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Tre Semplici Sconosciuti
Esco dal negozio soddisfatto dell'acquisto appena effettuato. Prima di riprendere la strada mi guardo un po' intorno: il cielo, grigio; le strade, semivuote; le vetrine, accattivanti. È martedì mattina e sono poche le persone, come me, che non hanno niente di meglio da fare che passeggiare e sperperare i pochi soldi risparmiati a fatica. Ma tutta questa calma apparente mi rilassa e non so dire il perché, mi fa anche sentire importante. È vero, a volte mi sono chiesto con una certa preoccupazione se il mio etichettarmi "normale" sia legittimo. Per fortuna molte di queste volte finisco col dimenticarmi di rispondere. E la routine riprende il suo corso.
All'improvviso, senza una spiegazione logica, mi volto a destra e mi incammino lungo il marciapiede a passo un po' ciondolante, sazio del mio acquisto, ignorando per questo i richiami delle vetrine. Solo un momento mi fermo ad ammirarne una, ma c'è una bella ragazza in una posizione un po'... a risistemare gli scaffali. Sospiro, riprendo a ciondolare e passo oltre.
Ho comprato una cravatta. Già, un'altra cravatta, come se le altre centinaia che ho nell'armadio non fossero già a sufficienza, ma... bè, non devo certo spiegarvi io cosa sia una mania, una collezione, una stupidaggine.
C'è chi colleziona figurine, chi stupri, chi compact disc di Elton John... io mi accontento di comprare ogni tanto una cravatta. E in questi momenti torno a rifarmi quella domandina cui sopra accennavo. Non ricordate? Non è importante, credetemi.
Solo pochi giorni fa ho visto crollare le Twin Towers, le azioni che avevo sono rotolate nella melma, ho rovinato una delle mie più belle camice, ho riletto per l'ennesima volta l'Infinito di Leopardi e oggi... ho una cravatta nuova. In barba alla guerra, ai soldi, alla mia amica che non ne vuol sapere di un'avventura tutto sesso, solo sesso, sesso e basta. Avrei rinunciato alla mia cravatta per... meglio non pensarci!
Comincio ad avvertire un certa sete. Non uno di quei bisogni impellenti che ti fanno sragionare, strabuzzare gli occhi nel tentativo di focalizzare nella mente qualcosa d'altro, ma una di quelle voglie piacevoli, che se le puoi soddisfare, bene, altrimenti senti che potrai resistere ancora un poco. Come la mia amica, dopotutto.
Comunque compiacere questo mio istinto improvviso credo sarà una cosa un po' più semplice. Basta che mi diriga verso un bar. Non una semplice fontanella. Ci vuole classe anche nel dissetarsi. Più avanti, lungo la strada che sto seguendo c'è un posticino che fa al caso mio. Elegantemente sobrio, comodo, di passaggio. Per me almeno.
È proprio dietro l'angolo. Vi è mai capitato di sentire il bisogno di qualcosa, trattenere l'impulso per minuti, ore, giorni, e quando quel qualcosa era a portata di mano non riuscire più controllarvi, come se il tutto fosse diventato una questione di vita e di morte? Io credo di sì. Comunque, il bar è davanti ai miei occhi, a non più di venti metri e io... mi sento di morire dalla sete. Prosciugato. Ansante.
Il bar ha dei tavolinetti disposti in maniera ordinata lungo il marciapiede. Piccoli tavolini rotondi coperti da tovagliette di carta blu e bianche. Sorrisi. Come avevo detto prima? Ah, si. Elegantemente sobrio. Bella definizione. Se anche voi foste qui ne converreste.
Scelgo una tavolino a caso e mi siedo, aspettando il cameriere. La sete sembra di nuovo placata. Già, forse non sono poi così normale. Rimango alcuni istanti a fissarmi le mani, che reggono ancora la busta con la cravatta. Come un bambino che ha appena scartato i regali, non trovo il modo di poggiarla un solo momento. Apro leggermente la busta e sbircio. Il mio sorriso si allarga e non chiedetemi come faccio a saperlo, ma sono sicuro che la mia espressione rasenta il ridicolo. Sembro un idiota. Ma forse, semplicemente lo sono.
Mi costringo a posare a terra la busta e per la prima volta da quando mi sono seduto, ma il cameriere arriva?, alzo la testa e mi guardo intorno, tra il blu e il bianco degli altri tavolini. Sono quasi tutti vuoti. Oltre a me c'è solo un distinto signore sulla cinquantina, elegantemente vestito in giacca e cravatta (la mia è più bella), e alcuni tavoli alla mia sinistra una bella ragazza in un succinto abitino tra l'elegante e l'arr... il sexy. L'uomo sta attendendo come me che qualcuno lo serva, ma in locale elegantemente sobrio il servizio non dovrebbe essere più rapido?, mentre la ragazza sfoglia alcuni fascicoli e un bicchiere di tè attende sornione davanti a lei.
Formiamo un triangolo. Tre lati, tre angoli, tre persone. Tutti possiamo vedere tutti, la posizione è ideale, ma nessuno, tranne me, guarda nessuno. Diffidenza, discrezione, altri pensieri per la testa? Forse dipende solo dal fatto che siamo tre semplici sconosciuti.
A un certo punto la ragazza alza la testa, come se si sentisse osservata e getta un'occhiata verso di me. Mi sento colpevole e distolgo subito lo sguardo. Che stranezze! Mi succede sempre nella metro. Fissi qualcuno, per curiosità, per passare il tempo, perché è una bella ragazza (amica?), perché ha le orecchie sporche... bè, dopo pochi secondi, come se il tuo sguardo lo ferisse, quel qualcuno si gira e sorprende i tuoi occhi su di lui. E te rapidamente, fingendo indifferenza fuggi su qualcun altro. Lo so, capita anche a voi. Qualcuno sa spiegarmi cosa avviene in quel momento? E passo quindi di nuovo all'uomo. Zac! Ferisco anche lui. Mi guarda. Fuggo.
Non so più dove guardare. Tornerei sulle gambe o nella scollatura della ragazza, ma proverei una vergogna esagerata a essere pescato con gli occhi nel sacco (magari le mani!). Decido per un punto intermedio. Così posso sbirciare discretamente tutti e due.
Tre semplici sconosciuti. Quanti semplici sconosciuti incontriamo ogni giorno? Di molti non ne avvertiamo la presenza, la concretezza, ma ci sono momenti, come questo, in cui non puoi non fare a meno di renderti conto di altre realtà che sono al tuo fianco. Chi sono i mie compagni di bar? Come si chiamano? Sono simpatici? Hanno tanti soldi? Una vita sessuale felice? Dov'è il cameriere?
In questi momenti percepisco quanto poco siamo e quanto poco percepiamo del mondo che ci circonda. In un'altra occasione forse noi tre semplici sconosciuti staremmo seduti allo stesso tavolino blu e bianco. Oppure potremmo essere tre acerrimi rivali, candidati allo stesso posto di direzione di un angusto ufficio.
Mi dà fastidio pensare che non so nulla di loro. Ma soprattutto che loro non sanno nulla di me. E la mia nuova cravatta? Importa solo a me? Credo di sì.
Comunque mi sembra di percepire una certa tensione tra di noi. Il gioco di sguardi fuggenti ci ha uniti, ma allo stesso tempo ci ha fatto chiudere un po' di più. Ora siamo tutti e tre consapevoli della presenza degli altri. Sembra che non lo facciano, ma sono sicuro che i loro sguardi a mezza via sono sguardi scrutatori, attenti, curiosi. Li sento un po' meno sconosciuti.
Dopotutto basta tanto poco.
E... arriva il cameriere. Avevo dimenticato di avere sete. Ordino un caffè freddo. Il cameriere sorride, io gli sorrido, un altro semplice sconosciuto, e si allontana.
Torno a volgere la mia attenzione verso i miei ignoti amici, ma l'incanto è rotto. Il cameriere ha attraversato quello spazio privato e intimo, fatto di sguardi blu e bianchi, e ora i tre semplici sconosciuti sono di nuovo chiusi a riccio, incuranti delle punzecchiature dei miei occhi curiosi. Blu e bianco. Un mare che ci separa. Elegantemente sobrio.
Ritorna il cameriere. Si ferma prima dal distinto signore e lascia un drink color rosa pallido, poi mi raggiunge con il caffè. Pago. Squilla un cellulare, una suoneria discreta, anch'essa sobria, blu e bianca, anonima. Se ancora c'era un po' di quella mistica unione fatta di sguardi stavolta indiscreti, di scollature e cravatte, adesso è veramente tutto svanito e la via intorno a noi, che per alcuni istanti era stata immobile, sembra riprendere il naturale corso. Noto altre persone, in strada, nel bar, in lontananza. Tanti sconosciuti, semplicemente. Il cellulare è della ragazza, che si affretta a rispondere. Una voce delicata, ricercata, volutamente bassa, privata. Quando riattacca beve velocemente un'ultima sorsata dal bicchiere, si alza con i suoi fascicoli e si allontana, tra gli altri passanti, una fra tanti. Anche l'uomo sembra aver finito ed è pronto a riprendere la sua strada. Si alza, ma non guarda verso di me, piuttosto sembra che in lontananza provi a seguire l'eleganza di due gambe che pochi secondi prima sembravano così vicine, e lo erano.
Mi trattengo ancora un po'. Mi rendo conto che sono solo, seduto tra quel mare blu e bianco, e la sensazione mi stordisce un poco. Ero solo anche prima? Forse. Ma adesso solamente, me ne accorgo. E allora torno a sbirciare la cravatta e sorrido, come un imbecille. Già. Sono solo, per fortuna.
Mi alzo e riprendo a camminare per la strada, ciondolando un poco, con la mia busta, con la mia cravatta.
E il mio sorriso.
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