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La morte di Ulisse

Gli tornavano insistentemente alla memoria le parole di Tiresia(1), che parevano così diverse dalle spiegazioni degli indovini. Quando Ulisse e i compagni erano stati obbligati da Circe a partire per il regno dei morti, sulle sponde dell'Oceano, non gli era sfuggito il vero significato di quell'ordine: andare nel regno dei morti significava morire, e la promessa di tornarne vivi non bastava a tranquillizzarli. Infatti, i suoi compagni erano comunque morti tutti, e lui era ancora vivo forse perché Ermes, il suo avo materno, gli aveva trasmesso con l'erba prodigiosa una briciola d'immortalità(2).
"Morte dal mare ti verrà, molto dolce, ad ucciderti, vinto da una serena vecchiaia. Intorno a te popoli beati saranno. Questo con verità ti predico". Ulisse aveva sempre pensato che Tiresia si riferisse a uno dei tanti viaggi per mare, quando egli sarebbe stato vecchio e magari stanco di vivere: per un qualche naufragio, magari. La morte, insomma, più naturale per uno come lui, abituato al contatto, dolce e amaro insieme, con Poseidone.
E allora, che senso poteva avere quel sogno ricorrente e la spiegazione datane dagli indovini?
Un simulacro a metà tra umano e divino, di straordinaria bellezza, gli appariva venendo dal mare: egli se ne sentiva attratto e cercava di toccarlo e magari abbracciarlo, ma quello si sottraeva dicendo che una congiunzione tra loro sarebbe stata innaturale, perché erano dello stesso sangue, e soprattutto perché era destino che l'uno uccidesse l'altro; e d'improvviso una freccia venuta dal mare come per un suo ordine sfiorava Ulisse...(3)
Ulisse all'inizio aveva cercato di scacciare quell'oscuro presagio: "i sogni sono vane fantasie", si ripeteva per cancellarlo, e anche Penelope lo aveva detto quando egli, turbato ormai dall'ossessivo ricorrere di quel sogno, si era deciso a parlargliene. Lei stessa però aveva alla fine suggerito di chiamare i migliori indovini e interpreti, ma era rimasta come tutti incredula e scettica: essi avevano concordemente detto che Ulisse correva rischio di morire per mano del figlio!
Ma Ulisse non aveva voluto sentir ragioni: anche se Telemaco aveva protestato la sua innocenza e i suoi meriti, lo aveva fatto relegare a Cefallenia e i più fidati scherani non lo perdevano mai di vista. Telemaco gli aveva anche rinfacciato di aver dimenticato del tutto il suo ingegno d'un tempo, così scevro da superstizioni e fiducioso nella limpida forza della ragione. Era proprio così, Ulisse lo ammetteva, ma il desiderio di contrastare quella oscura profezia era più forte di ogni cosa.
Ma insomma a chi doveva credere? L'eroe si stava logorando da troppo tempo in questa alternativa. Certo, Tiresia era più affidabile di quel gruppo di ciarlatani che pretendeva di spiegare così il suo sogno; e poi, inutile negarlo, a Ulisse mancava l'affetto di Telemaco e pesavano i grevi silenzi di Laerte, quel povero vecchio che pareva vivere solo nel rimpianto del nipote, e di Penelope, che aveva recuperato insperatamente il marito per vedersi così presto privata del figlio.
***
Un insolito trambusto di voci concitate lo distrasse d'improvviso dalle sue meditazioni. Uno sconosciuto gridò più volte che non era giusto impedirgli di vedere il padre, alla cui affettuosa ricerca egli era partito da terre lontane. Le guardie del corpo, incitandosi a vicenda, urlavano che non lo avrebbero mai e poi mai fatto passare. E Ulisse capì che si stava passando rapidamente dalle parole ai fatti, e che doveva trattarsi di qualche sicario di Telemaco venuto a ucciderlo e fortunatamente scoperto in tempo dalle sue guardie. Afferrò d'impeto la sua lancia e accorse verso l'ingresso, dove continuavano le urla ma ormai si percepivano chiaramente lamenti e gemiti dei feriti.

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1 commenti:

  • Ada Piras il 25/12/2011 20:30
    La sua morte... portata... dal figlio chiamato destino... da cui
    lui capisce l'importanza dell'amore... e li unisce.
    Avvincente.