si tratta di farfalle ad attività
prevalentemente notturna che passano parte del giorno in riposo sugli alberi. Da questo punto
di vista uno dei loro principali problemi è quello della predazione da parte di uccelli insettivori
che le catturano e le mangiano.
In questa situazione vedono molto di più la farfalla chiara, la farfalla scura è mimetica, per cui
la farfalla chiara viene predata in maggior quantità e la scura quindi si diffonde. La forma rara
diventa quella che precedentemente era la più diffusa poiché quella che era la forma più
diffusa non è più mimetizzata, è ben visibile e viene eliminata. Questa è una azione della
selezione naturale, questi lavori sono stati fatti in Inghilterra dalla scuola di E. B. Ford, il
fondatore della cosiddetta genetica ecologica, quel ramo della genetica di popolazione che
studia la variazione nel tempo delle frequenze geniche collegandole alla variazioni
dell’ambiente. In fondo si tratta della scienza darwiniana per eccellenza. Gli esperimenti sulla
Biston betularia furono condotti da H. B. D. Kettlewell.
Siamo all’incirca agli inizi degli anni Cinquanta del XX secolo, questa serie die sperimenti ed
osservazioni fu chiamata la prova che mancava a Darwin, cioè proprio un’azione in campo
della selezione naturale. Si tratta del più noto esempio della genetica ecologica, la disciplina,
come abbiamo appena detto, che studia la variazione delle frequenze dei geni in funzione
dell’azione dell’ambiente. Se l’ambiente cambia cambiano le frequenze dei caratteri, in questo
caso le frequenze dei colori del corpo. Si deve cercare di capire come mai abbiamo questo
cambiamento.
Qui, in questo esempio, il modello darwiniano della selezione naturale sembra funzionare ed
essere dimostrato. Nell’ambiente inquinato da polvere di carbone la chiara si vede molto
bene, la scura molto meno bene. Niente di strano quindi che un uccello insettivoro passando
rapidamente veda la più chiara; al contrario se osserviamo un ambiente di bosco non
inquinato, si vede molto bene la scura, e la chiara è molto difficile da vedere. I tronchi sono
infatti coperti da licheni chiari e quindi è la chiara la forma che si mimetizza meglio. In questo
caso l’uccello insettivoro vede più facilmente la forma scura, che quindi permane ma con una
frequenza molto bassa. Là dove cambia l’ambiente ecco che invece si vede molto di più quella
chiara. Questo è il meccanismo fondamentale del darwinismo, una variazione delle frequenze
che è conseguenza di una mortalità differenziale. Abbiamo scelto questo esempio anche perché
chiarisce molto bene il problema chiave del darwinismo: vi è una componente drammatica dei
meccanismi evolutivi che caratterizza la vita fin dal suo inizio. Non voglio banalizzare i
problemi affermando che tutto il darwinismo funziona in questo modo, però selezione naturale
vuol dire una capacità di sopravvivenza differenziata che fa sì che alcuni individui, di fatto
perdano nella lotta per la sopravvivenza. E questa sconfitta spesso avviene grazie a
meccanismi drammatici, o almeno che divengono drammatici quando dalle farfalle si passa
all’Uomo
Ma passiamo ad un altro esempio, un esempio che riguarda più da vicino Darwin cioè i
fringuelli delle Galapagos. Si tratta di un lavoro che è in corso sull’evoluzione dei fringuelli su
cui Darwin basò una delle sue riflessioni più importanti. Come è del resto ben noto, Darwin si
rese conto, dopo che il materiale era stato studiato da un ornitologo inglese, che la fauna di
uccelli delle Galapagos era praticamente composta da diverse specie tutte però riconducibili al
gruppo dei fringuelli. Queste specie differivano fondamentalmente per la forma e la struttura
del becco e poi per le differenti abitudini alimentari. La spiegazione, in termini evolutivi, era
abbastanza semplice. La colonizzazione delle isole era avvenuta da parte di un piccolo gruppo
di fringuelli che, in qualche modo, avevano raggiunto le isole provenienti dal continente e lì,
senza concorrenti, si erano diversificati occupando tutte le nicchie ecologiche a disposizione. La
diversificazione delle nicchie ecologiche voleva dire fondamentalmente diversificazione delle
fonti di cibo e quindi diversificazione dei becchi. Da questo punto di vista diveniva importante
una indagine sulla forma dei becchi e un possibile collegamento tra evoluzione di questa
struttura e le variazioni dell’ambiente. È lo studio che stanno portando avanti i coniugi Grant
che stanno lavorando su una delle piccole isole delle Galapagos, Dafne major. La loro ricerca è
estremamente importante innanzitutto per l’accuratezza nella raccolta dei dati. In effetti
riescono ad inanellare tutti i fringuelli dell’isola e quindi hanno sotto controllo ogni individuo ed
i suoi parametri fondamentali. Quindi in particolare la forma del corpo, ma soprattutto la forma
del becco. Il becco può essere descritto, con alcuni parametri misurabili: altezza, profondità,
larghezza, e questo ci dà un indicazione precisa delle sue funzioni. Un becco tozzo, ad
esempio è utile per spezzare semi robusti, un becco allungato per sondare e cercare piccole
prede quali gli insetti. Capire l’evoluzione del becco significa scoprire l’evoluzione dei fringuelli
di Darwin. L’ipotesi fatta è che sono le variazioni dell’ambiente che in qualche modo
determinano le variazioni della forma del becco. Per capire ancora meglio la qualità del lavoro
sperimentale innanzitutto i Grant si preoccupano di stabilire se e quanto la variabilità del becco
sia collegata alla variabilità genetica. La selezione naturale agisce sì sull’aspetto esteriore del
vivente, il cosiddetto fenotipo, ma in questo modo deve fare anche variare la frequenza
genica, deve cioè interferire anche sul cosiddetto genotipo. Quindi occorre che vi sia una
precisa relazione tra genotipo e fenotipo. In effetti, dal punto di vista genetico, individui con
becco robusto danno figli con becco robusto, individui con becco corto danno figli con becco
corto, dunque il carattere è anche controllato geneticamente. Ma che succede con le variazioni
dell’ambiente? In una situazione di siccità c’è una riduzione drastica del numero dei fringuelli
che in effetti trovano poco cibo, e quindi un alto numero di individui muoiono, ma tutti quelli
che sopravvivono hanno il becco robusto, perché rimangono a disposizione solo semi col
guscio molto duro. I fringuelli dal becco robusto e che quindi riescono a rompere il guscio si
possono nutrire e dunque sopravvivono. Questo è stato visto con molta precisione dai coniugi
Grant, per cui finalmente sappiamo che era corretta l’intuizione di Darwin che gli uccelli di
quelle isole si evolvono per selezione naturale che agisce sulla forma del becco e quindi sulle
strutture che permettono di diversificare la fonte del cibo. Di nuovo quando c’è una drastica
riduzione del numero degli individui derivata da una crisi ambientale, sopravvivono solo quelli
che portano certe caratteristiche.
Quindi il darwinismo rimane uno degli aspetti fondamentali che abbiamo a disposizione per
spiegare i meccanismi con cui si evolve la natura. A questo punto possiamo cominciare a
trarre delle conclusioni. Ma occorre ancora una riflessione. E per questo e per sottolineare la
drammaticità dei meccanismi dobbiamo riferirci ad un esempio preso dall’evoluzione umana.
Uno degli aspetti più importanti del discorso sulla biologia evolutiva è quello dei cosiddetti
polimorfismi bilanciati. Polimorfismo significa che ci sono più forme di uno stesso carattere:
colore e corpo scuro, colore e corpo chiaro, c’è un gene che determina il colore del corpo
scuro, e uno che determina il colore del corpo chiaro. La situazione è polimorfa, cioè ci sono
più geni, la selezione ne sta favorendo uno rispetto all’altra; in questo caso si parla, con un
termine molto brutto in italiano, di polimorfismo transeunte, cioè un gene sta sostituendo un
altro. Noi li vediamo tutti e due, ma il gene colore e corpo chiaro, come abbiamo visto, in
alcune zone dell’Inghilterra rischiava di sparire. a favore di quello scuro. Per fortuna la
legislazione sull’ambiente in Inghilterra ha permesso un miglior controllo dell’ambiente e la
forma chiara si sta diffondendo di nuovo ma questo è un intervento abbastanza recente, di
recupero dell’ambiente: Di fatto ancora nella prima metà del novecento, la situazione era
quella di un gene che sta sostituendo l’altro: polimorfismo transeunte appunto.
Poi ci sono delle situazioni in cui si parla di polimorfismo bilanciato, cioè in cui è avvantaggiata
la forma intermedia, quella che cioè porta, dei due geni omologhi, uno di un tipo e uno
dell’altro. Voi sapete che noi abbiamo due geni per ogni carattere, uno che ci viene dal padre
ed uno che ci viene dalla madre, questi due geni possono essere uguali o differenti, nell’ultimo
caso o uno domina sull’altro oppure vi è dominanza intermedia, il risultato in questo caso è che
questo individuo è differente rispetto agli altri due: posso avere un fiore rosso, uno bianco, la
forma intermedia può essere rosa. In questo caso sono presenti tre diverse possibilità del
fenotipo: rosso, bianco e rosa.
Dunque che succede se la selezione naturale avvantaggia i fiori rosa? Facciamo un esempio
banale: un campo di trifoglio dove ci sono delle mucche che amano brucare i fiori rossi ed i
fiori bianchi lasciando stare quelli rosa. A prima vista possiamo pensare che ad un certo punto
tutta la popolazione sarà di fiori rosa.
Questo però non è possibile perché incrociandosi fra loro secondo le leggi di Mendel, i fiori rosa
danno ancora un quarto bianco ed un quarto rosso, quindi ad ogni generazione continuano a
nascere fiori rossi e fiori bianchi che le mucche continueranno a mangiare. Cosa importa?
Importa moltissimo, perché c’è un esempio di questo tipo nell’evoluzione umana che è
estremamente drammatico, e che dal punto di vista della biologia evolutiva è affascinante
perché è un esempio bellissimo di come si possano colonizzare anche ambienti estremi, ma
che dal punto di vista umano è preoccupante perché porta ad ogni generazione la morte ad
alcuni bambini.
L’esempio è quello delle malattie genetiche del sangue diffuse in alcune zone, come l’anemia
falciforme o la talassemia. Il meccanismo genetico è estremamente semplice. Voi sapete che
noi funzioniamo perché abbiamo l’emoglobina che prende l’anidride carbonica dai tessuti e la
porta ai polmoni. Qui la libera, prende l’ossigeno lo porta ai tessuti, lo libera e così via. Si
tratta di una proteina molto complessa, e che deve essere fatta nel modo giusto perché il
meccanismo a cui partecipa è estremamente raffinato. La struttura della proteina, vista in tre
dimensioni deve essere tale da agganciare l’ossigeno e rilasciarlo, agganciare l’anidride
carbonica e rilasciarla. Quindi un compito che richiede una estrema precisione nella struttura a
tre dimensioni dell’emoglobina. A questo punto è chiaro che basta ben poco per alterare la
struttura dell’emoglobina e non farla funzionare più e quindi a portare a malattie genetiche del
sangue. In queste malattie cambia semplicemente una base del DNA, nel DNA c’è un codice,
a ogni tripletta corrisponde una tripletta del Rna e poi una tripletta dell’Rnatransfert
a cui si
lega una componente della proteina, che è un amminoacido. Dunque il codice del DNA
corrisponde ad una sequenza di amminoacidi che sono quelli che vanno a dare la proteina, cioè
il codice contiene le istruzioni per costruire la casa, i disegni sono il codice del DNA i mattoni
sono le proteine. Ora di solito se nel disegno mentre vado a costruire c’è un piccolo
cambiamento e al posto di un mattone ne metto un altro di un tipo diverso non succedono
grossi guai, ma sei sbaglio e in un punto fondamentale al posto di un pilastro di cemento
armato non ci metto niente, la casa poi crolla. Quindi in punti particolari basta un
cambiamento nel codice del DNA perché cambi l’amminoacido corrispondente e se l’
aminoacido è in una posizione chiave, l’emoglobina non acquista più la forma adatta, e non
riesce più a fare il suo mestiere, non funziona.
Ognuno di noi ha solo due geni per l’emoglobina, uno di provenienza paterna e uno di
provenienza materna. La maggioranza di noi ha ambedue i geni sani, cioè quelli che
funzioniamo bene, i due geni fanno dunque il loro mestiere.
Chi ha ambedue i geni sbagliati muore in tenera età. Infatti quando l’emoglobina fetale viene
sostituita dall’emoglobina adulta, dopo la nascita, il bambino muore, perché l’emoglobina non
porta più l’ossigeno ai tessuti.
Tanto è vero che si tratta di una malattia molto rara in condizioni normali, perché come
compaiono individui che hanno tutti e due i geni malati, questi muoiono prima di raggiungere
l’età riproduttiva e quindi i loro geni non vengono trasmessi.
Ma se noi andiamo a vedere l’eterozigote quello che ha un gene sano ed un gene malato, il
gene sano fa sufficiente emoglobina da permettere una vita normale quindi questi individui
hanno vita normale. I geni malati sono molto rari perché se cominciano a comparire individui
con ambedue i geni malati, il bambino muore, ed i geni non vengono trasmessi. Vedete che si
tratta di un’azione della selezione naturale molto drastica, l’individuo malato muore, se però
andiamo a vedere le zone che una volta erano malariche, troviamo ancora oggi una diffusione
di individui con il gene malato, e questo è apparentemente un non senso. Vi è però una
ragione legata a ciò che si diceva prima. Sia l’individuo che ha ambedue i geni per l’emoglobina
normale, sia quello che ha un gene solo funzionante, sono sani. Ma in questi ambienti c’è
una malattia provocata da un parassita, la malaria, e questo parassita entra nei globuli rossi e
si nutre dell’emoglobina, ma cerca globuli rossi che non abbiano tracce dell’emoglobina
malata, quindi attacca gli individui sani che hanno ambedue i geni funzionanti, ma che a
questo punto sono a rischio malaria L’individuo sano ma con un solo gene funzionante, non
viene attaccato dal parassita e quindi è sano dal punto di vista dell’anemia, ma evita anche la
malaria. Dunque in ambiente malarico questi individui sono perfettamente sani perché hanno
abbastanza emoglobina che funziona bene e non prendono la malaria, gli altri prendono la
malaria e quindi sono molto debilitati, arrivano a riprodursi ma con difficoltà, perché la malaria
è una malattia fortemente debilitante, e molti degli individui affetti muoiono abbastanza
giovani anche se in età riproduttiva.
La selezione naturale favoriva gli individui sani e non a rischio di prendere la malaria. Questo
vantaggio dell’individuo eterozigote è lo strumento con cui la selezione naturale permette
all’uomo di colonizzare ambiente estremi, ma il risultato tragico è che ad ogni generazione un
certo numero di bambini muore perché portatore omozigote dei geni della malattia.
Come vi dicevo dal punto di vista genetico è un esempio molto bello di come l’evoluzione riesce
a sviluppare dei meccanismi per colonizzare ambienti estremi, ma dal punto di vista della
nostra riflessione è un aspetto drammatico perché porta ad ogni generazione alla conseguenza
dolorosa che alcuni bambini debbano morire. Allora bisogna prendere sul serio quello che
diceva Dostojeski nei “Fatelli Karamazov” anche la sofferenza di un solo bambino incrina la
perfezione dell’universo.
Questo è il grande problema che ci deriva dal darwinismo: come scriveva Teilhard de Chardin,
la sofferenza il dolore e la morte non entrano nel mondo come conseguenza del peccato, ci
sono fin dall’inizio perché fanno parte della stoffa dell’universo e su questo bisogna riflettere.
A questo punto in maniera estremamente rapida stiamo mettendo a punto i vari pezzi che
servono alla nostra riflessione.
Riassumiamo quindi brevemente, prendendo come riferimento quest’ultimo esempio, l’azione
della selezione naturale.
La teoria della selezione naturale prevede due eventi: una variazione del patrimonio genetico,
della variabilità ereditaria, come diceva Darwin, e questo si presenta, nel nostro caso, nel
modo più semplice: il cambiamento di una singola base nella sequenza del DNA. La mutazione
avviene per suoi meccanismi di variabilità chimico fisica del DNA, ma senza una connessione
precisa con una necessità adattativa: in questo senso la mutazione avviene “a caso”.
Su questa variazione entra il gioco l’ambiente il quale favorisce alcuni individui rispetto ad altri.
Ancora occorre chiarire che ’ambiente quindi non favorisce direttamente la mutazione,
favorisce alcuni individui il cui aspetto esterno è determinato dai geni e quindi anche da questi
geni modificati. Ora in questo caso in un ambiente estremo come quello delle paludi malariche
viene favorito l’individuo eterozigote, quindi mutazione e selezione hanno come risultato finale
un importante risultato adattativo, cioè la possibilità che una popolazione umana possa
colonizzare un ambiente estremo.
È chiaro che il problema deriva dalla presenza, in questo ambiente, del parassita che causa
la malaria. Senza questo fattore, la frequenza della mutazione non sarebbe aumentata ma
sarebbe rimasta ad un livello talmente basso per cui il che il numero dei malati di anemia
sarebbe rimasto praticamente vicino allo zero. Quando cambia l’ambiente, e in effetti la
selezione agisce a seconda dell’ambiente, il risultato è che alla fine per la specie o per la
popolazione questo meccanismo è altamente positivo perché permette la colonizzazione di
ambienti estremi, altrimenti impossibile, perché solo con individui omozigoti sani ci sarebbe
stata una diffusione della malaria troppo alta per cui ci sarebbero state popolazioni che si
ammalavano molto facilmente e non ci sarebbe stato quel numero minimo di individui attivi
che potevano permettere la sopravvivenza. In questo modo la colonizzazione può avvenire e
quindi la popolazione, nel suo insieme, né ne ha un vantaggio non indifferente, ma il
vantaggio avviene a scapito di alcuni individui che poi tra l’altro sono anche i più deboli e
inermi.
Se quindi dal punto di vista evolutivo è un esempio estremamente interessante, dal punto di
vista umano è un fatto drammatico, che incrina indubbiamente l’armonia della natura e con il
quale la riflessione teologica deve fare i conti.
A questo punto abbiamo a disposizione tutti gli strumenti per riflettere sui problemi posti
dall’evoluzione in generale e dal darwinismo in particolare. .
Cerchiamo quindi di sgombrare il campo dai problemi più facilmente risolvibili e per
concentraci poi su quelli più difficili.
Per quel che riguarda l’origine dell’uomo, uno dei punti fondamentali della discussione è
collegato con il fatto che il punto fondamentale che per la teologia non può essere toccato è
l’unicità della specie umana: gli uomini di oggi derivano tutti da uno stesso ceppo che nel
racconto biblico viene rappresentato con l’unicità della coppia.
Quindi nel problema dell’origine dell’uomo il primo punto è l’unicità della specie umana. Il
problema non è tanto che l’uomo derivi dai bruti, per usare una espressione comune nel
diciannovesimo secolo, quindi da antenati comuni con le scimmie, quanto che si potesse
arrivare a pensare che le varie popolazioni umane derivassero da diversi ceppi animali, quindi
che si mettesse in crisi l’unità della famiglia umana, che invece era un elemento fondamentale
e necessario per il progetto di alleanza e salvezza che Dio aveva sull’umanità. Inoltre a
questo ceppo comune era da riferire questo segno che qualche cosa non aveva funzionato nella
risposta dell’Uomo al piano di Dio e che viene chiamato con il termine di peccato originale.
È per questo che Wiseman, nelle lezioni tenute nel 1835 al collegio Anglicum proprio sui
rapporti tra la scienza e la teologia insiste particolarmente su questo problema. L’ evoluzione, lì
ancora vista nelle prospettive lamarckiane, non poteva e non doveva mettere a rischio l’unità
della specie umana, chiaramente espressa nella Bibbia dalla derivazione dell’unica coppia di
genitori. Da questo punto di vista, come sapete, oggi una delle poche cose certe che abbiamo
in biologia è la totale uniformità della specie umana, tanto è vero che è stato richiesto dagli
antropologi che si abbandoni il termine razza che non ha nessun senso, perché le popolazioni
umane sono molto più vicine di quanto non siano le razze animali, e che quindi la specie
umana rappresenta un tutto unico anche estremamente omogeneo, prova ne sia la totale
interfecondità.
Quindi direi è interessante dal punto di vista storico questa preoccupazione, ma oggi possiamo
dire che questa preoccupazione, in qualche modo, la possiamo lasciare alle spalle. Se poi
andate a vedere i libri sull’evoluzione umana è affascinante il fatto che oggi non si da nulla per
certo, mentre fino a trenta anni fa sembrava tutto risolto, la sequenza lineare,
l’australopiteco, l’Homo habilis, l’ Homo erectus, l’ Homo neanderthalensis, l’ Homo sapiens,
adesso stanno venendo fuori tutta una serie di altre forme: il dibattito, è molto più vivo ed
interessante di quello che si pensava ancora pochi decenni fa. L’unica cosa di cui siamo certi
è che l’umanità oggi è un’entità unica dal punto di vista biologico, che era una delle grandi
preoccupazioni della biologia del XIX secolo.
Quindi diciamo questo problema lo possiamo accantonare ma ne viene fuori un’altro molto
più drammatico. E qui, se mi permettete un piccolo campanilismo, non so se siete mai capitati
a Pisa, una delle cose più belle della piazza del duomo è anche il camposanto monumentale, se
lo andate a vedere è interessante anche sapere che per un certo periodo vi sono stati sepolti
anche dei personaggi famosi italiani. Ad un certo punto nell’ala nord c’è una porta che immette
dove sono gli affreschi cosidetti de “Il trionfo della morte”, subito prima della porta sul
pavimento trovate una tomba che è di Filippo de Filippi: sulla lapide c’è solo scritto:
“senatore del regno”. Pochi sanno che lì è sepolto il primo darwinista italiano, che era
professore di zoologia a Torino ed era cattolico.
Nel 1864 tenne a Torino una importantissima conferenza intitolata “l’uomo e le scimmie” , e
fu fra i primi a ipotizzare partendo dal darwinismo, l’origine dell’uomo da un antenato comune
alle scimmie.
La sua argomentazione è un’argomentazione che si basa fondamentalmente sull’anatomia
comparata, cioè dimostra come dal punto di vista della morfologia del corpo umano le
differenze con le scimmie sono minime, e quindi nulla vieta di pensare che ci sia una
derivazione comune.
Da buon cattolico però egli cerca anche di sottolineare l’unicità dell’uomo e la sua diversità e
quindi afferma che, se dal punto di vista morfologico tutto fa pensare che ci sia una
derivazione comune con le scimmie, dal punto di vista psichico ed etico la differenza è enorme.
Le caratteristiche psicologiche dell’uomo non si ritrovano negli animali, la capacità di fare il
bene e di fare il male sono solo una caratteristica dell’uomo per cui se il corpo deriva
dall’evoluzione degli animali, le capacità psichiche richiedono un intervento particolare di Dio.
Sono le basi per una conciliazione. Va bene l’evoluzione dell’uomo dal punto di vista fisico dagli
altri esseri viventi, ma occorre poi un intervento particolare di Dio per permetter la nascita
delle capacità psichiche.
Questo è estremamente importante perché riconduceva alla unicità della specie umana,
perché comunque si fossero poi evolute nel tempo le varie popolazioni umane, esse dovevano
derivare da quel gruppo, da quel ceppo, da quella coppia che comunque sia aveva avuto poi
l’intervento divino che gli aveva donato le capacità psichiche. Quindi vedete molto bene questo
tentativo di mettere insieme i due aspetti, e questa era la speranza di Filippo de Filippi, che
purtroppo invece di accontentare tutti, scontentò tutti. Scontentò buona parte dei teologi e dei
colleghi cattolici che gli videro accettare l’idea dell’evoluzionismo, e però scontentò anche i
darwinisti più radicali che gli videro porre un intervento particolare di Dio per le capacità
psichiche dell’uomo.
Quindi mentre lui sperava nella grande sintesi diventò invece ulteriore occasione di tensioni.
Tanto è vero che quando morì ad Hong Kong, durante un viaggio di esplorazione dell’oceano
Pacifico in cui si ammalò di febbre gialla, ricevette, da quel cattolico che era, i sacramenti.
In Italia si scatenò una polemica, perché da una parte si affermava che non era possibile che
un darwinista fosse morto chiedendo i sacramenti, e quindi questa doveva essere una
menzogna alimentata dai clericali, dall’altra parte i cattolici dicevano al contrario che anche
l’empio de Filippi si era pentito in punto di morte chiedendo la confessione.
Al di là di questo riferimento aneddotico è interessante il fatto che con la pubblicazione di
questa conferenza nasce un serrato dibattito che permette di chiarire meglio alcuni punti.
Il primo è che si può essere evoluzionisti e credenti come si può essere fissisti ed atei, non è
detto che il fissismo sia collegato alla teologia cattolica e l’evoluzionismo le sia contrario.
Evoluzionismo e fissismo sono dunque due teorie scientifiche, ne consegue quindi che uno può
essere credente o meno con l’una o con l’altra.
Il secondo punto è collegato alle obiezioni di un collega di Bologna di anatomia comparata che
gli rifiuta totalmente l’idea che anche il corpo dell’uomo derivi dai bruti, ed egli gli risponde
che gli sembra molto più bella l’idea che l’anima umana venga immessa in un corpo che è il
risultato di milioni di anni di evoluzione e ricapitolazione di tutta la vita, piuttosto che in
mucchio di impuro fango; cioè l’immagine del fango biblico diventa per de Filippi la
ricapitolazione di tutto il creato attraverso l’evoluzione nel tempo.
Quindi si comincia ad intravedere anche la forza del progetto evolutivo, ma purtroppo il
dibattito in seguito si fece molto duro e quindi si tardò a vedere le prospettive che si aprivano.
Che cosa succede? Stiamo parlando dell’evoluzione dell’uomo e più o meno nello stesso
momento in cui de Filippi pubblica la sua conferenza, pubblica un libro sull’evoluzione
dell’uomo anche A. R. Wallace, che era il coscopritore delle teorie evoluzionistiche insieme a
Darwin.
In effetti la teoria della selezione naturale, non si dovrebbe chiamare teoria di Darwin ma
teoria di Darwin e Wallace. Wallace era una figura importante dell’ambiente scientifico inglese,
ma si rende conto che non può competere con Darwin che era figlio di una ricca famiglia
dell’alta borghesia inglese, mentre lui, Wallace, veniva dalla bassa borghesia, e accetta
dunque di buon grado di essere secondo a Darwin. Però sull’origine dell’uomo non è d’accordo
con Darwin e vuole differenziarsi. Questo è un punto importante perché Wallace arriva alle
stesse conclusioni di de Filippi, proprio per la sua accettazione profonda della selezione
naturale.
Io uso, mi perdonerete, i termini del dibattito nella seconda metà dell’Ottocento che
nonostante tutto ci rendiamo conto, oggi, essere decisamente pesanti. Il problema è quello
della cultura dei selvaggi, c’è un confronto con le altre culture da parte degli europei e le altre
culture vengono svalutate e considerate inferiori rispetto alla cultura dell’uomo bianco, in
particolare del gentleman inglese.
La selezione naturale, che nell’uomo inverte la sua attività favorendo la nascita di tutta una
serie di valori ed interessi che non sono strettamente legati alla sopravvivenza del più forte ha
agito più a lungo nell’uomo bianco occidentale che è quindi più avanti nella scala evolutiva
delle altre popolazioni umane. Ma questo urta con un dato sperimentale importante, ed è
questo il punto fondamentale, Wallace scrive che ogni uomo di qualsiasi cultura è in grado di
imparare subito la matematica, la musica, la teologia, la filosofia che sono discipline che non
ha mai avuto l’occasione di sviluppare nella sua storia.
Questo vuol dire che nella sua mente ci sono già dal punto di vista qualitativo presenti le
capacità per capire queste cose, basta spiegarle e vengono subito comprese. Quindi non c’è
azione della selezione naturale nell’origine delle capacità psichiche dell’uomo, perché queste
capacità sono già presenti anche in popolazioni che non hanno mai avuto l’occasione di usarle
e quindi di vedersele selezionate.
Tutti gli uomini derivano quindi da progenitori comuni che avevano già tutte le capacità
intellettuali della mente umana.
Alcuni le hanno esercitate e mantenute grazie all’ambiente più stimolante in cui si sono
trovati a vivere, altri dovendo affrontare situazioni molto più difficili le hanno perdute, non le
hanno sviluppate ma le hanno latenti.
La conseguenza importante è che dunque le capacità psichiche vengono derivate tutte
insieme, nascono tutte insieme nel momento in cui nasce il pensiero. Con che meccanismo?
Anche per Wallace sono il risultato di un azione di una potenza divina creatrice, anche se dal
punto di vista teologico Wallace era abbastanza superficiale e non aveva a che fare con la
teologia cristiana. Di fatto era un teosofo che popolava l’universo di spiriti, e dal punto di vista
teologico fece più confusione che altro, però rimane quest’idea di fondo dell’unicità delle
caratteristiche dell’uomo, questo è il punto fondamentale.
Ripeto siamo nella seconda metà dell’Ottocento, non siamo ancora in grado di capire il
passaggio di oggi cioè che si tratta di culture diverse, c’è ancora l’idea di una cultura
dominante e le altre le erano in vario modo lontane da questa., però intanto c’è il
riconoscimento dell’unicità della nascita delle qualità umane. Il libro viene preso da Darwin
come un attacco personale.
Ma il ragionamento di Wallace è chiaramente sperimentale: quando mai l’indigeno del Sud
America o della Malesia ha avuto occasione di sviluppare capacità matematiche di alto livello?
Di fatto, però, ci vuole pochissimo per impararle, quindi sono già nella sua mente, e sono
state messe nella sua mente da un particolare atto creatore che ha caratterizzato la nascita
dell’uomo.
Di fatto se non ha mai avuto l’occasione di usarle, la selezione naturale non le può avere
sviluppate e quindi sono già innate in lui. Darwin rifiuta questo ragionamento, dobbiamo
sempre riferirci alla selezione naturale anche per l’uomo non si può pensare a qualcosa di
diverso ed allora ne viene fuori un modello fondamentale, che è quello in cui il percorso della
selezione naturale è arrivato al culmine, la visione naturalistica dell’uomo significa dire che
tutte le caratteristiche dell’uomo derivano dall’azione della selezione naturale, con un punto
importante che da un certo punto in poi la selezione naturale cambia i suoi meccanismi, per cui
non tende più a favorire brutalmente la sopravvivenza del più adatto del più forte, ma comincia
a favorire anche tutte quelle qualità che permettono una maggiore coesione della società
umana. Quindi anche l’amore per il più debole, e cose simili sono determinate dalla selezione
naturale, e a poco a poco vengono a mettere da parte, a far passare in secondo piano quelli
che sono gli aspetti drammatici della selezione naturale come la lotta dura per la
sopravvivenza. Questo è importante perché vuole dire che tutte queste qualità sono al
massimo grado, nell’ambiente che Darwin rappresentava cioè quello bianco anglosassone, e
tutte le altre culture erano chiaramente da considerarsi inferiori.
Che cosa viene fuori da questa impostazione ideologica? Viene fuori che se il meccanismo
evolutivo è tale per cui sviluppa al massimo grado tutte le qualità in certo tipo umano
derivandole dagli animali, si osservano nel modello di Darwin due operazioni importanti.
La prima che è lo sviluppo delle qualità psichiche animali. Se non c’è nessun intervento di Dio
particolare per l’ Uomo, è chiaro che l’animale deve, per compensare le differenze essere fatto
salire di livello nelle qualità psichiche, ma la seconda conseguenza è che d’altra parte l’uomo
si deve essere abbassato molto, quindi voi vedete molto bene, tutte le volte che Darwin
nobilita l’animale, tutte le volte trova un uomo da abbassare per avvicinarlo all’animale.
“Si potrebbe ammettere che nessun animale ha coscienza di sé se con questo si intende un suo
atto di riflessione sulla sua origine sul suo destino, la vita la morte o simili. Ma come possiamo
essere certi che un vecchio cane dotato di eccellente memoria e di un certo grado di
immaginazione come dimostrano i suoi sogni non rifletta sui suoi passati piaceri o sulla fatica
della caccia? Ciò costituirebbe una forma di coscienza di sé, ma d’altra parte come ha
giustamente osservato Buchner, la donna affaticata di un selvaggio australiano di infimo
grado, che non usa quasi mai termini astratti e non sa contare oltre al quattro non può essere
molto cosciente di sé o riflettere attorno al problema della sua esistenza”.
Questo è il problema della prospettiva darwiniana: se si alza l’animale, si deve abbassare
l’uomo, cioè se non c’è una soglia che separa l’uomo dagli altri esseri viventi ma vi è un
progressivo emergere di qualità dovuto all’azione della selezione naturale è chiaro che ci sono
tutte le situazioni che ne derivano; questo è l’aspetto tragico. E chiaramente c’è ne è per tutti:
“Gli irlandesi, disordinati, poveri, privi di ambizione, si riproducono come conigli. Gli scozzesi,
ambiziosi frugali, previdenti, dignitosi, fermi nella loro moralità spirituale, e nella loro fede,
ingegnosi e disciplinati nella loro intelligenza, trascorrono gli anni migliori nella lotta e nel
celibato, si sposano tardi e non lasciano prole. Data una terra in origine popolata da mille
sassoni e da mille celti, in una dozzina di generazioni i cinque sesti della popolazione sarà
composta da celti, ma i cinque sesti della proprietà, del potere e dell’intelletto saranno nel
sesto dei sassoni che rimangono. Nell’eterna lotta per la esistenza sarebbe stata la razza
inferiore e meno favorita a prevalere, sarebbe prevalsa in virtù non delle sue qualità ma dei
suoi difetti.”
Fin qui si può anche pensare a semplici problemi di convivenza del tempo, ma se poi andiamo
a leggere le pagine con cui Darwin descrive il genocidio dei tasmaniani le cose assumono una
coloritura ben più tragica.
In Tasmania c’era una popolazione umana originaria, che quando arrivarono gli inglesi che
iniziarono a recintare i territori, si scontrò con i nuovi venuti. Di fatto i tasmaniani
consideravano il paese come un unico territorio in cui ci si poteva muovere senza problemi.
Essi dunque saltavano i recinti e gli inglesi gli sparavano addosso, ricevendo in risposta un
nutrito lancio di frecce. Con una serie di metodi che Darwin descrive molto bene e alcuni dei
quali sono basati sulle tecniche della caccia alla tigre, i tasmaniani vengono tutti catturati, e
messi in un’isoletta, dove rapidamente si estinsero.
Questo è il problema di fondo, questo atteggiamento non solo porta a mettere in discussione
l’unicità della specie umana, ma ritiene che la selezione naturale ha favorito un certo tipo di
uomo e e basta e tutti gli altri vengono considerati in funzione della loro distanza da questo
tipo. Questo è il dramma.
Da qui nasce l’applicazione della selezione naturale sulla specie umana. Qualcuno decide che
alcuni geni sono positivi altri no, facciamo accoppiare quelli che hanno i geni positivi,
eliminiamo quelli che hanno i geni negativi. In fondo, ahimé, il darwinismo porrà le basi della
cosiddetta eugenetica con tutti i suoi aspetti negativi.
L’unico modo di uscirne è quello di sottolineare l’unicità della specie umana e anche la
peculiarità delle sue caratteristiche
Da questo punto di vista diviene importante la prospettiva di indagine che viene aperta dal
lavoro compiuto in paleontologia umana da Pierre Teilhard de Chardin. In effetti egli proporrà
un effetto soglia per la comparsa del pensiero o, per usare i suoi termini, della coscienza
riflessa. Il pensiero dunque, rappresenta un vero e proprio cambiamento di stato che quindi
viene raggiunto tutto insieme e rapidamente.
Si tratta di un effetto tutto o nulla, del superamento di una soglia, o in una visione forse più
importante dal punto di vista teologico di un evento che si apre alla prospettiva di un
particolare atto creatore. Ma l’aspetto importante è che non è un fenomeno graduale che può
interessare a vari livelli le vari popolazioni umane, ma un evento tutto o nulla che quindi
caratterizza fin dal suo inizio la peculiarità del ramo filetico umano.
Un altro problema che per anni è stato considerato uno dei problemi fondamentali è il
problema del caso. L’evoluzione avviene a caso; l’evoluzione darwiniana è il risultato del
caso. Non vi è nessun progetto né nessun fine ultimo. Delle tante possibilità è uscita quella che
ha portato all’uomo. Siamo stati solo fortunati, non necessari.
Il dibattito si apre subito e una delle figure più importanti nella seconda metà del XIX secolo è
quella di St. George Mivart. Di origine anglicana, studia ad Oxford e aderisce alla chiesa
cattolica con J. H. Newman.
Mivart è uno zoologo, lavora sull’origine delle specie e pubblica un libro sulla genesi delle
specie; dove fa due operazioni importanti. Da una parte mette in discussione alcuni aspetti
della teoria della selezione naturale che esiste ed è importante ma non può spiegare tutti i
fenomeni dell’evoluzione.
Dall’altra sottolinea che comunque la selezione naturale esiste e la teologia deve farci i conti,
e l’ultimo capitolo, è uno dei primi tentativi di discussione teologica sul problema. La sua
teologia era senz’altro più robusta di quella di Wallace. Uno dei punti importanti è proprio la
riflessione sul problema del caso e i meccanismi dell’evoluzione e della selezione naturale.
Darwin aveva chiarito le sue idee sul problema del caso nell’ evoluzione utilizzando una
metafora, la metafora dell’architetto; egli afferma infatti che la selezione naturale è come un
architetto che deve costruire una casa, ai piedi di una frana usando le pietre della frana. La
forma delle pietre è dovuta al caso? No. Ogni pietra ha una forma precisa che è dovuta alla
struttura della roccia, agli agenti atmosferici che hanno agito sulla roccia, agli urti che la pietra
ha fatto cadendo, dunque la forma della pietra è dovuta ad una catena precisa di cause.
L’architetto usa le pietre a caso? No. Perché sceglierà una pietra squadrata in un certo modo
per metterla come architrave, un’altra per fare il muro, e così via. Sono le pietre fatte e
finalizzate per andare a costruire la casa? No. Quindi c’è una catena di cause: quella che dà la
forma delle pietre; un’altra catena di cause: l’utilizzo delle pietre da parte dell’architetto; ma le
due catene sono indipendenti fra di loro, e questa sconnessione fra le due catene di cause è il
caso darwiniano. Rispetto ad un architetto più fortunato, che ha a sua disposizione una
fornace dove far costruire i mattoni e tagliapietre che squadrano le pietre nella forma adatta
secondo il suo piano di costruzione, l’architetto darwiniano non usa le pietre a caso, ma usa
pietre la cui forma non è stata determinata dalle sue necessità, ma da cause indipendenti da
esse. La mutazione nasce per suoi meccanismi, ma poi la selezione naturale deve fare con quel
che c’è, e dunque da queste mutazioni trarne forme che meglio si adattano a determinati
ambienti. Quindi il caso darwiniano è la sconnessione fra due catene di cause. La prossima
volta parleremo del caso in vari autori, infine cercheremo di tirare le conclusioni di tutto il
nostro discorso.
IV
Alla fine della lezione precedente ci siamo interrotti sul problema del caso: che cosa vuol dire
caso nella biologia evoluzionistica.
Abbiamo visto il caso in Darwin, attraverso la metafora dell’architetto. Un architetto che deve
costruire una casa dovendo utilizzare le pietre che si sono formate da una frana; possiamo dire
che la forma delle pietre è dovuta al caso? No. Ogni pietra ha una forma dovuta alla
composizione della roccia, agli agenti atmosferici che sulla roccia hanno agito, agli urti che la
roccia ha avuto cadendo. Si può dire che l’architetto usa le pietre a caso? No. L’architetto le
sceglie ed userà quelle di una determinata forma per il muro, altre per gli archi e così via. Ma
non possiamo dire che la forma delle pietre è finalizzata alla costruzione della casa. Questo
dunque è il caso in Darwin. Sono due catene di cause, che però s’incontrano in maniera
casuale, senza una precisa relazione causa effetto; questo è il senso filosofico del concetto di
caso in Darwin. Faremo un altro esempio tra qualche minuto quando parleremo di Monod. Poi
c’è il concetto di caso anche in Mendel, che ricordiamo come il fondatore della genetica.
Mendel, era un monaco, un agostiniano, nel convento degli Agostiniani di Brno in Moravia.
Questo convento, che era un centro di ricerca per il miglioramento genetico delle piante
agrarie, per usare termini moderni, è il luogo ideale per un giovane e brillante ricercatore che,
venendo da una povera famiglia di contadini non avrebbe avuto nessuna possibilità di accedere
al mondo della cultura e tanto meno a quello dell’accademia. Mendel si pone il problema di
studiare l’eredità dei caratteri, e di fatto abbiamo già fatto riferimento alle sue conclusioni, che
vanno poi sotto il nome di leggi di Mendel. Il riferimento che avevamo fatto, se vi ricordate,
era che incrociando una pianta a fiori rossi ed una a fiori bianchi si ottengono ¼ a fiori
bianchi, ¼ a fiori rossi, e 2/4 a fiori rosa. I risultati delle indagini di Mendel ci suggeriscono,
con estrema precisione, le percentuali della discendenza, ma non posso dire come verrà la
singola pianta: Di fatto posso solo indicare le probabilità che la pianta ha di essere bianca, di
essere rossa, o di essere rosa. Quindi in questo caso la genetica introduce un fattore di
probabilità, se io ho un genitore con gli occhi scuri, e uno con gli occhi chiari ho una certa
probabilità di avere gli occhi chiari, ed un’altra di avere gli occhi scuri. Dunque è un modello
deterministico ma anche probabilistico.
Questo è importante direi, quando si ha a che fare con piccole popolazioni, con un piccolo
numero di individui, per cui possono esserci fluttuazioni casuali che possono avere delle
conseguenze importanti. Ripeto, non ci possiamo addentrare troppo, ma se io immagino invece
di avere migliaia di fiori, ne avrò senz’altro ¼ bianco, ¼ rossi, e 2/4 rosa; ma se invece di
avere migliaia di fiori per esempio su una piccola isola arrivano solo un paio di semi, possono
essere semi soltanto di un carattere bianco, su questa isola avrò solo fiori bianchi; non c’è
nessuna ragione adattativa soltanto la fluttuazione casuale. Quindi il fatto che la ereditarietà
sia fondamentalmente basata su meccanismi stocastici, per cui posso solo indicare la
probabilità che un individuo abbia una determinata costituzione genetica, può essere
considerata la prospettiva casuale che deriva dalle leggi di Mendel.
Ma c’è anche il concetto di caso darwiniano così come è stato ripreso da J. Monod, nel suo
libro: “Il caso e la necessità”. È un libro che esce agli inizi degli anni settanta ed è esplosivo.
Praticamente lui intende con tutte le affascinanti prospettive che vengono dalla biologia
molecolare riprendere filosoficamente Darwin.
Siamo negli anni Settanta, ormai si sa bene come funziona il D. N. A., come può cambiare il
D. N. A., il D. N. A. muta per precise ragioni chimico fisiche quindi non a caso, ma non muta con
una mutazione che è finalizzata all’ambiente che la riceve, questo è il senso fondamentale.
Monod fa un esempio un po’ più brutale di quello dell’architetto. La signora “x “ sta pulendo il
suo terrazzo e urta un vaso da fiori, ed il vaso da fiori cade. Questo vaso cade per caso? No. Il
vaso cade per una serie di collezioni di cause dovute al fatto che la signora “x “ ha fatto dei
movimenti, ha urtato il vaso, questo ha superato l’attrito, c’è stata la gravità, ed il vaso cade.
Il signor “y” sta correndo per prendere l’autobus. Anch’egli non corre per caso, ma per tutta
una serie di ragioni precise (deve andare al lavoro, ha fatto tardi, etc…), ma il vaso cade per
caso sulla testa del signor “y”. Quindi è lo stesso discorso di Darwin: due catene di cause che
s’incontrano senza precisa relazione di causa ed effetto. La signora non lascia cadere il vaso,
perché cada in testa al signor “y” che magari è il concorrente del marito sul lavoro, no, la
relazione è casuale. Monod eleva a chiave interpretativa metafisica dell’universo questa sua
visione del caso; il caso diventa la chiave metafisica per interpretare la struttura dell’universo.
Questo è il libro di Monod; non che sia illecito dare questa interpretazione, ma non è lecito dire
che questa è l’interpretazione che viene dalla visione scientifica del mondo. Vedremo che
l’interpretazione di Teilhard de Chardin è diversa ed altrettanto scientifica anzi, forse più
scientifica di quella di Monod; infatti la biologia del terzo millennio si basa sulle idee introdotte
da Teilhard; ma di questo riparleremo.
Per Monod dunque l’uomo è un numero fortunato uscito alla tombola dell’universo, quindi non
c’è nessuna necessità dell’uomo. Come ultimo, ed ancora più brutale, esempio nell’uso del
caso riportiamo la posizione un altro dei grandi biologi contemporanei S. J. Gould, che ha
lavorato su quelli che si chiamano i fossili di “Burgess”. Burgess è una località del Canada
dove si è trovato in una roccia argillosa, tutta un’enorme quantità di fossili. È interessante il
modo con cui è avvenuta la fossilizzazione, che ci permette di esaminare le caratteristiche
anatomiche di questi fossili in maniera estremamente precisa.
Intanto si tratta degli animali più antichi che conosciamo, è la prima fauna sicuramente
appartenente al regno animale che conosciamo in dettaglio e risale a circa seicento,
seicentocinquanta milioni di anni fa; era un fondo marino in cui vivevano moltissimi animali
che si muovevano, nuotavano, ogni tanto dalla scarpata precipitava una nuvola di fango, gli
animali venivano travolti dal fango e seppelliti, ma quando il fango è diventato argilla ha
preservato in maniera eccezionale le strutture morfologiche anche fini, di questi animali.
La cosa affascinante per noi zoologi è che seicento milioni di anni fa si erano già formati tutti i
gruppi animali che conosciamo: erano già presenti: crostacei, molluschi, spugne, vermi di vario
tipo, e anche animali molto strani, che appartengono a piani organizzativi, cioè a tipi zoologici
che poi non si sono più trovati.
Tra questi animali c’è anche il nostro antenato, il nostro progenitore; ha la corda dorsale
assile, che poi è diventata la colonna vertebrale, ed ha una muscolatura in fasci che si ripetono
regolarmente lungo l’asse principale della sua struttura, vari fasci che agiscono su quella che
poi diventerà la colonna vertebrale, e permetteranno lo sviluppo del movimento rapido del
pesce. Abbiamo dunque il progenitore del tipo dei Cordati, al quale appartiene anche la specie
umana.
Ma qui cosa c’entra il caso? L’interpretazione casuale che Gould deduce dall’indagine di questi
fossili si può riassumere come segue: come mai alcuni forme si sono estinte ed altre sono
sopravvissute e si sono ulteriormente evolute fino a dare la ricchezza della vita animale che
vediamo oggi? Perché una forma si è estinta e un’altra è sopravvissuta? Nella interpretazione
di Gould non c’è nessuna ragione specifica, ma abbiamo a che fare con eventi puramente
causali. Ogni tanto la storia della vita sulla terra è fatta di eventi catastrofici, di cui forse
l’ultimo, quello più famoso è il meteorite che è caduto nel golfo del Messico e che ha portato
all’estinzione dei dinosauri; ci sono dunque estinzioni di massa che avvengono a caso o almeno
che sono dovute ad una causa esterna, non correlata con la dinamica evolutiva.
A seguito di queste estinzioni, qualcuno sopravvive, qualcuno no senza nessuna ragione
precisa se non il puro gioco del caso. Dunque se ci siamo è perché siamo stati fortunati, per
caso è sopravvissuto il nostro progenitore, ma poteva anche sparire, e noi non ci saremmo
stati.
Cos’è che non torna? Prima di tutto non torna il fatto che non ci siano prove che l’estinzione di
alcuni tipi organizzativi sia dovuta ad un evento catastrofico su scala globale. Oggi la fauna di
Burgess è stata ritrovata in tutte le rocce fossilifere coeve e quindi era diffusa a livello di tutto
il pianeta. La catastrofe doveva essere di tali dimensioni da avere interessato tutto l’oceano, e
allora avrebbe spazzato via la vita animale da tutto il pianeta e non solo qualche tipo sì e
qualcun altro no.
D’altra parte non si vede perché non si debba rinunciare ad una spiegazione adattativa: il
progenitore dei Cordati è il miglior nuotatore del gruppo, allora il fatto che in una catastrofe
marina sopravviva il miglior nuotatore, non è dovuto al caso ma all’adattamento. Come del
resto il fatto che in quella catastrofe che ha portato all’estinzione dei dinosauri, sopravvivano i
mammiferi e gli uccelli non è dovuto al caso. Infatti se accettiamo la teoria del meteorite, c’è
stato un periodo lungo di raffreddamento della crosta terrestre, e quindi non è casuale che
siano sopravvissuti gli animali in grado di termoregolare, cioè i mammiferi e gli uccelli. Quindi
ad una catastrofe non è seguita una sopravvivenza casuale, ma la una sopravvivenza di quegli
animali che sono più adatti a superare la catastrofe.
A questo punto possiamo trarre una prima conseguenza importante: il caso esiste nelle
spiegazione della biologia evolutiva ma solo in maniera estremamente limitata e non fa
problema alla teologia se non quando viene elevato ad interpretazione metafisica
dell’universo.
A possiamo trarre anche altre conclusioni.
Innanzitutto che il nostro universo non è fissista, i viventi non sono usciti così come sono fatti
direttamente da un atto creatore divino, cioè un universo che Dio crea perfettamente, con
tutte le sue potenzialità già realizzate, e poi consegna all’uomo, ad Adamo ed Eva, chiavi in
mano;
tieni, usalo, e l’uomo se l’universo è perfetto che cosa fa? Fa un pasticcio.
Questa è la visione che l’evoluzione ci deve portare a superare. Però non è neanche
strettamente deterministico e quindi che si muove nel tempo, come i meccanismi di un
orologio, rigidamente determinati e che quindi fissano in maniera esatta il muoversi delle ruote
e delle lancette. Questa impostazione che viene resa possibile con gli sviluppi della matematica
e della fisica porta al dio degli illuministi, che è responsabile della partenza del meccanismo ma
che poi si ritira e non interviene più.
In fondo con la matematica di Newton e Leibniz, si comincia a vedere che si può ricostruire
con delle equazioni la struttura dell’universo conosciuto, per esempio il moto dei pianeti, ed in
maniera strettamente deterministica io posso controllare in maniera numerica per esempio le
variazioni delle orbite di alcuni pianeti, e decidere che in un certo punto ci deve essere un
pianeta sconosciuto, che altera in maniera matematicamente calcolabile le orbite degli altri
pianeti. Si va poi a vedere ed in effetti si trova Nettuno.
Nettuno non è stato scoperto partendo dalla osservazione diretta, ma è stato previsto tramite
il calcolo, per cui tutto l’universo sembra un gigantesco orologio che funziona attraverso delle
leggi che qualcuno ha messo all’inizio, Dio mette le leggi poi si ritira e lascia che tutto vada
avanti in maniera strettamente determinata: ad ogni causa segue un effetto descrivibile con la
matematica di Leibniz e di Newton; Laplace afferma: “ datemi le condizioni iniziali, ed io vi
descrivo l’evoluzione dell’universo”, e quando Napoleone gli dice: “ e Dio?”, Laplace afferma di
non avere bisogno dell’ipotesi Dio per i suoi calcoli. Questo è epistemologicamente corretto.
Dio pone le leggi al movimento delle ruote, dà la carica all’orologio e poi si ritira.
Dio si ritira, è il dio della ragione illuministica. Quindi questo è il punto importante, questo
universo non è nemmeno un universo determinista, è un universo dove c’è un grosso spazio
per la probabilità, è un universo dove c’è un grosso spazio per il caso, non tutto era
strettamente determinato all’inizio, era un universo la cui caratteristica fondamentale non era il
caso ma la libertà.
Il caso in sé non è un problema per la teologia perché in fondo ciò che lo scienziato definisce
caso, può essere benissimo la libera azione di Dio, che non ha problemi a chiedere il permesso
per agire, e quindi agisce come vuole, e in questo agire come vuole lo scienziato vede il caso,
ed infatti si è detto che il limite di Monod non è tanto quello di sottolineare la presenza di
eventi casuali, ma quello di elevare il caso a strumento interpretativo metafisico dell’universo e
dire che questa è l’unica riflessione che deve fare lo scienziato: questo non è vero, questa è
l’interpretazione sbagliata di Monod, perché nulla vieta di pensare che il caso sia il nome dal
punto di vista della descrizione scientificfi di quella libera azione della provvidenza di Dio che
il credente può vedere in certi fenomeni apparentemente scollegati tra di loro e che
caratterizzano alcuni aspetti dell’evoluzione. .
Di fatto questo è un primo punto su cui riflettere: la visione dell’universo che ci viene oggi dalla
scienza è molto meno deterministica rispetto a quella di Laplace: la meccanica quantistica,
con il suo principio di indeterminazione, il cosiddetto caos deterministico, ci costringono
all’abbandono del modello di Laplace. Oggi sappiamo che anche conoscendo le condizioni
iniziali, non siamo in grado di descrivere il futuro, perché basta un margine di errore
infinitesimale, al di sotto delle capacità dei nostri stessi strumenti di misura, e il futuro può
cambiare completamente. Io sono rimasto sconcertato quando un mio caro amico astronomo,
mi ha detto di aver pubblicato un articolo su “Nature”, una delle più prestigiose riviste
internazionali, in cui ha ricostruito l’orbita di un asteroide, con un modello di equazioni che
tengono in considerazione i numerosi fattori che sull’orbita incidono (attrazione del Sole, dei
pianeti, di altri asteroidi). I dati sono stati messi in un computer che ha simulato l’andamento
dell’orbita per alcune decine di milioni di anniDalle simulazioni è risultato che l’asteroide fra
qualche centinaia di milioni di anni si allontanerà oltre l’orbita di Giove, si perderà lontano dal
sistema solare. Lo stesso programma con gli stessi dati girando di nuovo, dà come risultato
che l’asteroide precipita sulla terra, e questo, dal punto di vista esistenziale di chi sta sulla
terra una certa differenza la fa. Gli stessi numeri, lo stesso computer, le stesse equazioni, che
cosa è successo? Dal momento che esistono i numeri irrazionali, e il computer non può
utilizzare una serie infinità di numeri, ad un certo punto deve arrotondare, quindi anche se
arrotonda la ventesima cifra decimale, e quindi la differenza è minima, il risultato
dell’arrotondamento, anche se compiuto in maniera praticamente trascurabile, al contrario,
fatto in un senso o fatto in un altro dà un risultato completamente diverso. Quindi oggi
sappiamo che anche nella descrizione fatta con i nostri sistemi di equazione, basta un
cambiamento minimo e non prevedibile, che otteniamo un risultato completamente diverso; il
futuro non è prevedibile con i nostri strumenti di calcolo, non è prevedibile in maniera assoluta,
ancora l’universo è quello della libertà; questa è una delle realtà ontologiche più importanti che
derivano dall’indagine scientifica dell’Universo. Il nostro universo è l’Universo della libertà. Ma
per chi e perché? E questo è un punto di grande discussione nel dibattito sui rapporti tra
Scienza e Teologia. Vi è infatti tutta una linea di ricerca, fondamentalmente di lingua inglese,
che vede negli indeterminismi della natura il campo di azione che Dio si ritaglia per poter agire
nel mondo senza violare le leggi naturali che appunto, per natura sono aperte
all’indeterminazione. È una prospettiva interessante, anche dal punto di vista epistemologico,
che vede una continua azione di Dio nel mondo per indirizzarlo silenziosamente verso i suoi fini
e che prende ormai il nome di panenteismo.
Dio lavora continuamente nel mondo senza alterare le leggi fisiche perché gli spazi di libertà
che sono nell’universo sono gli spazi per l’azione divina. Il modello è molto interessante ma
non mi piace dal punto di vista teologico. Io non amo molto questa interpretazione perché il
discorso che abbiamo fatto la lezione passata, ci dice che, nonostante tutto uno dei punti
chiave dell’evoluzione, è che c’è troppa sofferenza nel mondo, allora l’idea di Dio che agisce
continuamente nel mondo per cambiare la posizione di una molecola o di un’altra, e poi si
distrae così che un bambino muore di anemia falciforme per me non è accettabile e bisogna,
dunque, riflettere su questo tema. Ecco perché arriveremo anche noi ad una concezione
cosmica di Cristo, ma attraverso Teilhard de Chardin, in cui alla fine Cristo sarà tutto in tutti,
ma come termine ultimo del processo evolutivo e grazie anche alla attiva partecipazione
dell’Uomo.
Il problema in fondo non è mai l’agire di Dio, perche’ per definizione Dio agisce come e
quando vuole senza bisogno di ricavarsi spazi appositi. Il problema è il non agire di Dio di
fronte al dolore e alla sofferenza. E il non agire, che già aveva incrinato la visione apologetica
della teologia naturale, incrina anche la visione panenteistica. Se non ha senso nella
riflessione teologica la visione di Dio che monta in maniera perfetta la zampa del coleottero,
ma poi dimentica l’anemia falciforme, cosi’ non ha senso un Dio che muove gli elettroni
approfittando della dinamica quantistica e poi ancora si dimentica della sofferenza
dell’innocente. Quindi occorre riflettere ed indagare su altre piste.
Il panenteismo però non è una banalità, è un grosso sforzo fatto dagli autori di lingua inglese
per superare tutti questi problemi: la probabilità, il caso, l’indeterminismo. Un universo la cui
caratteristica fondamentale è la libertà, ma non per la libertà dell’azione di Dio. Come vi ho
appena ricordato, per me Dio non ha bisogno di ritagliarsi degli spazi, Dio per definizione
agisce come e quando vuole, il problema non è mai l’azione, è il non agire, perché Lazzaro
viene risorto ed altri no? Dio può far risorgere Lazzaro, ma perché talvolta altri non risorgono,
altrettanto importanti per i loro cari quanto Lazzaro per Marta e Maria? La pista per risolvere
questo problema è quella che ci indica Teilhard de Chardin e quindi possiamo cominciare ad
esaminare in dettaglio la sua impostazione.
La prospettiva più importante che emerge dall’indagine sull’ evoluzione è il fatto che
nell’evoluzione emergono qualità nuove che non sono descrivibili conoscendo i passaggi
precedenti. Se io conosco tutte le molecole che erano presenti nel “brodo primordiale” non
posso sapere le qualità dell’essere vivente. Però queste molecole si collegano, si organizzano,
danno un nuovo sistema che acquista nuove qualità non prevedibili precedentemente. Ecco
perché vi ho parlato dell’universo come fonte di libertà. Nella descrizione della natura c’e’
anche questo punto, la nascita del nuovo non prevedibile, il discorso dei sistemi complessi
dove il tutto è più della somma delle parti; quando prendo delle parti e le metto insieme, si
forma un sistema che si autoregola e che sopravvive e quindi mantiene la stabilità perché
emergono delle qualità nuove, non prevedibili.
Diciamo che nell’insieme, dall’analisi della scienza sembra emergere la considerazione che la
struttura dell’Universo è caratterizzata da meccanismi che permettono un generale muoversi
verso la complessità. Ovviamente questo pone anche il problema del chi e perché ha posto
questi meccanismi nel “sistema universo”
È possibile pensare ad un’autoreferenzialità, per cui l’universo è un’entità che non ha bisogno
di motori esterni è completo ed autosufficiente ed autoesplicativo anche dal punto di vista
filosofico.
Noi però siamo qui per un confronto tra la scienza e la teologia per cui in fondo abbiamo già
accettato l’idea di un Creatore, principio dell’esistente e quindi ci poniamo il problema di come
la descrizione del creato che viene dalla scienza ci dà informazioni sul progetto del Creatore.
Il problema che emerge è che il progetto di Dio non è basato su un progetto statico, su un
ordine dato una volta per tutte all’inizio, è un progetto che si fa quotidianamente, perché
l’ordine non è nel passato, il giardino dell’Eden, ma nel futuro. L’idea di Teilhard de Chardin
che l’uomo grazie all’alleanza deve costruire la terra in Christo Jesu, propone un progetto che
l’uomo fa grazie all’alleanza guardando al futuro, proprio perché la caratteristica dell’ Universo
è la continua formazione del nuovo con cui occorre confrontarci. L’Universo non è compiuto, è
da compiere e il suo svolgersi grazie all'evoluzione va compiuto grazie alla Creatura pensante e
alla sua capacità di alleanza con Dio.
Allora nell’ evoluzione nasce continuamente il nuovo, e, in effetti, alla fine ecco la grande
novità: la nascita dell’essere pensante pronto dell’alleanza. Quindi ciò che conta è che ad un
certo punto nasce Abramo pronto a rispondere alla chiamata di Dio, il punto cardine
dell’universo dal punto di vista del cristiano.
La scienza, prima di Stenone e Lamarck, presentava una visione della natura, che era una
visione stabile, statica. E questa visione aveva fortemente condizionato la riflessione teologica.
Con la comparsa dell’ evoluzione ecco una visione dinamica che la necessità di cambiare i
nostri strumenti, ed è ciò che ha fatto Teilhard de Chardin.
La riflessione di Teilhard de Chardin si basa fondamentalmente sull’idea che dalla scienza
contemporanea emerge una visione di un universo che, anche se senza meccanismi
strettamente
deterministici, si muove verso la complessità e la coscienza: quindi la nascita di esseri
pensanti è un risultato probabile se non necessario dei meccanismi con cui si evolve
l’Universo.
C’è un determinismo molto largo, il che vuol dire che non è detto che automaticamente
dovesse venire fuori l’uomo fatto in questo modo, ma senz’altro doveva emergere un essere a
struttura cerebrale, tale da permettere questo salto importante nell’economia dell’Universo che
è la nascita del pensiero; l’universo va verso forme sempre più complesse, e la dove è
possibile verso strutture sempre più cerebralizzate, con meccanismi tipici della complessità,
cioè con effetti soglia, emergenza di nuove qualità non prevedibili dalla struttura dei livelli
gerarchicamente più bassi ma tutto all’interno di questo schema generale che guida l’
evoluzione.
Il meccanismo è fatto per andare verso la complessità e la coscienza.
Allora ci siamo lasciati sulla domanda che mi pare importante, cioè sulla sintesi ed il confronto
tra la lvisione dell’universo che viene dalla scienza, e quella che viene dalla fede. Io da questo
punto di vista credo che ci sia una distinzione fondamentale da fare. Se prendiamo le
definizioni di teologia naturale dal libro di Barbour, “ Religion in an age of science”, che è il libro
su scienza e fede più diffuso nel mondo, io non mi muovo nell’ ambito concettuale della
teologia naturale.
Barbour fa una distinzione importante fra teologia della natura, e teologia naturale; la teologia
naturale ha sempre una ragione di fondo apologetica, ricordate Galeno, quindi attraverso lo
studio della natura dimostra la presenza di Dio o i suoi attributi. In fondo la teologia naturale
ha pur sempre una valenza apologetica che ha me riesce difficile da accettare.
Questa visione io non l’accetto, poiché vi sono alcuni aspetti dei meccanismi evolutivi, la
sofferenza in particolare, che rendono difficile la visione apologetica. Io preferisco muovermi
nell’ottica della teologia della natura; cioè una volta fatta la scelta di fede in Dio, un Dio
creatore dell’universo, allora lo studio della natura mi da delle informazioni sul modo di creare
di Dio, quindi ha qualche cosa da dirmi.
Barth, grande teologo riformato diceva che la natura è opaca rispetto alla comprensione di
Dio, se vogliamo capire Dio c’è la sua rivelazione e questa basta. Io credo che la natura ci dia
informazioni su Dio, ma solo una volta che io ho già fatto la scelta per la fede, ed è come atto
successivo che la natura può darmi delle informazioni, anche sul piano che Dio ha sulla mia
vita. Dio non si dimostra con le leggi della fisica, ma con le nostre vite.
Iniziamo a parlare di Theilard De Chardin.
È stato uno dei maggiori scienziati del XX secolo. È stato il fondatore della paleontologia e della
geologia del sub continente cinese, ha lavorato per vent’anni in Cina, come antropologo è
stato uno di quelli che ha lavorato sull’uomo di Pechino, e vedremo se avremo tempo alcune
delle sue idee sulla complessità e sulla biosfera sono alla base di alcune delle più importanti
correnti scientifiche del XXI secolo. Nasce nel 1881, muore nel 1955. Darwin muore nel 1882.
Queste date sono importanti per capire, Theilard de Chardin si muoverà in un ambiente
scientifico che ha come punto di riferimento la teoria dell’evoluzione. Nasce da una nobile
famiglia, ed ha due grandi passioni, una per le scienze naturali, ed una per la vocazione
religiosa che vivrà nell’ordine dei gesuiti. Quindi studia negli studentati dei gesuiti, e si
perfeziona in studi in Inghilterra. A cavallo della prima guerra mondiale quando torna a Parigi
viene ammesso nel laboratorio di paleontologia di Marcellin Boule, che è il maggior
paleontologo francese. Per la tesi di dottorato studia i mammiferi fossili di alcune regioni della
Francia, ma il suo lavoro è interrotto dallo scoppio della prima guerra mondiale, a cui partecipa
come barelliere.
La guerra è lo strumento che permette a Teilhard de Chardin di capirsi fino in fondo, esce dagli
ambienti protetti in cui aveva vissuto, e si ritrova a contatto con un’umanità varia, sofferente
ed anche disperata. Da questo viene purtroppo uno degli aspetti più deboli della sua visione,
cioè il fatto di ritenere che anche le guerre sono utili, per il progresso dell’umanità. Comincia a
scrivere il diario, e poi le prime di una grande quantità di lettere. Di lui abbiamo un epistolario
immenso.
Nel diario scrive che la sua vocazione è quella di portare alla chiesa ciò che c’è di buono ed
importante nel mondo moderno. E per lui che era un paleontologo la cosa più importante era
l’evoluzione, dunque il problema diviene confontarsi con l’evoluzione. Infatti poche pagine dopo
sempre nel diario dice che l’aspetto evolutivo del mondo implica un modo particolare di creare,
per il quale ci deve essere una ragione ontologica profonda. Il fatto che Dio ha creato il mondo
in evoluzione, vuol dire molto, ci deve essere una ragione profonda, non è soltanto una
descrizione, deve cambiare il nostro modo di vedere la natura. Poi c’è un altro problema la
insoddisfazione della scienza tradizionale. La scienza tradizionale, era una scienza che studiava
modelli simili a quello della farfalla che abbiamo visto, che smontava ogni essere vivente per
studiarne le cellule o le molecole, ogni strato per studiare i fossili, ma che perdeva la visione
d’insieme. Per Teilhard de Chardin diventa fondamentale la visione globale. E qui c’è una cosa
bellissima, c’è uno scambio di lettere con un suo collega geologo, cattolico, ma laico, Jean
Boussac, che concorda con lui sulla necessità di cambiare completamente visione nei riguardi
del modo di fare geologia. Ci vuole un approccio completamente diverso allo studio della terra,
un approccio globale basato su un progetto che consideri la Terra come un tutto. E gli
suggerisce di leggere i mistici.
È interessante che un laico gli dica di leggere Angelo da Foligno, perché nei suoi scritti troverà
quella visione d’insieme che gli sarà d’aiuto per le sue ipotesi scientifiche.
Bisogna fare una nuova geologia. Boussac viene ucciso in guerra, e Teilhard de Chardin gli
succederà sulla cattedra all’Istituto Cattolico di Parigi ed insegnerà geologia.
Dunque vi è una ragione ontologica profonda dell’evoluzione, intesa come cambiamento
irreversibile nel tempo. Evoluzione dunque non vuol dire né un universo statico, né che ritorna
ciclicamente su se stesso, ma vuol dire cambiamento irreversibile nel tempo: ciò che c’è oggi
c’è non c’era ieri e non ci sarà domani. E qui c’è il punto fondamentale, una delle chiavi per
capire la ricchezza del pensiero di Theilard de Chardin, cioè la possibilità di superare la visione
statica, ma anche di superare però anche il rischio di un modello puramente casuale. Non è
possibile che il caso sia elevato a strumento di interpretazione metafisica. Egli comincia a
chiedersi un’altra cosa, se l’evoluzione non sia un muoversi verso, cioè che ci debbano essere
delle linee preferenziali nell’evoluzione, che devono rendere conto poi dell’emergenza
dell’uomo, e che devono essere oggetto di indagine da parte dello scienziato. La sua indagine
sarà quella di cercare nello studio dei fossili, quei parallelismi e quelle canalizzazioni che
dimostrano come l’evoluzione sia un muoversi verso la complessità e la coscienza. Questa è la
sintesi del suo progetti scientifico sull’evoluzione biologica. Questo progetto parte dalla
necessità teologica di superare il modello puramente casuale e reintrodurre anche dal punto di
vista sperimentale una qualche prova della necessità dell’emergere del pensiero nell’economia
dell’universo. È la teologia quindi che interpella la scienza e che le chiede di indagare se possa
esserci una qualche necessità dell’essere pensante che può essere cercata con i metodi di
indagine della scienza stessa.
E qui è affascinante notare che, quando dopo la guerra, pubblica la sua tesi di dottorato,
pubblica un lavoro a parte sui Primati e cerca di mostrare come l’evoluzione delle scimmie più
antiche è caratterizzata da un muoversi verso forme a sempre maggiore cerebralizzazione,
una evoluzione che va in parallelo con la linea evolutiva che porta all’uomo.
Quindi l’uomo, inteso come un animale che arriva a livelli di cerebralizazzione tali da essere
pronto ad accogliere il pensiero, non è il frutto del puro caso, ma è il risultato di tutta una
serie di linee evolutive che vanno verso forme a cerebralizzazione sempre più grande. Nel
momento in cui si incominciano a formare i vari rami di scimmie, questi non si evolvono
disperdendosi a caso, in qualsiasi direzione, ma si muovono tutte in parallelo verso un
aumento delle strutture cerebrali. Questo che sarà il centro della sua ricerca scientifica,
emerge già nella discussione della tesi del dottorato. L’evoluzione come muoversi verso la
complessità e la coscienza, e negli animali verso strutture a maggiore cerebralizzazione.
Quando esce la sua tesi di dottorato, egli si impone come uno dei più brillanti giovani
paleontologi europei.
In quel periodo Boule il suo maestro di paleontologia, riceve la richiesta di una collaborazione
da padre Emile Licent, che è un gesuita che lavora in Cina e che vuole approntare in Cina un
museo di paleontologia, e che quindi chiede una collaborazione per studiare i fossili della Cina.
Boule pensa subito a Theilard de Chardin, che quindi inizia questa collaborazione.
Succede però uno spiacevole incidente, in questo periodo di accesi dibattiti sulla visione del
mondo, la chiesa ha ancora difficoltà ad accettare l’evoluzione, e Theilard de Chardin si pone
invece come difensore dell’evoluzione nei dibattiti culturali e scientifici parigini. Gli viene
chiesto un parere sul problema del peccato originale. Egli scrive alcune pagine ad uso
privato, da poco pubblicate in italiano nel volume: “La mia fede” sulla convergenza fra fede ed
evoluzione, in cui vengono messe in dubbio la storicità di Adamo ed Eva, e viene anche
proposta una nuova visione sul peccato originale visto come il disordine iniziale rispetto al
muoversi verso un ordine verso cui tende l’evoluzione. Il male come attrito necessario di una
materia che faticosamente si muove verso il compimento di un progetto. Ma queste pagine non
si sa come finiscono nelle mani dei suoi superiori, i quali a quel punto per evitare che Teilhard
de Chardin diventasse il punto di incontro per tutte le tensioni. anche politiche, che
interessavano il mondo cattolico francese, gli propongono di andare in Cina a collaborare
meglio con padre Licent. La Cina sarà la grande fortuna di Teilhard, de Chardin, poiché lì
diventerà il grande scienziato che è, ed avrà anche la possibilità di scrivere i suoi testi più
importanti.
V
Siamo giunti al momento della partenza di Teilhard De Charden per la Cina. Teilhard dopo la
tesi di dottorato, aveva iniziato ad insegnare geologia, all’istituto cattolico di Parigi, con questa
idea di fondo dal punto di vista della geologia, e della paleontologia, cercare nuovi strumenti di
indagine scientifica, per potere trovare nell’evoluzione dei fossili, quelle tracce che rendessero
conto che l’evoluzione non era un muoversi casuale, senza nessuna direzionalità precisa ma si
muoveva verso la complessità e la coscienza. Per fare questo Teilhard affronta in maniera
originale i rapporti tra Scienza e Fede con un modello di fatto nuovo. Per discuterne la novità e
la fecondità delle prospettive occorre fare una riflessione più generale sui rapporti tra Scienza
e Fede, per capire meglio la novità portata da Teilhard de Chardin nei modelli di interazione.
Con Teilhard, noi pensiamo che nasca un nuovo modello di interazione fra scienza e teologia
che supera in qualche modo il modello tradizionale, che è quello che abbiamo da Galileo. Qual
è il modello galileiano? Qualunque percorso di riflessione sul rapporto fra scienza e fede, non
può prescindere dalla lettura delle “Lettere copernicane”. Sono quattro lettere che Galileo
scrive tra il 1610 ed il 1615 ad alcune personalità a lui vicine, per cominciare a difendersi dagli
attacchi di coloro che lo consideravano come uno dei propugnatori del sistema copernicano.
Praticamente il discorso fondamentale di Galileo è che, nel momento in cui la conoscenza
umana giunge a conclusioni naturali, basate su sensate esperienze (esperimenti), e necessarie
dimostrazioni queste ci permettono di comprendere il maniera definitiva il libro della natura;
noi abbiamo a che fare quindi con conclusioni sul libro della natura che devono essere
confrontate con il libro della rivelazione. Dio ci parla attraverso questi due libri: il libro della
natura, ed il libro della rivelazione, però ci sono dei momenti in cui le conclusioni naturali
sembrano contrastare il libro della rivelazione. Dunque che strumento dobbiamo avere? La
fede, non può interferire sulle conclusioni naturali, bisogna leggere in altro modo il libro della
rivelazione.
Ricordate la famosa frase che Galileo riprende dal testo del cardinal Baronio: “la Bibbia ci dice
come si va in cielo, ma non come va il cielo”. Se dunque l’astronomia giunge alle conclusioni
che è la terra che gira intorno al sole, occorre, per risolvere i punti di contrasto comprendere
che la Bibbia è stata scritta in un linguaggio che rispecchiava non solo la lingua, ma anche la
cultura del popolo a cui appartiene lo scrittore o gli scrittori a cui è stato affidato il
messaggio teologico. Il messaggio teologico viene dunque rivestito, dallo scrittore biblico, con
le conoscenza e la cultura del suo tempo.
Con il metodo galileiano, il lavoro della scienza giunge a conclusioni definitive sulla natura. La
conoscenza, specialmente se può essere espressa in leggi universali scritte con il linguaggio
della matematica, è assoluta e definitiva, ed è il teologo che quindi deve tenerla in
considerazione quando si accosta al testo biblico per trarne delle conclusioni che riguardano il
messaggio di Dio.
È il modello a cui, di fatto, sempre facciamo riferimento, ed è interessante ricordare che,
andando a leggere uno dei libri fondamentali di Avveroé, scritto circa cinque secoli prima delle
lettere copernicane ed in ambiente musulmano, troviamo interessanti somiglianze. La storia è
nota: nel 1168 il califfo di Cordoba dà l’incarico di commentare Aristotele ad Avveroé, che
viene così a confrontarsi, come del resto già aveva fatto e stava facendo tutta la cultura
musulmana, con le capacità conoscitive della scienza classica. Le conclusioni di Averroé sono
importanti. Egli infatti afferma che, dove le conclusioni logiche sembrano in contrasto con le
affermazioni del testo sacro, il Corano, è il Corano che va letto in maniera allegorica. Se ci
pensiamo questo fatto distrugge tutte le letture fondamentaliste del Corano, e la crisi
dell’Islam interviene proprio quando viene abbandonata la prospettiva proposta da Averroé. .
Possiamo quindi concludere che, là dove la scienza, con il suo metodo, accerta fatti che
interpellano la teologia la teologia deve tenerne conto nel momento in cui affronta il problema
dell’interpretazione dei testi sacri. La teologia però non puo’ influenzare la scienza nella sua
opera conoscitiva.
Teilhard de Chardin rappresenta un passo avanti rispetto a questo modello, chiaramente
asimmetrico, anche perché lavora sui problemi dell’ evoluzione biologica, problemi che si
riferiscono, come abbiamo già visto, a temi molto più importanti dal punto di vista filosofico
e teologico, che non quello del sistema solare. In questo campo quindi la teologia può porre
delle domande alla scienza, e quindi non ha solo la funzione passiva nei riguardi della scienza,
ma ha anche una funzione propositiva, partecipando alla costruzione delle teorie scientifiche.
Questo aspetto lo si vede bene dall’opera di Teilhard de Chardin Per lui, infatti, uno dei punti
fondamentali da tenere presenti era quello di una qualche necessità dell’emergenza dell’essere
pensante, nell’economia dell’universo. Vi deve essere un movimento dell’evoluzione verso
forme sempre più cerebralizzate che rendano ragione dell’ emergenza di un cervello tale da
poter accogliere il pensiero. Attraverso l’analisi dei fossili e quindi della paleontologia, che era
il campo di lavoro sperimentale di Teilhard, la scienza deve mostrare la presenza di linee di
tendenza che rendono conto del muoversi verso l’essere pensante. Teilhard afferma che
esiste una legge fondamentale della natura, la legge di complessità e coscienza, che rende
ragione del muoversi verso dell’ evoluzione, muoversi verso forme sempre più complesse e
cerebralizzate.
I segni di questo muoversi verso, di questa legge generale della natura, devono essere
dimostrati attraverso un’indagine sui fossili. L’evoluzione della materia è verso la complessità,
il massimo della complessità si ottiene in biologia, quindi la biologia è la scienza che studia la
complessità della vita; e la paleontologia studia l’evoluzione degli animali come un muoversi
verso la cerebralizzazione. Se voi andate a vedere vi è una preoccupazione costante che
emerge più volte nei suoi lavori scientifici: la ricerca di esempi in vari rami filetici e vari
gruppi animali, che mostrano come da forme a strutture cerebrali semplici si va a strutture
cerebrali sempre più complesse. Questa idea che per Teilhard derivava da una richiesta della
teologia, cioè quella di trovare nell’ evoluzione le tracce sperimentali di un muoversi verso la
complessità e la coscienza, diventa poi uno strumento importante per costruire le sue teorie
scientifiche. Quindi vedete che qui c’è proprio questo aspetto: un dialogo tra le necessità della
teologia e le ipotesi con cui la scienza costruisce le sue teorie. La riflessione sulla biologia come
scienza della complessità della vita parte in Teilhard nelle lettere che scrive tra il 1922 ed il
1923, e poi viene teorizzata nel libro: “Il posto dell’uomo nella natura” che viene completato
negli anni quaranta; l’unico libro che può pubblicare in vita, perché rappresenta una serie di
lezioni che lui tiene a Parigi alla Sorbona.
Oggi si parla di complessità, e si dice che la biologia è la scienza della complessità della vita,
ma è solo nel secondo dopoguerra che si parla chiaramente di complessità, e se ne fa un
oggetto di indagine scientifica.
Teilhard quindi è uno dei grandi precursori di questa idea, ecco l’importanza scientifica di
Teilhard, e l’importanza del riportare quelle che lui riteneva le necessità della teologia alla
scienza. Nasce un nuovo metodo scientifico, necessario per affrontare il problema della
complessità.
Negli anni venti in Francia siamo nel pieno del dibattito sull’evoluzione ed è ormai noto che
questo giovane gesuita si è imposto come uno dei migliori paleontologi di lingua ed estrazione
francese. Teilhard in effetti dopo il dottorato ottiene l’insegnamento della geologia all’Istituto
Cattolico di Parigi e quindi è una figura visibile ed autorevole. Gli viene richiesto un parere su
come vedere il peccato originale in una prospettiva evolutiva. e lui scrive in una piccola nota,
che è poi riportata sul libro: “La mia fede” da poco (!) pubblicato in traduzione italiana.
Seguendo l’ evoluzione, in particolare nella visione per certi versi drammatica che deriva dalla
selezione naturale cioè dalla teoria di Darwin, il peccato originale diventa un problema che si
impone con tutta la sua evidenza. Infatti come abbiamo già detto, Darwin unifica il tempo
quindi, nella natura e nei meccanisnmi con cui si evolve la vita, non c’è un prima ed un dopo
la caduta. Teilhard fa alcune interpretazioni, basate sul fatto che non vi è segno di caduta nella
natura e che d’altra parte è difficile se non impossibile collocare Adamo ed Eva nella storia
dell’ evoluzione umana cosi’ come è ricostruita dai fossili.
Il punto fondamentale è che non c’è un segno di una crisi nella natura; allora una idea
teilhardiana è quella che la coppia originaria è fuori del tempo e dello spazio, commette la
colpa e quindi viene poi immessa in un universo che risente, è segnato dalla caduta.
L’altra invece, è l’idea che in fondo noi chiamiamo peccato originale, quella che in qualche
modo è una necessità dell’evoluzione; se l’evoluzione è un muoversi verso, non soltanto verso
la complessità e la coscienza, ma verso un ordine che è nel futuro, deve partire da un
disordine. Se l’evoluzione è la nascita dell’ordine nel tempo, deve partire da una situazione
disordinata; la situazione disordinata che va organizzata, porta a quello che lui chiama “il male
statistico”, che è necessario all’interno di ogni atto creativo, se l’ordine è nel futuro. Se
l’evoluzione ci porta a pensare ad un ordine nel futuro ci deve essere un disordine di partenza
che necessariamente è quello che noi chiamiamo male. Nessuna delle due soluzioni è
soddisfacente, ma ci rendiamo conto che Teilhard ha posto sul tavolo della discussione l’unico
grande problema che l’evoluzione pone alla teologia. Comunque sia, questo scritto privato
finisce nelle mani dei superiori, e viene ordinato a Teilhard, visto che aveva già una
collaborazione con padre Emil Licent, un paleontologo gesuita che stava approntando un Museo
a Tien Tsin, di andare in Cina. Questa fu probabilmente una decisione saggia e positiva, poiché
Teilhard venne tolto da quelle che erano le polemiche locali, e gli viene messo a disposizione
un intero continente, e può così studiare l’evoluzione a livello continentale, quindi superare
quello che era il limite dell’approccio darwiniano, che si riferiva a piccole popolazioni, ad un
piccolo numero di individui, e studiare l’evoluzione ad un livello ampio, continentale. Ed allora
ecco che così si evidenzia il secondo punto importante, la visione d’insieme, la visione globale.
Vi ricordate che durante la prima guerra mondiale aveva uno scambio epistolare con un suo
amico geologo, a cui manifestava l’insoddisfazione dell’approccio riduzionista il geologo,
laico, Jean Boussac gli dice di leggere Angelo da Foligno, ed è interessante che nel testo
teologico più importante di Teilhard “L’ambiente divino” ci siano dei riferimenti ad Angelo da
Foligno. Dunque il teologo, il religioso riceve il suggerimento di studiare e riflettere dal laico
scienziato. Questo è importante per fare capire come, quando si vanno ad indagare, da un
punto di vista storico, i rapporti tra scienza e fede, gli schemi saltano e il dialogo viene fatto a
tutto campo. Nel 1922 partecipa ad una spedizione nel deserto dell’Ordos in Cina. Questo
aspetto va sottolineato: Teilhard de Chardin era un paleontologo che esprimeva il meglio di sé
sul campo e di fatto viaggerà moltissimo nelle regioni più desertiche e sperdute della Cina..
Vi è un esempio interessante delle sue qualità di paleontologo che sapeva rapidamente
comprendere ‘importanza di un fossile, di uno strato, di una roccia.
Scrive, infatti, durante una spedizione nel deserto del Gobi, una lettera al suo maestro Boule,
dicendo che aveva fatto una scoperta curiosa, dal momento che aveva trovato fossili di
molluschi d’acqua dolce nel deserto, questo dato stava chiaramente ad indicare che c’era
stato un cambiamento di clima, ed una migrazione dei laghi. Poi termina la lettera, e corregge
“curiosa” con “fondamentale”, cioè evidentemente lì sul campo riflettendoci un momento, il
tempo di scrivere una lettera, capisce che si tratta di una scoperta che indica chiaramente la
conferma di una teoria importante e nuova. Quella del cambiamento del clima e della
migrazione dei laghi nel subcontinente cinese. Questo significa che era uno scienziato da
campo che comprendeva subito il valore delle sue scoperte.
Ma torniamo al viaggio del 1922. Nel deserto gli capita ciò che gli era capitato durante la
prima guerra mondiale, una domenica senza pane né vino; non può dunque consacrare e
quindi si raccoglie in meditazione. Da questa meditazione nascerà un testo importante nella
mistica del ventesimo secolo: La messa sul mondo”. L’idea di consacrare l’intero mondo non
avendo né pane né vino si collega all’idea dell’immersione nella totalità dell’universo come
strumento per aprirsi alla totalità di Dio. Nel 1923 inizia a scrivere una serie di lettere in cui
chiede ai suoi amici geologi e paleontologi un nuovo strumento che deve affrontare
l’evoluzione nel modo più ampio possibile, nel modo della globalità.
È affascinate l’idea che questa esperienza mistica della globalità si concretizzi un anno dopo
nella proposta di un nuovo metodo per fare scienza, che deve essere quel modo globale, oggi
diciamo “olista” che sta diventando uno degli strumenti principali del nuovo approccio della
scienza. Non c’è o non è stata ancora trovata una lettera dove affermi che tale idea gli sia
venuta dopo l’esperienza mistica vissuta, ma è ancora un ulteriore esempio della ricchezza
dell’esperienza teilhardiana.
In una lettera ad un amico scienziato Teilhard è estremamente chiaro: in punti importanti
dell’evoluzione entrano in gioco dei fattori che si perdono andando ad usare l’approccio
riduzionista. Cambiando di scala cambiano i meccanismi e si aggiungono significati; ed i
meccanismi importanti dell’evoluzione non si possono studiare al livello della semplice
popolazione. Ci vogliono tempi lunghi e spazi ampi. Questo oggi è l’approccio globale, il famoso
approccio globale, che Teilhard inizia a definire negli anni Venti. A questo punto la sua idea è
che studiando l’evoluzione dei fossili per tempi lunghi su spazi ampi, emerge una caratteristica
fondamentale: l’evoluzione come fenomeno di parallelismi e di canalizzazioni, quindi
l’evoluzione come un muoversi verso.
Questa ipotesi dell’ evoluzione come muoversi verso è ormai organizzata agli inizi degli anni
venti, ma non ha ancora trovato la prova sperimentale. Uno degli aspetti più importanti
dell’opera scientifica teilhardiana è la partecipazione all’ equipe che lavora sul cosiddetto Uomo
di Pechino Teilhard ha il compito di datarne i resti. Non vi erano ancora datazioni assolute e
quindi occorreva trovare, negli strati dell’Uomo di Pechino, fossili che potessero essere
collegati a fossili di altri strati fino a giungere a strati con fossili noti dal punto di vista della
datazione.
. Per fare questo deve indagare in maniera approfondita i fossili di una formazione geologica da
lui osservata in un viaggio compiuto pochi mesi prima: le terre rossastre a Roditori. L’ aspetto
affascinante è che deve studiare queste zone rossastre a roditori, e lì che lavorando su questi
piccoli roditori, sui crani, sui denti, attraverso il metodo proposto da lui cioè studiare
l’evoluzione in tempi lunghi e spazi molto ampi (segue queste linee filetiche per venti milioni di
anni e sugli ampi spazi continentali della Cina) mette in evidenza che c’è un ceppo originario,
da cui si dividono tre rami, e tutti e tre questi rami, anche se ormai separati, evidenziano le
stesse caratteristiche. Si passa, dai molari a crescita limitata, ai molari a crescita continua, in
maniera indipendente nei tre rami; le vertebre cervicali si fondono, si adattano tutte alla vita
fossoria, in maniera indipendente nei tre rami e tutte le forme dei tre rami aumentano la
taglia, e quindi aumentano le dimensioni del cervello. Quindi nello schema darwiniano, un
ceppo iniziale si separa e i suoi rami evolvono in maniera del tutto seguendo percorsi
completamente divergenti. Applicando, invece, questo metodo dell’evoluzione globale, cioè
indagando su tempi lunghi e spazi ampi, Teilhard intende dimostrare che l’evoluzione è
fondamentalmente un fenomeno canalizzato e, a livello globale e cosmico, si muove verso la
complessità e la coscienza. La cosa più importante è che questa idea generale viene dimostrata
col lavoro sui fossili.
Qui Teilhard ha un’intuizione importante; questa è la Cina dunque praticamente un continente,
se questo mi permette di avere informazioni nuove sull’evoluzione, vuole dire che per capire
fino in fondo l’evoluzione bisogna operare un salto ulteriore. Ed allora lo strumento
fondamentale d’indagine, è che bisogna considerare come oggetto di studio l’intera biosfera. E’
con Teilhard che nasce la moderna scienza della biosfera., bisogna parlare della biosfera come
unica entità, Teilhard è uno dei fondatori della scienza della biosfera.
Teilhard arriva a questo grazie a tutte queste relazioni fra le necessità della teologia, e le
necessità della scienza. Il risultato è questo progetto: per capire l’evoluzione bisogna studiare
la biosfera come un unico oggetto complesso che si evolve nel tempo.
Durante l’occupazione giapponese di Pechino ( siamo in pieno svolgimento della seconda
guerra mondiale) Teilhard è praticamente chiuso nel quartiere delle ambasciate, dal
momento che l’ambasciata francese non viene chiusa, ed in queste poche stanze
dell’ambasciata si ritirano i gesuiti, e Teilhard che soffriva molto questa situazione poiché non
poteva lavorare sul campo, passa molto tempo a pensare agli sviluppi teorici delle sue ipotesi e
propone una nuova scienza: la geobiologia.
La geobiologia è la scienza dell’evoluzione continentale, la scienza dell’indagine della biosfera.
Nell’articolo introduttivo Teilhard è molto chiaro nel presentare il campo di azione di questa
nuova scienza. : “La terra non è solo un supporto spaziale, ma la matrice di questo spazio
vivente che la circonda. Quindi l’importanza crescente che la scienza dà alla nozione di
biosfera, che non è semplicemente un’entità metaforica ma una realtà fisica così come tutte le
altre diverse sfere. La biosfera deve essere portata al rango delle più alte realtà scientifiche
che conosciamo, bisogna sviluppare nella scienza una disciplina in particolare consacrata
all’identificazione della biosfera”: ecco la geobiologia, o scienza della biosfera. La scienza della
biosfera diventa quindi una scienza di viventi e non viventi
collegati insieme che danno un
unico sistema complesso che si evolve. Le relazioni che esistono a livello di Biosfera e che
collegano viventi tra di loro e con gli oggetti non viventi, non permettono un evoluzione
totalmente casuale, come è stata poi interpretata da Monod, o da Gould, ma creano precise
linee di canalizzazione che portano verso la complessità e la coscienza. Non mi fraintendete ma
possiamo fare un paragone, solo un paragone: come il vivente preso nel suo insieme cambia
nel tempo dall’uovo si passa all’embrione, poi al piccolo, e poi all’adulto, ma non in maniera
casuale, ma secondo delle linee ben precise, la biosfera cambia nel tempo, la vita prima nasce
poi si complessifica sempre di più, dal mare, poi inizia la vita sulle terre emerse, ma all’interno
di un sistema che alla fine sfocia nella mente; sfocia in animali che hanno un cervello pronto
ad accogliere il pensiero o se volete per dare origine alla mente. E questo è il fascino dell’idea
teilhardiana. .
Uno degli sviluppi più interessanti della teoria che considera la Biosfera come un’unica entità è
quella compiuta da Lovelock con la cosiddetta ipotesi Gaia. Nella prospettiva di una visione
globale, Lovelock ritiene che, a livello di Biosfera, viventi e non viventi interagiscono dando
luogo ad un vero e proprio sistema in cui le parti sono collegate da meccanismi di feedback che
mantengono stabili i parametri che permettono la sopravvivenza del sistema stesso. In questa
prospettiva i parametri che si sono mantenuti costanti per decine se non centinaia di milioni di
anni, quali la temperatura dell’atmosfera, la salinità dei mari, la concentrazione di ossigeno,
quella di anidride carbonica, non sono stabili per un insieme fortunato di combinazioni
geofisiche ed astronomiche, ma per l’azione attiva dei viventi. In fondo vi è un grande
cambiamento di visione: non è più la vita che si adatta faticosamente all’ambiente, ma al
contrario è l’ambiente che viene attivamente mantenuto costante per adattarlo alle necessità
dei viventi. Come si vede tutto parte dall’idea teilhardiana della Biosfera come una unica
entità complessa. Ma in Teilhard prevaleva fortemente l’idea di evoluzione, mentre in Lovelock
l’idea di stabilità. Di fatto di fronte a parametri, quali quelli dell’irraggiamento del sole che
aumenta nel tempo e quindi tenderebbe a far aumentare la temperatura dell’atmosfera, la
Biosfera risponde attuando strategie per mantenere la stabilità. Una di queste strategie
potrebbe essere l’evoluzione. In questo caso l’evoluzione avrebbe funzione adattativa.
La prospettiva, è una biosfera che si evolve, quindi che cambia sempre nel tempo, ma nella
stabilità di alcuni parametri. E qui secondo me emerge la ricchezza delle varie interazioni;
perché il progetto teilhardiano ci dice che il muoversi verso deve continuare. Allora Lovelock ci
dice come preservare la biosfera, ci sono dei parametri che vanno mantenuti stabili; Teilhard
de Chardin ci dice che però il cammino deve continuare per permettere la convergenza
dell’umanità nel punto omega. Quindi sintetizzando direi che Lovelock arricchisce di temi
concreti il progetto teilhardiano del muoversi verso, sottolineando che non c’è muoversi verso
se la biosfera viene distrutta e che la distruzione della Biosfera può essere evitata se l’umanità
compie il suo cammino nel rispetto della stabilità.
La teologia suggerisce una qualche necessità dell’emergenza dell’essere pensante, la scienza
recepisce tale necessità ed inizia a vedere l’evoluzione come un muoversi verso; inizia lo studio
della complessità della biosfera. A questo punto interviene una grande novità, che è quella
dell’apertura al futuro.
L’ordine che deve essere costruito è un ordine che trova il suo compimento nel futuro;
l’universo così diventa storia, ed ha una storia che è storia dunque di salvezza. Ma una
salvezza che non guarda al passato ma si costruisce nel futuro.
Come si vede quindi Teilhard de Chardin comincia a risolvere i vari problemi che l’evoluzione
pone alla teologia, ma anche suggerendo nuove piste per la scienza.
Un problema è quello della nascita del pensiero. Per Teailhard de Chardin si tratta chiaramente
di un effetto soglia; nella ricostruzione che egli fa degli alberi di filogenesi si vede
chiaramente come l’evoluzione vada verso forme sempre più complesse, fino ad arrivare ad
un momento in cui tali forme sono capaci di accogliere il pensiero.
Teilhard de Chardin, per far capire come il pensiero sia di fatto una continuità nella
discontinuità fa l’esempio dell’ acqua che bolle: come per l’ebollizione dell’acqua; si mette una
pentola sul fuoco, e vi è un passaggio continuo di calore dalla fiamma all’acqua che ha come
conseguenza un aumento continuo della temperatura dell’acqua, fino a che a 100° gradi,
avviene il cambiamento di stato e l’acqua inizia a bollire. Analogamente, vi è una rapida
crescita delle strutture fino ad arrivare ad un punto in cui è presente un effetto soglia, ed in
seguito a questo effetto soglia un cambiamento di stato e quindi l’acquisizione del pensiero.
Dunque l’evoluzione va avanti per effetti soglia: la nascita della vita, la nascita del pensiero.
Teilhard basa la sua ipotesi dell’effetto soglia su dati di paleoantropologia. Ad un certo punto
l’evoluzione umana cambia improvvisamente dal punto di vista qualitativo. Ad esempio l’uomo
si sposta ed emigra da un luogo all’altro per ragioni che non sono semplicemente ecologiche,
ma quasi spinto dalla curiosità di conoscere
Non abbiamo più a che fare semplicemente con un’evoluzione genetica, non conta più solo la
trasmissione dei geni di generazione in generazione, entra in gioco un fattore importantissimo:
l’evoluzione culturale, che accelera la trasmissione dei caratteri, e la trasmissione culturale è
l’unico momento in cui torna ad avere ragione Lamarck: c’è un’ereditarietà dei caratteri
acquisiti. Qualcuno in una popolazione umana inventa uno strumento, a questo punto non si
deve attendere che questa variante comportamentale venga assimilata a livello genetico per
essere trasmessa in maniera stabile alle generazioni successive. L’insegnamento diviene la
forma più efficiente di trasmissione di novità culturali alle generazioni successive proprio
perché diviene un meccanismo di eredità dei caratteri acquisiti.
L’evoluzione culturale diventa un fenomeno estremamente rapido, e la sua velocità aumenta
quanto più le popolazioni umane che come ogni specie si stanno diversificando, cominciano ad
entrare in contatto. Quindi c’è una evoluzione umana che è caratterizzata anche qui da
un’espansione su tutto il pianeta, come già avevamo visto per la vita, ma anche da una serie di
collegamenti che riuniscono le varie popolazioni umane che si sono allontanate. Per questo
Teilhard afferma chiaramente che non ci sarà più, a livello umano, una frammentazione di
specie, perché stiamo diventando di nuovo un’unica entità. E questa unica identità è quella che
Teilhard chiama la Noosfera: l’insieme degli esseri pensanti. A questo punto viene proposta
un’altra ipotesi importante: siamo un piccolo pianeta, i contatti aumentano sempre di più, ad
un certo punto non c’è più un’espansione continua, c’è un momento di riflessione. I
collegamenti fra i vari esseri umani diventano sempre più stretti, l’evoluzione umana non si
disperde ulteriormente, ma converge. Proviamo ad estrapolare, nel tempo la convergenza, è
verso quello che Teilhard chiama il punto omega. Il muoversi verso dell’umanità non termina
con l’evoluzione, non si ferma, continua, perché è una legge fondamentale dell’universo, ma
deve convergere verso il punto omega, che è il momento della seconda venuta di Cristo.
Teilhard sembra inoltre collegare la seconda venuta di Cristo, alla nostra capacità di preparare
una terra adatta ad accoglierlo.
Chiariamo meglio il problema della eredità dei caratteri culturali.
Nei vari aspetti che riguardano l’evoluzione psichica, anche nell’opera di Teilhard de Chardin,
ho cercato di percorrere la strada dell’evoluzione dei caratteri culturali in quanto strumento di
quella evoluzione caratterizzata non più dalla dispersione ma dalla convergenza. Ma per
quanto riguarda l’evoluzione culturale ho inteso riferirmi puramente e semplicemente, non
tanto l’evoluzione psichica di un inconscio che cambia, ma del fatto che io apprendo una
capacità specifica, e non devo attendere che nei miei figli nasca questa stessa capacità, ma lo
insegno, dunque trasmetto per via culturale, non per via genetica.
Il ragno che acquisisce la capacità di costruire una tela, ha bisogno che ci sia una fissazione
genetica, dunque un processo molto lungo perché l’istinto di fare una tela venga acquisito dalla
specie, nell’uomo grazie alla cultura, alla capacità di insegnare prima con i gesti e poi con la
parola, la trasmissione è più rapida. L’inventore che mette a punto la tecnica per fare una
punta di lancia levigando un sasso, la insegna, poi, agli altri della sua tribù, che a loro volta lo
insegnano ai figli, e dunque la capacità viene acquisita culturalmente, e non geneticamente,
cioè molto più rapidamente. Quindi cambiano gli strumenti e la capacità di insegnare, ma la
capacità del cervello è sempre la stessa; anzi forse oggi con l’abitudine ad utilizzare dei
prolungamenti tecnologici al posto delle nostre capacita intellettuali, si rischia di perdere molte
capacità, e non so se è del tutto positivo; lo strumento cervello quindi non è cambiato dal
punto di vista fisico.
Ma vorrei concludere con un’ultima riflessione sul futuro. L’evoluzione è l’evoluzione della
terra, e dell’umanità sulla terra, ma la capacità che ha l’uomo col pensiero ci fa prevedere un
procedere, che deve essere questo convergere dell’umanità; Teilhard parla di una super
umanità, che deve arrivare al punto omega, che si identifica con la seconda venuta di Cristo, il
Cristo cosmico che prende in sé anche tutta la nostra attività, il nostro lavoro svolto per
costruire la terra: questa è la prospettiva. Il Cristo cosmico è il risultato finale dell’evoluzione
dell’umanità su questa terra, quindi Teilhard, affianca a quello che è il destino escatologico del
singolo uomo, quindi la prospettiva della salvezza in Paradiso, anche la necessità dell’uomo di
costruire la terra per permettere la continuazione del cammino dell’uomo verso il punto
omega. Se voi leggete “L’ambiente divino” che è un testo teologico, c’è questa idea che lo
sforzo umano su questa terra è importante, non solo perché questa terra è il banco di prova,
l’esame che dobbiamo fare per guadagnare la salvezza personale, escatologica, in Paradiso,
ma è importante perché è il contributo che il singolo essere umano dà per preparare la terra e
l’umanità con essa alla seconda venuta di Cristo.
Quindi le realtà terrestri acquistano un valore fondamentale: a questo punto noi dobbiamo
costruire la terra assecondando anche i meccanismi con cui nell’evoluzione la vita si è evoluta.
Ma la prospettiva non è quella di tornare ad uno stato del resto abbastanza ipotetico, di
natura, ma di costruire la terra per le generazioni future per permettere che, attraverso la
venuta di Cristo in una prospettiva cosmica, infine, Dio sia tutto in tutti. Teilhard recupera
questa tradizione molto importante nella stessa teologia paolina, inserendola all’interno del suo
progetto scientifico, per cui è essenziale per l’uomo costruire la terra.
Come costruire la terra? Occorre andare avanti con la scienza della biosfera, e con l’approccio
globale. Occorre capire bene i meccanismi evolutivi per permetterci una delicata funzione di
guida, ma anche di corresponsabilità con la natura e i suoi meccanismi. L’evoluzione può
continuare indipendentemente da noi, questo Teilhard lo dice chiaramente, ma il rischio è
quello di perdere la nostra capacità di interagire con la natura per costruire la terra. Il punto di
fondo è quello di trovare un equilibrio, un rapporto di collaborazione e di simbiosi con la
natura, per continuare il cammino fino al punto omega.
Il rischio, dal punto di vista teologico, è quello di condizionare la seconda venuta di Cristo
all’opera dell’uomo, ma almeno questo rischio ci responsabilizza, ci dà una direzione. La
prospettiva teilhardiana si arricchisce moltissimo attraverso questa idea: occorre preservare la
biosfera, e lavorare nei meccanismi evolutivi della biosfera, se vogliamo che l’umanità
converga verso il punto omega. Allora uno degli sviluppi importanti è quello di Lovelock: quella
che si chiama ipotesi Gaia, a cui abbiamo già velocemente accennato. La base è un’ipotesi
scientifica che dice che a livello di biosfera si sono formate le relazioni fra viventi e nonviventi
che mantengono la stabilità dei parametri che permettono la sopravvivenza della vita. Quindi
se è due miliardi di anni che la quantità di ossigeno e la quantità di anidride carbonica
nell’atmosfera sono stabili, non è questo dovuto ad una combinazione fortunata di fattori
astronomici e geofisici, che ha permesso lo sviluppo della vita sulla terra, è perché si è stabilito
un equilibrio per cui i viventi mantengono stabili questi parametri. Se è circa un seicento
milioni di anni che la salinità dei mari è la stessa, è perché attivamente i viventi la mantengono
stabile. Se la temperatura dell’atmosfera varia, ma sempre all’interno di una fascia di
variabilità abbastanza limitata, è perché i viventi la mantengono stabile. Anche questo è un
aspetto che diventa importante: i meccanismi di Lovelock ci danno delle piste di indagine per
capire se veramente la stabilità della biosfera sia mantenuta in maniera attiva dall’azione dei
viventi, ma se così è, vuol dire che se noi vogliamo continuare il cammino dell’umanità sulla
terra, il legame tra l’uomo e la biosfera è talmente stretto che l’uomo deve lavorare all’interno
dei meccanismi della biosfera, deve cioè preservare la stabilità della biosfera.
Il progetto teilhardiano, è quello di costruire la terra in Cristo Gesù, il muoversi verso il punto
omega dell’umanità richiede una collaborazione tra uomo e natura che supera sia il modello
antropocentrico che quello biocentrico, prospettando una collaborazione tra le sfere. Una pista
da indagare è dunque quella di cercare di capire come Biosfera e Noosfera possano essere
collegate da un rapporto di simbiosi. Esse collaborano allo stesso fine: il mantenimento dei
parametri che permettono la stabilità della Biosfera e quindi la stabilità di quell’ambiente
grazie al quale la Noosfera può procedere nel suo cammino verso il Cristo Omega.
L’etica ambientale, nella prospettiva teilhardiana, diviene un capitolo fondamentale della
teologia
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