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Amos e Mario. Italia anno di guerra 1943- prima parte
Era gennaio del 1943, Mario Melvino non aveva ancora diciotto anni. Operaio sin dall'età di sedici, presso la fabbrica detta Lavorazioni Leghe Leggere situata in area industriale del capoluogo veneto, impegnata in produzione bellica per l'aereonautica, con turni lavorativi di dodici ore continue. Per Mario, operaio munito di licenza di quinta elementare - chè in casa non avevano potuto mantenerlo agli studi, essendo egli il quarto maschio di dieci figli- avido di leggere e di conoscere, la sua scuola di vita e di politica erano gli operai più vecchi di lui, i quali, nei rari momenti del pasto o di cambio del turno, parlavano sommessamente di guerra che andava male, di figli al fronte, di fame e sofferenze. A far la sua si aggiungeva il freddo intenso della stagione, che ghiacciava le campagne, i canali, i corpi. All'interno dello stabilimento il frastuono delle gigantesche presse per l'alluminio era insopportabile per ore e ore.
Mentre Mario mangiava, durante la breve sosta per il pasto, con la sua solita fame giovanile, la poca pastasciutta compattata nel pentolino di alluminio, nel cuore della notte, egli ascoltava questi discorsi che, badate bene, non si potevano fare a voce alta, ma sussurrata e sol tra pochissime persone fidate. Gente che avevi osservato a lungo prima, nel piazzale della fabbrica, al momento dell'uscita, altrimenti se t'accorgevi di domande insidiose o pericolose, si doveva tirare via, far finta di non aver sentito. Venir arrestati o prelevati da casa, di notte, dai fascisti , era un nonnulla. Si finiva al comando davanti alle Camicie Nere, il cui trattamento in pochi erano, poi, in grado di raccontare fuori le mura dello squallido palazzo ch'erano i loro uffici.
Mario Melvino era un bel ragazzo, alto, forse un po' troppo magro ( e chi non lo era, in quegli anni ?) ma con un viso sagace e maturo. Due occhi cerulei, un po' a fessura, distanziati da un naso importante e sottile. Labbra morbide e fini. Una bella testa di capelli biondo scuro che lui portava tutti all'indietro con la nuca sfumata.
Amici lui ne aveva, sia in paese che tra gli operai. Poco tempo però per star con loro, poiché a fine lavoro, inforcata la bicicletta nera di suo padre, pedalava per circa dieci chilometri, in parte lungo la ferrovia, in parte lungo il fiume Brenta, fino ad addentrarsi nella campagna e trovare la sua casa, la prima all'incrocio per la strada verso Padova.
Tra questi amici c'era anche Amos Termini, un ragazzo come lui, di diciott'anni, conosciuto tempo prima in una balera fuori Mestre, dove Mario era capitato una domenica pomeriggio per " straviarsi" , come si dice in dialetto veneto, ossia divertirsi e fare la corte alle ragazze. Di ragazze ce n'erano molte, poiché i maschi erano per lo più tutti in guerra. Amos si avventurava, con tutto il folle ardimento dei suoi anni, in questo locale, quasi scappando da casa, per sottrarsi all'opprimente vita di divieti e proibizioni governative che, dal 1938, vessavano gli ebrei ovunque, dopo averli cacciati dalle scuole pubbliche di ogni ordine e grado ed averli allontanati dai posti di lavoro. Amos lasciava la madre, serrata in casa, in ambasce. Dall'estate del 1940, era stato persino inibito agli ebrei di potersi recare d'estate alle spiagge del Lido di Venezia, se non in zone " loro riservate" . Da allora Amos se n'era andato in barchino a remi, con il fratello maggiore, al largo e assieme facevano il bagno da soli, verso la punta estrema del Lido, dove non si spingeva mai nessuno, essendo una lingua di terra solitaria e verdeggiante. " Meglio così - diceva in cuor suo -' sti dementi di fascisti manco immaginano quanto sia bella la spiaggia qua" . Mario ricordava come una volta, proprio in una serata autunnale del 1942 , mentre i musicanti del locale suonavano una canzone molto in voga, fosse entrato nella sala un gruppo di fascisti, in divisa. Erano impomatati, alticci, facevano chiasso, facevano i galanti con le signorine. Mario aveva visto Amos ritirarsi improvvisamente, quasi sparire dietro una pesante tenda scura e rimanervi fino acchè il gruppo non si era allontanato.
In quell'occasione egli aveva saputo da Amos della sua origine ebraica... " Tu sei tra i pochissimi che lo può sapere" , aveva sottolineato l'amico, fissandolo in volto , come a stringere un patto di vita e di morte. A quella rivelazione Mario comprese perché Amos fosse sempre stato così vago e generico circa la propria famiglia o le sue abitudini e perché, se Mario aveva insistito per incontrarsi con qualche amico, il ragazzo avesse sempre risposto " non posso". Vero è che poi Amos lo cercava all'improvviso, ma non gli dava mai appuntamento, e lui se lo trovava spesso davanti quando meno se l'aspettava.
I primi mesi del 1943 trascorsero durissimi in fabbrica e in tutta l'area industriale e portuale ; la guerra si faceva sempre più aspra, imponeva la sua economia bellica di estremo sacrificio, impoverendo e scoraggiando gli strati popolari. Cominciarono a circolare, anzi, furono trovati nei magazzini e in determinati punti di passaggio , all'interno della fabbrica, dei volantini ciclostilati che incitavano gli operai a boicottare la lavorazione, al fine di rallentare la produzione dei pezzi, e si sollecitava a protestare contro gli orari di lavoro insostenibili. Anche Mario aveva letto quelle parole contro la guerra e s'era accorto, poi, come per giorni strani figuri, verosimilmente informatori della polizia politica, circolassero tra gli operai, soprattutto alla fine del turno lavorativo, cercando di individuare o carpire discorsi che permettessero di risalire ai responsabili dell'iniziativa.
Certamente i volantini contro la guerra non venivano prodotti in fabbrica, ma arrivavano da fuori. Non era facile davvero capire chi potesse osare tanto, portando i fogli ciclostilati nascosti addosso alla persona o dentro ai tascapane, magari avvolti in stracci. Tuttavia si trattava certamente di operai. E rischiavano la vita, immediatamente.
Gli incontri con Amos divennero quasi impossibili. Frequentare pubblicamente famiglie israelite poteva essere molto rischioso. La famiglia di Amos oramai versava in forti ristrettezze. Il padre, dopo esser stato costretto forzatamente a chiudere la modesta attività di merciaio, attendeva con i due figli, di essere precettato per il lavoro obbligatorio, rigorosamente manuale in qualche cantiere.
Tutto poteva accadere in un qualsiasi momento, a quella famiglia. Vivevano giorno per giorno, isolati, non potendo tenere in casa nemmeno l'apparecchio radio né il telefono.
In quei mesi, Mario si incontrò due volte con Amos, nella casa di un comune fidatissimo amico, Luciano, in una zona molto decentrata di Venezia, verso san Pietro di Castello. Luciano, in attesa della loro venuta, faceva trovare pronti piccoli pesci arrostiti sulla stufa, pescetti che lui stesso andava a pescare per i ghèbi, in laguna e qualche patata lessa. Almeno per un paio d'ore i tre giovani parlavano della situazione, della guerra, di quale futuro si stesse loro presentando. Amos riferiva notizie che nelle Comunità Israelitiche italiane affluivano continuamente ebrei italiani che i tedeschi espellevano dalla Francia, dal Belgio e dall'Olanda. Si doveva in qualche modo provvedere anche a loro, privi di tutti, se non degli abiti che indossavano. Dal 1942 il flusso di queste famiglie profughe era sempre più intenso.
Ogni volta che Amos e Mario si salutavano, nell'oscura calle che sboccava in fondamenta, lo facevano con lo stesso slancio, quasi fosse un addio, però non riuscivano a dirsi parole definitive.
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l'autore mariateresa morry ha riportato queste note sull'opera
I fatti storici nazionali e locali sono veri e documentalmente verificabili. La vicenda si sviluppa in ambiente e luoghi realmente esistiti. Mario è vivente. Amos è personaggio possibile per il tempo
un altro testo di questo autore un'altro testo casuale
2 recensioni:
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- Non vorrei esagerare con i paragoni, ma lo faccio volentieri. Mi sembra di leggere un romanzo in stile Vasco Pratolini, tipo Metello o Il quartiere. Ma questo ha un livello più profondo, meno intellettuale e dalla narrazione vista dal punto di vista di chi ha vissuto il dramma della diaspora, nello stile di Primo Levi. Che dire. Grazie di averci regalato questo testo che secondo me meriterebbe di essere inserito in una raccolta o pubblicato, per ricordare, ai voltagabbana, ai traformisti, agli imbecilli, quanto l'uomo sia imbecille. E purtroppo questi esempi sono di nuovo attuali e ancora più atroci.
- Una narrazione scorrevole e significativa dei momenti pre-bellici, delle emozioni e delle sensazioni che nutrivano gli spiriti dei giovani e dei lavoratori dell'epoca. La paura li legge tangibile nelle righe del tuo racconto. aspetto di leggere il seguito. Vorrei chiederti di "divieti e proibizioni governative che, dal 1938, vessavano gli ebrei" ovvero se ti riferisci alle leggi fascistissime che sono state introdotte nel '25.
- Tempi davvero durissimi quelli del periodo fascista, quelli in cui si doveva stare sempre sul chi va là, attenti a non essere scoperti anche solo a parlarne male. Un racconto molto scorrevole e ben scritto, nel quale viene resa perfettamente l'opprimente atmosfera regnante e il senso di malessere che serpeggiava allora tra la gente e che, come oggi sappiamo, non era che il preludio di quanto di peggio doveva ancora da venire. Di storie così ne sono state raccontate tante, è vero, e molte rimarranno per sempre nell'oblio, celate nel petto di chi le ha vissute, tutte col suo pezzo di verità che varrebbe la pena di ascoltare, se solo avessimo orecchie per intendere e memoria sufficiente per rammentarle... troppo facilmente infatti dimentichiamo gli "orrori" e gli errori sono facili a ripetersi se la memoria non viene sollecitata. Quindi ben vengano questi racconti e anche il tuo, che trovo di pregevole fattura e si fa leggere che è un piacere. Seguirò ben volentieri l'evolversi degli eventi. Con calma, ora devo scappare, a dopo. Ciao Morry, e brava
- Ho letto la prima parte. Il racconto è ben scritto e mette in evidenza la tua sensibilità sociale. Stile scorrevole e ben curato. Brava! Farò un commento finale al termine della lettura delle altri due parti.
- Grazie per i commenti e le Vostre letture. Il racconto continua con la seconda parte che apre una parentesi più privata nella storia dei due protagonisti e si concluderà nella terza, drammatica parte. Per Sergio: certo che mi riferisco alle leggi razziali del 1938, contro cittadini italiani ebrei e che portarono a pioggia una serie di regolamenti e circolari di inaudita vessazione fino ai provvedimenti estremi della fine del 1943-1944. Per maggiore approfondimento leggasi tra tutti " Gli ebrei a Venezia 1938-1944. Una comunità tra persecuzione e rinascita" , 1995 ( testo redatto e documentato per iniziativa della Regione Veneto, Provincia e Comune di Venezia).
Anonimo il 08/01/2012 15:14
È bello quando la grande storia è raccontata attraverso gli occhi di persone qualunque: il "grande vento del mondo" soffia su tutti e sconvolge tutti, anche un giovan operaio della laguna. Molto bello Terry! Ben scritto pure, anche se a volte avverto qualche piccolo groppo a causa della punteggiatura un po' serrata e qualche arco di parole un po' lungo, ma davvero molto ben scritto
- una pagina di storia, una finestra sulla venezia che si prepara al conflitto, l'immagine di un fascismo che non ha nulla di umano. Brava Maria Teresa aspetto di girar pagina e lòeggere il seguito
- Ottimo lavoro preparatorio, adeguatamente inserito in un contesto credibile e per nulla forzato. Forzoso, piuttosto, per l'ebbra esagerazione razziale che in quei tempi circolava nelle coscienze di giovanotti più o meno esaltati. Forza col resto...
- In attesa di leggere la seconda parte, condivido i commenti in pieno, veramente una bella cosa far riemergere come vivevano i giovani nel periodo descritto, almeno giovani che avevano ancora speranze... di libertà.
Anonimo il 02/01/2012 19:49
cosa dire Morry veramente ben scritto... fantasia e che fantasia... ben amalgamata in un pezzo di storia che ha toccato il cuore di tanti... anche io aspetto la seconda parte brava, come sempre...
Anonimo il 02/01/2012 19:23
Ansioso di leggere la seconda parte... un racconto che è nelle mie corde. leggendo sentivo il sangue ribollire... ma io sono di parte, non posso essere obiettivo se ti dico che mi piace molto. ciaociao... e brava.
- Il racconto è una fetta di storia, vista dalla parte delle persone che la guerra e la politica la subiscono, molto bello, aspetto il seguito...
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