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La fotografa
Ero in piedi. Gli occhi chiusi. Il vento mi sferzava il volto. Il rombo delle onde riempiva l'aria. Aprii gli occhi e vidi il mare quasi in tempesta rompersi sul frangiflutti. Muri d'acqua si sollevavano e sparivano subito dopo. Mare e cielo erano dello stesso colore grigio piombo.
Doveva essere l'alba. Una luce soffusa ed i lampioni del lungomare rendevano l'atmosfera come sospesa nel tempo. Alle mie spalle una schiera di case basse, con i tetti spioventi coperti da tegole anch'esse grigie. La strada era deserta. Credevo di essere completamente solo.
Distante, alla mia sinistra, qualcosa si mosse. Una figura aveva attraversato la strada e si era appoggiata al parapetto di pietra che divideva il lungomare dalla spiaggia. Anche la sabbia sembrava grigia. Sembrava l'unica creatura viva, o perlomeno sveglia, in quel luogo. Così, perché curioso e perché intirizzito dal vento gelido, iniziai ad avvicinarmi lentamente.
Rimuginavo su cosa dire a quella persona sconosciuta, quando questa fece due passi indietro e, sempre rivolta al mare, sollevò qualcosa all'altezza del volto. Un oggetto nero. Quando fui un po' più vicino capii. Una macchina fotografica. A pochi metri mi resi conto che la persona che stavo osservando era una ragazza. Sembrava non avermi notato. Seguii con lo sguardo l'obiettivo della macchina. Puntava un molo dove si infrangevano le onde. L'acqua si alzava e lo ricopriva per metà della sua lunghezza, per poi ritirarsi.
Osservai quello spettacolo per almeno un minuto. Poi mi accorsi che al centro dell'obiettivo c'ero io. L'apparecchio le nascose il volto per qualche secondo. Quando lo abbassò sorrideva. Un sorriso di quelli che ti lasciano senza parole. Risposi con un sorriso anch'io, ma immaginai dovesse apparirle forzato e stupido. Nonostante questo non se lo lasciò scappare. Sollevò subito la macchina e fece scattare l'otturatore.
Aveva un viso piccolo e tondo e quel sorriso lo riempiva. Grandi occhi verdi, con uno strano luccichio dentro. I capelli neri, molto corti. Una pesante sciarpa le circondava il collo, nera come il giubbotto e le scarpe. Grigi i jeans. In quell'istante pensai non potesse esistere al mondo una ragazza più carina di quella.
La osservavo senza riuscire a dire alcunché. Le parole mi si formavano in testa, ma rimanevano incastrate da qualche parte prima di arrivare alla bocca.
Era tornata a concentrarsi sul mare in burrasca. La imitai, appoggiandomi al parapetto. Improvvisamente mi afferrò il polso sinistro, cercando di tirarmi via di li. Voleva che la seguissi. Io facevo resistenza, non riuscendo a capire. La ragazza si lasciò scappare una risata, afferrandomi il braccio con tutte e due le mani e provando a trascinarmi via con più forza. Cedetti e iniziai a seguirla.
Dopo qualche metro lasciò andare la presa. Le andavo dietro a qualche passo di distanza. Mentre camminava faceva foto a tutto: una panchina, una vecchia barca abbandonata sulla spiaggia, le onde, le case, le nuvole pesanti e grigie che correvano sopra le nostre teste. Ogni tanto si voltava, per controllare se la seguissi ancora, sempre sorridendo. Un paio di volte mi scattò una foto a sorpresa.
Mentre camminavamo, rimasi come incantato da uno strano particolare. Un lampione funzionava male, ad intermittenza, ed emetteva uno strano ronzio. Stavo lì imbambolato, quando la fotografa mi prese a braccetto.
Attraversammo la strada e ci infilammo in una stradina lastricata in pietra che tagliava in due il muro di case. Sembrava non avere incroci e dopo poche decine di metri iniziava a salire. Continuammo per diversi minuti, lei sempre attaccata al mio braccio, sempre senza dire una parola. Stavo iniziando a sentire la fatica della salita, quando sbucammo in una minuscola piazza, sovrastata da un campanile. Lei lasciò la presa e si avvicinò a una piccola porta di legno alla base della costruzione. Si voltò, mostrandomi una chiave. La usò per aprire la porta e sparì dentro.
Rimasi per qualche minuto immobile, senza sapere che fare. Mi guardai intorno, passai dalle case, al campanile, al cielo, cercando una risposta. Poi entrai. L'avevo seguita fin li, perché non continuare?
Una scala di marmo si arrampicava lungo i muri, perdendosi nell'oscurità. Della mia amica silenziosa nessuna traccia. Immaginai fosse già in cima, così iniziai a salire. Mi ritrovai di fronte una grande campana. La sfiorai con la mano, era gelida. Le girai attorno, ma della ragazza nessuna traccia. Pensai fosse sparita nel nulla. Mi appoggiai alla ringhiera, aspettando che succedesse qualcosa, quando sentii una strana risata soffocata.
Mi voltai e mi chinai sotto la campana. Lei era li, che sorrideva. Le risposi di nuovo con un sorriso, ma questa volta pensai fosse simile al suo. Allungai una mano e lei venne fuori. Prese la macchina fotografica e iniziò a scattare in tutte le direzioni verso le quali il campanile si affacciava. Non riuscivo più a capire dov'era il mare. Si vedevano soltanto tetti grigi e camini.
Ad un tratto mi si mise accanto, mettendomi un braccio intorno ai fianchi, girò la macchina e scattò verso di noi.
Poco dopo la seguii giù per le scale. Tornammo per un tratto indietro lungo la strada. Poi lei entrò in un'altra porta. Questa volta le andai dietro senza indugiare. Mi ritrovai in una stanza senza finestre o mobili, solo un'altra porta dal lato opposto. La ragazza percorse per intero la stanza, mentre io mi fermai al centro. Si avvicinò all'altra porta, voltandosi sorridendo. Poi la aprì e se la richiuse alle spalle.
Non aspettai un secondo ed entrai anch'io.
Era una camera oscura. Di quelle dove si sviluppano le fotografie. Una lampadina appesa al soffitto diffondeva un'inquietante luce rossa. Della ragazza con gli occhi verdi nessuna traccia. Non c'erano altre porte. Era semplicemente sparita.
C'era una fotografia appesa ad un filo ad asciugare. Mi avvicinai, la presi e uscii di nuovo in strada ad osservare la foto alla luce naturale.
Il mare in tempesta faceva da sfondo ad una ragazza con i capelli corti e neri e gli occhi verdi che teneva le mani in tasca e sorrideva.
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- Bel racconto, foto... a sorpresa...
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