Il cucciolo giace sul verde, immoto. Sembra addormentato ma ha gli occhi sbarrati e fissi. Sembra intatto, ma è stato ferito. Sembra morto ma è vivo. Sembra vivo ma è morto. Aveva un nome, ma l’ha dimenticato. Aveva una voce, ma è stata soffocata dalla brutalità. Aveva l’innocenza, ma è stata violata, sbranata a morsi. Ha solo un ricordo, che ha cancellato tutti gli altri. L’orrore, gigantesco, incomprensibile, la paura, il dolore. Vorrebbe la mamma il cucciolo, ma si è dimenticata di lui tanto tempo prima. Non era preparato. Qualcuno gli aveva insegnato a temere le bestie feroci, ma questa non appariva tale. Gentile, persuasivo, persino affettuoso, almeno secondo lui affamato d’affetto. Lo ha circuito col gioco, sempre più strano, sempre più incomprensibile, lo ha convinto della normalità di qualcosa che una volta dopo l’altra era sempre più vergognoso, lo ha reso suo complice invitandolo a mantenere il segreto con chiunque, e lui ha obbedito, silenzio con tutti, non per le argomentazioni della bestia, ma perché nelle notti piene di ombre incominciava a temere. Non sapeva cosa, non sapeva come, ma sentiva la paura, gli sembrava quasi di poterla toccare. Sognava mostri terribili ed altri ancora più terribili li dimenticava. Di giorno, davanti a tutti, era il solito cucciolo quieto e tranquillo di sempre, forse un po’ più quieto e un po’ più tranquillo, ma non abbastanza perché qualcuno lo interrogasse, o se ne chiedesse la ragione. D’altra parte di solito non era molto osservato, non amava attirare l’attenzione né sottrarla a chi pareva tenerci tanto. La sua mente sta quasi per esplodere per il carico di pensieri che si scontrano vorticosamente l’uno contro l’altro, il suo corpo invece è paralizzato, lo sente come affondare in una palude di sabbie mobili e non vuole reagire. Oggi è stato il giorno. Temuto, sospettato, impossibile da focalizzare prima. È già un ricordo. E quel silenzio, lo spazio così aperto, l’assenza di qualunque anima viva gli fa quasi rimpiangere che la bestia se ne sia andata via. Eppure lo odia. Non aveva voglia di quel gioco oggi, gli ha detto di no, ha cercato di sfuggirgli, ma era troppo più debole. Ha lottato, con il solo risultato di rendere l’altro più cupido. Ha dovuto subire, aspettare che fosse soddisfatto, senza sapere che cosa lo avrebbe fatto sentire finalmente appagato.
La bestia ha ansimato, lo ha schiacciato, serrato, umiliato, terrorizzato. La sua mano sulla bocca ha ovattato l’urlo per un male fisico lancinante, quasi indescrivibile. E dopo, quando tutto è finito, la bestia ha fatto la cosa più crudele di tutte: lo ha lasciato in vita. Appena uno sguardo ed è scappato via, non per vergogna, questo il cucciolo lo sa, ma in cerca di altre verginità da rubare prematuramente. Lui non è più cucciolo, non lo sarà più, e sente la rabbia, tra lacrime e sapore di sangue. Come controllarla? Diventare forte, infido e vendicarsi contro altri cuccioli? O affogare in quella palude senza tentare di sopravvivere? Ha deciso cucciolo: si solleva sulle zampe traballanti ed ha una vertigine. Non parlerà più, nasconderà la macchia a chiunque, persino a se stesso, ma ora è in piedi e dentro di sé sa che da quel giorno sarà capace di rialzarsi dopo ogni caduta. E lo farà da solo.